Economia di Mercato e " il Regno di Dio nelle anime e nella società": Quale annuncio profetico e quale impegni adottare in tale prospettiva?
Il tema della ricchezza ricorre spesso nei Vangeli ed è a partire da questa constatazione che Gesù costruisce il proprio discorso su ciò che noi comunemente chiamiamo economia. L'insegnamento che ne emerge sembra del tutto semplice: l'uomo cerca nel possesso di una grande quantità di beni, e nei confronti della vita che gli appare, e gli si rivela precaria , ma al termine di questa ricerca, destinata ad essere frustrata, si trova ad aver smarrito il senso profondo della vita stessa, che solo può riscattarne la precarietà.
Ne segue che chi cerca il proprio arricchimento, anche con mezzi ritenuti leciti, si pone in rotta di collisione con l'Evangelo, mentre chi si trova a disporre di ricchezze, anche senza essersele accuratamente procurate, deve disfarsene per poter seguire il Maestro. Con Ciò , sembra di poter concludere che l'intera impalcatura dell'economia capitalista, quale oggi la conosciamo e viviamo, è non-evangelica.
1. Che pensare dei progetti di " Autoassicurazione" dei ricchi?
La parabola del ricco stolto ( Lc. 12.13-21 ) diventa un esemplare punto di partenza per alcune considerazioni. Gesù la racconta dopo essere stato interpellato per risolvere una questione di spartizione di eredità, che anche ai giorni nostri è spesso fonte di litigi e di rancori, ed essersi rifiutato di intervenire nella disputa, ammonendo invece di tenersi lontani dal desiderio delle ricchezze " perché la vita di un uomo non dipende dai suoi beni , anche se è molto ricco ".
La parabola tratteggia la figura di un proprietario terriero che, alle prese con raccolti abbondanti, non ha più spazio nei suoi magazzini, per cui decide di costruirne di più grandi in modo che, una volta riempiti, gli possano consentire di vivere allegramente ( oggi diciamo di rendita ) per lungo tempo.
Il fatto che si parli di "raccolti" lascia supporre che per anni successivi il ricco si sia dedicato ad accumulare, ( il che rende ragione anche dell'esaurimento dello spazio disponibile) con l'evidente proposito di assicurarsi una solida base economica per la vecchiaia.
Quale che sia l'interpretazione che ne possono dare gli esegeti, il progetto di "autoassicurazione" del ricco , che pare ragionevole, viene completamente scompaginato dal verificarsi di un evento inaspettato o, meglio, aspettato da lui in un momento successivo, spostato molto più avanti nel tempo, vale a dire la sua morte.
Dio stesso gli rivolge la domanda che rivela l'insensatezza del progetto:" a chi andranno le tue ricchezze, ora che devi morire? " Di colpo , il progetto di una vita costruita senza tenere conto del disegno di Dio appare per quello che è: una corsa a vuoto verso il suo annullamento.
Si potrebbe obiettare che il ricco potrebbe avere avuto dei figli e che dunque avrebbe accumulato non per sé, ma per assicurare loro un domani, in modo che essi , in un certo senso, costituissero il prolungamento di lui e del suo progetto anche dopo la sua morte. Oltre, a parte il fatto che la parabola non ne parla, ciò non farebbe altro che spostare i termini del problema: la ricchezza infatti non potrebbe fornire alcuna garanzia contro la morte nemmeno alla vita dei figli. La conclusione che Gesù stesso trae dalla parabola è, invece, che per salvarsi bisogna diventare ricchi agli occhi di Dio , cioè costruire la propria vita come ricerca incessante del Regno, rinunciando ala falsa sicurezza che viene dal possesso delle cose e che si traduce nel suo contrario, nella dipendenza delle cose stesse. Gesù ci ricorda che il "cuore " dell'uomo, cioè la sua natura più intima e vera, la sede degli affetti e della volizione, si definisce in rapporto a ciò che l'uomo stesso considera come propria ricchezza. L'immagine che egli usa, anzi, è ancora più forte, perché dà il senso di una dislocazione quasi fisica del cuore nel luogo della ricchezza, quasi un "uscire - da-sè- per-andare-a ". e ci fa venire in mente un celebre proverbio che si potrebbe parafrasare così :" dimmi ciò che vuoi e ti dirò chi sei ". Per questo Gesù consiglia di vendere i propri beni e di dare il ricavato in elemosina ai poveri.
2. La natura del rapporto tra uomo e ricchezza.
Un'ulteriore approfondimento viene ripreso nell'episodio dell'incontro con un uomo ricco (secondo Matteo 19,16-22, un giovane ricco). Ciò che colpisce nell'incontro è lo sguardo d'amore che Gesù rivolge al suo interlocutore dopo aver appreso della sua fedeltà a quella parte della legge che riguarda il rapporto con Dio , cioè il porre Lui al centro della propria vita. Ancora una volta, sono le ricchezze che, anche se ben impiegate, costituiscono la fonte della sicurezza e si frappongono come una barriera tra l'uomo e Dio stesso. L'invito di Gesù a sbarazzarsene provoca nel ricco disagio e tristezza e la decisione di allontanarsi dal maestro, lasciando supporre che tutto resterà come prima e che le lusinghe di una vita terrena pur onestamente condotta avranno la meglio sul desiderio della vita eterna.
