General Conference Background Document #23

La presente conferenza è stata esposta a Roma dallo statunitense padre Patrick Sopher, vicario generale della Congregazione della Santa Croce nell’ambito di un Forum promosso dalla Commissione Giustizia, pace e salvaguardia del Creato, organismo espressione delle due Unioni mondiali dei Superiori e delle Superiore Generali. Il Forum al quale hanno partecipato circa 150 religiosi\e provenienti da vari Paesi del mondo in rappresentanza di 60 Congregazioni, aveva per tema :"Dove va il nostro denaro ? Criteri etici e investimenti. Una dimensione della nostra missione"

I religiosi chiamati a diventare "manager della solidarietà", ma a condizione che " le politiche di investimento delle loro Congregazioni diano priorità alla giustizia sociale e alla promozione dei poveri". La posta in gioco è attivare delle " strategie di investimento" tese al fine della giustizia sociale. Diventa una condizione per una futura credibilità e fedeltà al dettato evangelico.

traduzione a cura servizio Linguafax (PO)
revisione del testo p. Elio Dalla Zuanna.

Criteri etici e investimento

Padre.Patrick Sopher, c.s.c.

Qualche mese fa ho chiesto ad un esperto di programmazione economica quale fosse oggi il problema più importante delle comunità religiose . Fui sorpreso dalla sua risposta: mi disse che era scandalizzato dalla quantità di denaro che molte comunità religiose stavano mettendo da parte per il futuro. Sebbene riconoscesse che vi fossero alcune comunità con seri problemi finanziari, tuttavia riteneva che molte altre fossero impegnate nell’accumulare denaro in maniera tale da non venir usato ne per promuovere il sacerdozio apostolico ne a breve termine ne in vista del futuro onde provvedere ai bisogni della congregazione.

Non sono in una posizione di poter confermare o respingere queste affermazioni. So solo che, poiché ha assistito molte congregazioni con la programmazione a lungo termine, la sua opinione dovrebbe avere un certo peso. Ma l’aspetto che mi preoccupa è il fatto che abbia trovato parecchi indizi per arrivare a fare queste affermazioni, poiché è un consulente finanziario molto cauto e prudente.

Il suo commento mi conduce al primo criterio che vorrei offrire per la nostra riflessione sull’etica e gli investimenti.

Dobbiamo utilizzare le nostre risorse come beni di religiosi votati alla povertà per se stessi e impegnati nelle giustizia sociale per i poveri di questo mondo.

Ognuno di noi vede il voto di povertà in modi diversi. Aspetti giustificati dal fatto che apparteniamo a congregazioni con tradizioni e sensibilità diverse. Inoltre ciascuno di noi pronuncia i propri voti secondo le Costituzioni degli Istituiti di appartenenza.

Tuttavia, il documento sulla vita religiosa del Concilio Vaticano II insiste che, per tutti i religiosi, il significato di povertà non è semplicemente "povertà di spirito". Non basta dipendere dai propri superiori per le decisione sull’impiego delle cose; ci deve essere anche una povertà di fatto oltre alla povertà del distacco. Inoltre, la legge canonica, parafrasando il Perfectae Caritatis, specifica che "Tenendo conto delle condizioni locali, gli istituti religiosi devono cercare di dare, si può dire, una testimonianza collettiva della carità e della povertà e devono contribuire ciò che possono dei propri beni per i bisogni delle chiesa ed il sostentamento dei poveri" (can. 640).

Per stabilire con quanto possiamo contribuire in favore di coloro che hanno bisogno, abbiamo una responsabilità etica di fare delle analisi accurate delle risorse e impegni della nostra comunità. Queste analisi devono comprendere delle proiezioni prudenti ma devono anche essere molto approfondite. Dati i diversi modi di denunciare uno stato patrimoniale in uso nel mondo, spesso non è facile calcolare tutte gli attivi e passivi che si possono avere al livello della congregazione, o al livello provinciale o anche locale. A volte ci possono essere notevoli riserve finanziarie come fondi fiduciari strutturati separatamente che non sono affatto evidente. Altre volte ci sono dei passivi importanti come la manutenzione differita di strutture imponenti, che non appaiono nel bilancio ma che prima o poi dovranno essere affrontati. Dobbiamo insistere che le nostre analisi finanziari se ne occupino.

Quando abbiamo un quadro abbastanza chiaro dei nostri attivi e passivi dobbiamo valutare come ci stiamo preparando a rispondere ai nostri bisogni futuri, particolarmente nel campo della promozione delle vocazioni, nella formazione, supporto del clero, educazione professionale, salute e pensionamento. Dobbiamo evitare certe posizioni estreme nel fare questi tipi di valutazioni.

Da una parte dobbiamo cercare di essere realisti per quanto riguarda le fasi necessarie per soddisfare i nostri obblighi. La maggior parte di noi è già responsabile, e lo sarà ancora di più in futuro, per la cura e mantenimento del clero malato e anziano. Molti di noi lavoriamo in luoghi dove, a causa della povertà, il sostegno finanziario della formazione e sacerdozio è carente e rimarrà carente per il futuro prevedibile. Abbiamo una responsabilità molto concrete in queste aree. Queste responsabilità dovranno essere soddisfatte ora e per molti anni a venire e sono una grande preoccupazione per noi. Nel passato a volte abbiamo minimizzato o ignorato questi obblighi. Tuttavia credo che oggi il nostro errore e di dar loro troppo peso e così facendo di esagerare i nostri bisogni interni. Come possiamo evitare di passare da un estremo all’altro?

Dobbiamo chiedere a coloro che ci assistono con i nostri studi fiscali di essere il più preciso possibile e dobbiamo valutare le loro proiezioni periodicamente alla luce dell’esperienza effettiva. La mia percezione è che i consulenti e commercialisti professionisti tendono a stimare i passivi per eccesso e le risorse per difetto. Devo ammettere che ci sono delle eccezioni, e che dobbiamo essere prudenti in questo campo. Il modo migliore per assicurarci un’analisi accurata è di lavorare insieme ai nostri consulenti e di mettere in discussione le loro proiezioni quando non collimano con la nostra esperienza. E, più importante, quando esaminiamo i risultati di questi studi dobbiamo ricordarci chi siamo.

Siamo uomini e donne religiosi per i quali l’attività apostolica e caritatevole è la vera e propria essenza della vita che abbiamo scelto. Non possiamo analizzare i nostri bisogni interni senza valutarli alla luce della nostra chiamata alla povertà e ai bisogni dei poveri. Dobbiamo studiare come possiamo usare le nostre risorse per soddisfare i nostri bisogni istituzionali mentre allo stesso tempo li usiamo per risolvere i problemi di un mondo ingiusto.

Quando ero un giovani frate il mio superiore provinciale era un uomo di poche parole che, quando poi parlava, parlava chiaro. Mi ricordo che ci disse una volta che il nostro servizio della missione contava principalmente su "uomini e denaro". Gli anni mi hanno insegnato che ci sono molti altri elementi ma devo riconoscere che quelli chiavi sono le risorse umane e finanziarie. Tutte le nostre comunità sono state molto generose negli anni nell’inviare del personale a servire ovunque nel mondo vi fosse più bisogno. Certe nostre comunità non hanno più tante persone da inviare. Tuttavia molti di noi hanno risorse materiali che possono essere usate per promuovere la giustizia ed assistere i poveri ad aiutare se stessi. Molti di noi usano denaro preso dal bilancio operativo per questi scopi. Io credo che dobbiamo guardare anche alle nostre riserve finanziarie come risorse per le missioni, soprattutto per aiutare coloro che soffrono di più. Come possiamo farlo con maggiore efficacia?

Le procedure relative al concetto di Investimento Socialmente Responsabile o Eticamente Responsabile possono guidarci nell’impiego delle nostre riserve finanziarie per le missioni. Una volta che abbiamo valutato i nostro obblighi e risorse, calcolato i nostri bisogni futuri e valutato la nostra capacità di assistere gli altri, possiamo decidere sulla strategia o strategie di investimento socialmente responsabile per la nostre comunità. Notate che non dico che "possiamo decidere se investire o meno in un modo socialmente responsabile". E’ mia opinione che non abbiamo scelta: Dobbiamo investire in un modo socialmente responsabile. Non tutti sono d’accordo. Un superiore provinciale con cui ho lavorato l’anno scorso ha fatto obiezione a questo criterio. Ha detto:

"Io ammetto che la priorità più alta nell’investimento durante il periodo in cui sono stato in carico è stato di guadagnare fondi sufficienti per aiutare la provincia nel suo sforzo di eseguire la missione della congregazione. Non ho mai concepito l’investimento come uno strumento di ingegneria sociale come fanno altri ordini religiosi."

La mia risposta è stata che tutte le comunità religiose sono impegnate a promuovere la giustizia sociale; questa è una precisa parte della loro missione. Credo inoltre che tutti gli investimenti hanno conseguenze sociali: alcuni aiutano le persone ad ottenere ciò che è loro dovuto come esseri umani; altri non le aiutano ad ottenere ciò che è loro dovuto; altri ancora, invece, promuovono l’ingiustizia, almeno in modo indiretto. Tutti gli investimenti devono essere giudicati dal punto di vista della giustizia. La vera domanda da fare è, secondo me: "Quale strategia socialmente responsabile può essere adottata da una comunità con le risorse umane e materiali a sua disposizione?"