E' opportuno far notare come, sia nella parabola che nell'episodio, Gesù dica di dare ai poveri il ricavato della vendita dei beni, ma senza enfasi, come se fosse una cosa logica e scontata. In altre parole, sembra che lo scopo dello spossessarsi sia solo indirettamente quello di beneficiare i poveri: il fine vero è quello di uscire da una condizione che non permette di riconoscere in Dio la fonte della salvezza. Inoltre, il giudizio di Gesù è sulla situazione, non sul processo che alla situazione ha portato, sulla ricchezza non sull'arricchimento. Non si dice cioè come quel tale che possedeva molte terre le abbia avute né che attività svolgesse il ricco dell'incontro.
Tuttavia, pur nel silenzio, sembra di poter dire, che il giudizio negativo sulla situazione coinvolga necessariamente anche il processo, anche se questo ultimo venga condotto nel rispetto della legge. Infatti non è in questione, la liceità della ricchezza (e dell'arricchimento) in rapporto alla povertà da essa generata, non si tratta di un problema di giustizia cioè quello sollevato spesso dai profeti, ma della natura stessa del rapporto tra uomo e ricchezza.
3. Il segno dell'idolatria
Una riprova di ciò, la si può trovare in un altro passo, che segue il racconto della parabola dell'amministratore astuto. Gesù parla di ricchezza che " puzza ingiustizia " (disonesta), ma lo fa per dire che: " Nessun servitore può servire due padroni: perché amerà l'uno e odierà l'altro; oppure preferirà il primo e disprezzerà il secondo. Non potete servire Dio e il denaro." ( Lc 16,13 ). Qui sono condensati i discorsi fatti in precedenza: la falsa sicurezza indotta dalla ricchezza porta all'idolatria, all'asservimento dell'uomo alle cose. Il denaro è la forza in grado di esaurire ogni desiderio del cuore umano e di trasformare persino la realtà e dunque ha degli attributi di tipo divino. Il suo possesso mira a trasferire questi poteri al suo possessore, dandogli la sensazione dell'onnipotenza. In questo movimento di appropriazione della fonte del potere , di iniziativa nei confronti della divinità, si riconosce il segno dell'idolatria, che si contrappone all'atteggiamento fiducioso di chi, avendo compreso l'insegnamento di Gesù su Dio Padre, gli si abbandona, lasciandosi in qualche modo possedere dalla fonte dell'Amore. Ancora una volta la ricchezza si frappone, con i tratti della divinità, tra l'uomo e Dio. Che cosa dire allora del nostro vivere attuale, così caratterizzato dal prevalere dell'aspetto economico su ogni altro? Non è forse vero che la sfera dell'idolatria si è ampliata, proponendo una sacrilega imitazione trinitaria nella triade: mercato - profitto - denaro? Il mercato come "padre" l'origine del "figlio" - profitto , quale principio regolatore in grado di garantire la massificazione, il tutto espresso in termini pervasivi del denaro come "spirito" del sistema.
Prima che per l'ingiusta distribuzione delle ricchezze e delle risorse del pianeta, che procura fame e miseria a più di due terzi dell'umanità; prima ancora che per lo sperpero dissennato di quelle risorse, che ci porterà in poche generazioni a vivere in una specie di gigantesca discarica; prima di tutto ciò, ci pare che questo sistema, basato su questa economia, sia condannabile in sé, perché dai tempi della Torre di Babele, rappresenta il più compiuto tentativo dell'uomo di contrapporre la propria signoria sul mondo a quella di Dio, e di escludere Lui dall'orizzonte della propria progettualità.
4. Economia: la scienza della scarsità.
Tra le tante definizioni alla voce "economia" vi si legge:" Scienza della scarsità, intesa come disciplina logica e prassi comportamentale diretta a realizzare i massimi risultati impiegando i minimi mezzi". In senso non tecnico intesa come " riduzione apportata a una spesa o a un consumo a fini di risparmio " e " sobrietà, misura ".
Se poi consideriamo il termine greco, esso significa letteralmente "amministrazione della casa ". Questa definizione etimologica rivela che le radici dell'economia affondano in quell'insieme di scelte ed azioni con cui un nucleo di persone, che vivono sotto lo stesso tetto, cerca di far fronte alle proprie necessità di vita nel miglior modo possibile.