Ci sono tre strategie principale per investire in modo socialmente responsabile: (1) L’acquisto basato su precisi principi, (2) la partecipazione attiva, (3) l’investimento alternativo.

Acquistare in base a precisi principi significa che un investitore non investe in società che forniscono prodotti o servizi, o applicano delle politiche, che vanno contro i valori dell’investitore. Inoltre, alcuni investitori richiedono specificamente che i loro gestori investono in società che promuovono certi valori.

I criteri religiosi più comuni per NON investire in certe società sono che esse:

Inoltre, alcuni investitori religiosi NON investono in società che

La ragione più comune dato dagli investitori per INVESTIRE in certe società sono che:

Gli investitori devono avere delle politiche scritte che esprimono questi valori o gli eventuali altri valori che decidono di promuovere, in modo da condividere questi valori con i gestori e consulenti di investimenti. Gli investitori devono anche prendere il tempo necessario per valutare periodicamente le loro partecipazioni per verificare che queste non abbiamo prodotti, servizi o politiche aziendali che contrastano con i loro valori. Le informazioni necessarie per assistere gli investitori con queste valutazioni sono disponibili. Poiché tutti gli investitori valutano regolarmente gli aspetti finanziari degli investimenti attuali o proposti, l’aggiunta della dimensione di giustizia sociale alle loro valutazione può essere fatta in un modo regolare e sistematico.

Ritengo che tutte le comunità religiose, indipendentemente delle loro necessità finanziarie, devono mettere in pratica l’acquisto in base a precisi principi.

La partecipazione attivo si basa sul fatto che un azionista è un socio nell’impresa. La proprietà conferisce certi diritti: (1) il diritto a votare nelle elezioni dei consigli di amministrazione; (2) il diritto di dialogare con i dirigenti e funzionari societari; (3) il diritto di essere presente alle assemblee di azionisti con voce e voto; (4) il diritto di introdurre delibere societarie per l’esame del consiglio di amministrazione e degli altri azionisti. Questi diritti permettono agli azionisti di influenzare il comportamento delle società. Sebbene, per molte ragioni, spesso questi tentativi sono vani, la pubblicità che ne deriva può creare delle pressioni sulla società e queste pressioni possono costringere la società ad adottare gli atteggiamenti desiderati.

La partecipazione attiva richiede un lavoro molto accurato e attento; è necessario che un esperto indaghi sulle attività della società; occorre uno scambio di corrispondenza con i dirigenti e collaborazione con altri interessati ai problemi della giustizia sociale; occorre presenziare alle assemblee degli azionisti, preparare, sottoporre e votare le delibere. Le congregazioni potrebbero non disporre del personale con il necessario tempo o esperienza per mettere in pratica la partecipazione attiva. Comunque è possibile ovviare a questo problema.

Ci sono dei gestori di investimenti che sono specializzati in investimenti responsabili. Gli investitori possono accettare integralmente o in parte le direttive di responsabilità società implementate da questi gestori. Possono anche indicare ulteriori direttive. I gestori specializzati in investimenti socialmente responsabili forniranno anche tutte le informazioni utili per intraprendere delle azioni di "partecipazione attiva" se l’investitore lo desidera.

Molti gestori di investimenti, compreso alcuni di quelli specializzati in investimenti socialmente responsabili, hanno dei minimi molto alto per i pacchetti gestiti su base individuale. Tuttavia è possibile per un gruppo di investitori che da soli avrebbero troppo poco liquido per un pacchetto individuale di unirsi un una "struttura contabile unificata". Questa struttura permette a diversi reparti di una sola organizzazione (come le province di una congregazione o diverse università sponsorizzati da un ordine religioso) di condividere un solo pacchetto a gestione individuale. Per le comunità o gruppi di istituti che non dispongono della cifra minima per un pacchetto a gestione individuale, società come la Christian Brothers Investment Services (CBIS) mantengono dei fondi comuni a gestione aperta che sono impiegati a sostegno della partecipazione attiva.

Ci sono molte associazioni che forniscono notizie ed opportunità di assistere nell’acquisto sulla base di precisi principi e la partecipazione attiva; il Comitato ecumenico per la responsabilità sociale (ECCR) è un organo associato al Consiglio delle Chiese per la Gran Bretagna e l’Irlanda. Il suo programma comprende un monitoraggio delle società in cui le chiese investono, soprattutto le multinazionali con sede in Gran Bretagna. La Interfaith Center on Corporate Responsibility (ICCR) è una coalizione di 275 investitori istituzionali (Protestanti, Ebrei e Cattolici) degli USA e Canada che usano i loro investimenti per rendere responsabili le società degli effetti delle loro attività sulla società e l’ambiente. La Taskforce on the Church and Corporate Responsibility (TCCR) compie indagini e svolge azioni riguardanti l’impatto ambientale delle attività delle società canadesi e le politiche governative in merito. Inoltre, è possibile ottenere notizie delle organizzazioni nazionali delle tesoriere religiose (come la NATRI negli Stati Uniti), dalle organizzazioni regionali interessate alla responsabilità sociale, notiziari e relazioni sulle società. Con queste risorse, un istituto può lavorare da solo o con altri per redigere un elenco delle società in cui vogliono investire nonché una lista di quelle in cui non vogliono investire.

Molti istituti religiosi dispongono ora di comitati di consulenza sugli investimenti, composti di persone laiche e religiosi con un’ampia esperienza negli investimenti e con una dedizione dimostrata ai valori della giustizia sociale, alla Chiesa e alla congregazione. Questi comitati possono assistere gli istituti con l’acquisto basato sui principi e sulla partecipazione attiva. Possono fornire una guida professionale consistente e continuativa ai gestori impiegati dall’istituto. Possono aiutare l’istituto a verificare che i valore indicati nella politica di investimenti siano rispettati dai gestori. Possono anche agevolare i cambiamenti di amministratori religiosi, fornendo una continuità affinché ogni nuovo tesoriere, superiore provinciale o generale non debba cercare immediatamente a capire tutti gli elementi necessari per sovrintendere agli investimenti. Un approccio alternativo è di avere un comitato di consulenza finanziaria che si occupa degli investimenti ma che aiuta l’istituto anche a valutare le sue necessita a lungo termine, i comportamenti finanziari interni, i modi di documentare le operazioni finanziarie, ecc. Un comitato di consulenza finanziaria ha bisogno di persone con esperienza anche in campi diversi dall’investimento. Deve avere revisori, esperti di assicurazione, banchieri ed altri specialisti della finanza.

Investimenti Alternativi sono investimenti mirati specificamente al raggiungimento di benefici sociali. Poiché questo è l’obbiettivo primario, coloro che fanno investimenti alternativi devono essere disposti ad accettare un maggior rischio di redditività inferiore ai livelli del mercato. Quando avranno completato i loro studi finanziari, alcune congregazioni potranno trovare che le loro riserve finanziari sono in grado di produrre un reddito eccessivo a coprire le loro necessità. Altri istituti potranno vedere che le loro risorse sono più limitate e che devono cercare di guadagnare il più possibile dagli investimenti. In ogni caso, tutte le congregazioni devono prendere seriamente in esame la possibilità di investire una parte significativa delle loro riserve finanziarie in investimenti alternativi.

Questi investimenti possono beneficiare molto i poveri, operando al sostegno della costruzione di case popolari, dello sviluppo delle imprese da parte di minoranze etniche, e degli istituti di credito a livello della comunità, per citare solo alcune possibilità. Queste attività possono permettere agli istituti religiosi con pochi o più anziani operatori a continuare ad avere un impatto apostolico in modi che sono significativi ed efficaci. Se un gruppo di province o anche di istituti si unisce nel fare investimenti alternativi, sarà possibile fare molto bene e dare un ottimo esempio per gli altri.

Poiché il Sig. Maanen vi parlerà di questo approccio con maggiori dettagli, non mi dilungherò oltre.

Una politica scritta a chiare lettere e applicata in modo efficace è la chiave per il successo di tutt’e tre tipi di investimento. Molte politiche di investimento guardano principalmente alla redditività, livello di rischio, combinazioni di portafoglio, sicurezza del capitale investito, ecc. Questi elementi sono importanti, naturalmente, e devono essere indicati, ma la politica di investimento per un istituto religioso deve dare la priorità ad interessi di giustizia sociale.

La mia esperienza è che molte politiche di investimento degli istituto religiosi guardano gli aspetti negativi, cioè, a ciò che devono evitare. Indicano i comportamenti e politiche aziendali che possono squalificare un’impresa considerata per un investimento. Molte delle politiche che ho visto non indicano che gli investimenti devono essere fatti in società che promuovano obbiettivi sociali positivi. Io credo che una politica di investimento deve fare entrambi. Inoltre, credo che una politica di investimento debba promuovere investimenti alternativi, anche al rischio di una redditività minore sull’investimento.