Va da sé, che nella determinazione di " ciò che serve " entrano altri criteri di valutazione extra-economici, che definiscono e circoscrivono la sfera dei cosiddetti " bisogni ".Vi si inserisce qui ancora una volta il richiamo di Gesù sulle ricchezze. Il richiamo ai gigli del campo e agli uccelli del cielo (Lc.12,22ss) vuole sottolineare l'essenzialità dei bisogni elementari dell'uomo (cibo e vestito, cui potrebbero essere ricondotte per analogia salute e abitazione ) che non vale la pena di ricercare per se stessi, ma solo come condizioni per un vivere che voglia aprirsi al Regno, e dunque a Dio e agli uomini e al mondo tutto, trovando in esso il criterio di discernimento di ogni altro bisogno ( cultura, relazione, infinito: in una parola amore). In questa prospettiva, l'economia viene ricondotta alle origini di se stessa, sottraendola alla abnorme dilatazione che il capitalismo le ha impresso. Ancora, ciò fa risaltare per contrasto, la diversità in cui oggi noi ci troviamo, non solo nei confronti delle popolazioni dei paesi poveri, ma anche in rapporto al nostro stesso passato. La scarsità di beni e servizi ( per noi della società Nord-Atlantiche) non è più un problema, lo è semmai la loro sovrabbondanza, che scardina il presupposto su cui l'economia si fonda e, per ricrearlo in qualche modo , costringe a dilatare indefinitamente la sfera dei bisogni, soprattutto di quelli soddisfabili con l'acquisto e la vendita, cioè per i quali esiste un mercato a scapito degli altri. In tal modo il sistema dei valori evangelici ne risulta sovvertito e si produce quell'antinomia insanabile che fin dall'inizio si è evidenziato.
5. Conclusioni aperte
Queste riflessioni sono nate dalla presa in esame di alcun numeri del nostro Direttorio Generale:" Vigileremo per rifiutare ogni investimento che sia in contrasto col nostro impegno per la pace e la promozione umana "(DG 51). E' vero che l'economia ha le sue leggi, ma l'economia non è assoluta, essa fino a prova contraria appartiene all'ordine dei mezzi, perciò va soggetta all'uomo, quindi all'etica, cioè a modelli ispiranti il comportamento pratico dell'uomo. Necessita mettersi in guardia da facili ottimismi fidandosi degli automatismi del mercato, non cedere al fatalismo in materia economica, appellandosi al margine di scelta che esiste sempre in economia. Due modelli valutativi possono guidare ulteriormente la ricerca.
a. " Non cercare di arricchirti"
E' l'avidità dell'avere di più, perché è di più. sarebbe idolatria sostituire l'avere-ricchezza con il regno. Ciò equivale a negare la povertà evangelica come dimensione dell'essere-agire del cristiano, come valore esistenziale a livello di " dono " dello Spirito che ci fa vivere a misura di Dio. Cogliendo la verità esistenziale della nostra vita alla luce dell'assoluto che è Dio-il Regno, la povertà evangelica ci impegna, di conseguenza, a diventare cooperatori del piano di Dio nel mondo trasformandosi in carità. La ricchezza e la miseria sono sempre catene da cui liberarci, per realizzare se stessi e la condizione del prossimo. La ricchezza come alternativa alla povertà, non può essere programma cristiano, ne la miseria può essere sostituita dal superfluo. I religiosi, come ha fatto Dio in Gesù, trovano la loro collocazione naturale presso i poveri per liberarli "dalla " povertà alienante e apribili "alla" povertà come valore di libertà-sapienza-disponibilità al messaggio divino di fraternità. b. " Se hai, hai per dare "
E' il secondo criterio valutativo, inscindibilmente connesso al primo. L'uso dei beni non è regolato dall'avarizia, ma dalla logica del Regno, cioè dalla carità-condivisione con tutti o effettiva solidarietà. E' l'attuazione del valore primario della destinazione universale dei beni, da armonizzare con il diritto della proprietà privata, con il dovere cioè di provvedere al "minimo necessario per la propria sussistenza" e quindi poter rispondere alla chiamata di Dio, alla realizzazione di sé e al servizio del prossimo.Distinguere il "minimo necessario" dall'utile e conveniente", da ciò che " non è più nostro, ma dei poveri" implica rivedere l'impostazione economica e la gestione delle nostre opere. E' il dilemma tra povertà ed efficienza all'interno della Congregazione, un certo inevitabile antagonismo tra polo "profetico" e la sua "incarnazione nel mondo". Nella persuasione che esiste una "soglia" in cui i valori cambiano di segno e che pertanto il discernimento deve trovare equilibrio nella situazione attuale, senza radicalizzare i due poli in questione: l'efficacia evangelica e l' efficienza visibile. Questi spunti, vogliono così presentare l'articolo di p. P. Sopher c.s.c, Criteri etici ed investimento. Inoltre vi si aggiunge una domanda che potrebbe raccogliere altri contributi per dare risposte a un dibattito in corso: " Quale atteggiamento operativo dobbiamo maturare, di fronte alla "dissennata linea neo-liberista" proposta dal nuovo ordine economico mondiale?" Dobbiamo ammettere che un certo consumismo "ci ha fiaccati un po' tutti ". Si tratta di ripensare la nostra presenza, per "essere idonei" ad annunciare il Vangelo oggi, a questa umanità. Dalla Zuanna Paolo Elio