Ogni istituto deve porsi certi quesiti quando redige o revisiona una politica di investimento: "Come lo definiamo un investimento socialmente responsabile?" "Dobbiamo limitare la nostra definizione ai problemi affrontati nell’insegnamento ufficiale della Chiesa o dobbiamo includere problemi come la produzione e uso di tabacchi o alcolici?" "Se dobbiamo includere problemi ‘non specificamente legati alla Chiesa, quali devono essere?" Questi non sono quesiti teorici. Quando il nostro istituto stava sviluppando le sue direttivi di investimento per tutta la congregazione vi fu un dibattito molto acceso su alcune questioni. Un superiore provinciale scrisse, "Proibire l’acquisto di partecipazioni in società che possiedono o progettano centrali nucleari è molto limitativo in quanto non tutti sono d’accordo che uso pacifico dell’atomo sia negativo". Un tesoriere provinciale (non-fumatore) osservò che "l’investimento nelle società produttori di tabacchi è stato preso di mira, ma non esiste una presa di posizione definitiva che dice che fumare sia immorale e contrario agli insegnamenti della Chiesa." Il suo suggerimento era che "le direttive adottate al livello della congregazione dovrebbero essere generiche, tenendo in considerazione il livello di esperienza necessario per gestire l’investimento e, sulle questioni dove l’insegnamento della Chiesa non è esplicito o assoluto, si dovrebbe lasciare lo spazio per lo sviluppo della società e della Chiesa per influenzare le decisioni di ogni provincia."

Alla fine, tutti i superiori provinciali e distrettuali si sono messi d’accordo su una politica. Comunque ci sono voluti due anni di attento dibattito per completarla. Un fatto importante che è emersa dalla discussione è che i superiori provinciali e distrettuali devono accertarsi che gli elementi della politica di investimento della congregazione particolari a quella società vengano adottate dalle società gestite o sponsorizzate dalla congregazione. Implementare questa decisione richiederà tempo e accurate trattative. Date le risorse a disposizione di molte di questi istituti, i risultati di questa iniziativa potranno valere bene il tempo e lavoro necessari per implementarla.

La nostra politica si rivolge a tutti i superiori provinciali e distrettuali chiamandoli a non investire in quelle società che offrono certi prodotti o servizi, o che mantengono certe attività in contrasto con i principi di giustizia sociale; invita ogni provincia e distretto a partecipare attivamente nelle società per denunciare certe attività e di unirsi ad altri investitori che la pensano come loro per promuovere attività socialmente giuste e chiede ad ogni superiore provinciale e distrettuale di fare investimenti alternativi come mezzo per aiutare i popoli emarginati del mondo.

Vorrei concludere discutendo un aspetto molto delicato che emerge quando i religiosi esaminano le direttive politiche relative agli investimenti alternativi: "Quanto possiamo permetterci di investire?". La cautela spesso ci porta a fare ciò che posso solo chiamare gesti simbolici quando si tratta di investimento alternativo. Dobbiamo rifletterci. Nel Vangelo di San Marco leggiamo della povera vedova che mise due piccole monete nel tesoro del tempio. Il commento di Gesù era, "Questa povera vedova ha dato più di tutti coloro che hanno contribuito al tesoro perché costoro hanno dato denaro che potevano permettersi, ma lei nella sua povertà ha dato tutto ciò che aveva, tutto ciò di che vivere" (Marco 12:44).A volte penso ai fondatori di molte comunità religiose e a come mandavano sia personale che denaro alle missioni e chiedevano a tutti i settori dei loro istituti di contribuire, anche i più poveri. Credo che dovremmo cercare di ricuperare quello spirito. Il distacco e la disponibilità di dare non sono mai facili. Solo una fede come quella della povera vedova può motivarci a dare anche ciò che serve a noi. Se non riusciamo a superare le nostra priorità interne e concepire la nostra posizione come quella di chi fa parte di una missione globale verso i poveri e diseredati, il nostro dare non sarà né generosa né gioiosa. Se scegliamo di fare i sacrifici e di correre i rischi necessari, dobbiamo anche capire che il nostro dare può veramente costarci perché non viene più dalla nostra abbondanza. Tuttavia, come discepoli di Cristo, dobbiamo essere disposti a seguire il nostro maestro nel mistero del suo stesso dono. Come ci dice San Paolo, "Siete consapevoli della generosità del nostro Signore Gesù, che sebbene fosse ricco, divenne povero per amor vostro, affinché poteste arricchirvi attraverso la sua povertà" (2 Cor. 8,9). I primi cristiani ed i primi membri dei nostri istituti hanno dato volentieri tutto ciò che potevano dare. E noi, come discepoli moderni, siamo chiamati a fare meno?