General Conference Background Document #4

Le radici bibliche del Giubileo.

L'anno della liberazione di Domenico Pritta

IL RISCATTO DEL POVERO

«Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; sia presso di te come un bracciante, come un inquilino. Ti servirà fino all'anno del giubileo; allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri» (Levitico, 25,39-41).

L'anno della liberazione di Israele si caratterizza per il ritorno ai propri campi, il riscatto degli schiavi e il riposo della terra.

Al centro di questo anno si trova la dignità della persona, della famiglia e della terra, o dei beni; secondo il pen-siero vetero-testamentario, questi non appartengono a nessuno, ma solo al Signore, e perciò vanno riportati alla loro originaria identità di doni del Signore.

Nel libro del Levitico (Lev 25,8-55) troviamo il testo più antico sul giubileo ebraico.

Nella prima parte si stabilisce la data della celebrazione: «Conterai sette settimane di anni, sette volte sette anni, e le sette settimane di anni saranno per te quarantanove anni... santificherete il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione su tutto il paese per tutti i suoi abitanti».

Vengono poi stabilite le prescrizioni da rispettarsi in questo anno speciale, anzitutto: «Poiché è il giubileo, esso sarà sacro per voi; mangerete soltanto il prodotto dei campi» (Lev 25,12).

La normativa levitica dell'anno giubilare viene presentata sulla falsariga dell'anno sabbatico (Lev, 25,2-7), ovve-ro: un anno di riposo delle terre in cui viene impedita ogni semina o raccolta dei campi e delle vigne. E poco più avanti sembra venire la spiegazione: «Il sono il Signore vostro Dio... perché la terra è mia, perché forestieri e inquilini siete voi presso di me» (Lev 25, 17 e 23).

E infatti, l'anno stabilisce per conseguenza almeno due norme relative alla compravendita dei terreni e al con-sumo dei raccolti del settimo anno (Lev 25,13-22) e tre norme relative al riscatto della terra, delle case e delle persone (Lev 25,23-55).

Forse uno degli strati più antichi, in termini di formazione dell'anno giubilare è rappresentato dal riposo della terra. Nelle società agrarie primitive, questo non era solo consigliato, ma esigito dalla stessa natura del terreno che doveva periodicamente essere lasciato a riposo, affinché riacquistasse le sostanze e le energie necessarie per riprodurre buoni raccolti negli anni successivi. In Levitico 25,6 il maggese dell'anno sabbatico serve da provvi-denza non solo per i poveri, ma per gli stessi proprietari terrieri. Quest'universalizzazione della provvidenza di-vina permane anche per l'anno giubilare. Tuttavia, mentre per il maggese dell'anno sabbatico si è invitati a nu-trirsi di ciò che i campi producono spontaneamente, per quello dell'anno giubilare la provvidenza divina viene relazionata all'anno precedente, il sesto, che «produrrà un raccolto abbondante» (v. 21), sufficiente per il setti-mo anno.

La prima legge sul riscatto della terra contempla tre modalità fondamentali di riscatto della terra:

a) mediante un riscattatore appartenente alla propria famiglia (v. 25);

b) mediante i propri stessi mezzi (vv. 26-27);

c) in occasione dell'anno giubilare (v. 28).

Per ciò che concerne il riscatto delle case, le prescrizioni per l'anno giubilare superano le vecchie norme, valide più per una società nomade e propongono una legislazione più attenta all'urbanizzazione e alla sedentarietà della popolazione.

Ma la norma davvero più interessante e innovativa è quella sul riscatto delle persone (Lev 25,35-55). Essa è an-che la più ricca dal punto di vista contenutistico e teologico. Riguarda il diritto di riscatto per gli ebrei che lungo la loro esistenza cadono per debiti o altro in situazione di schiavitù.

Naturalmente il diritto di riscatto vale soltanto per gli ebrei; nei versetti 44-46 si tiene a precisare che, poiché il diritto vale soltanto per gli ebrei, gli schiavi potranno essere acquistati dagli stranieri; in quest'ultimo caso anche gli schiavi possono essere lasciati in eredità ai propri figli.

La pericope è cadenzata dalle motivazioni teologiche che regolano l'Alleanza con il Popolo Eletto: «Io sono il Signore vostro Dio che vi ho fatto uscire da paese di Egitto...» (v. 38); «Poiché essi sono i miei servi che il ho fatto uscire dal paese d'Egitto essi non devono essere venduto come schiavi» (v. 42); «Poiché gli israeliti sono miei servi, servi miei...» (v. 55).

La prima ragione teologica si riferisce all'usura, considerata come forma di schiavitù nei confronti del proprio fratello. Poiché tutti sono stati liberati dall'Egitto e a tutti è stata donata la terra di Canaan, in parti uguali, la pratica dell'usura stabilisce delle pericolose differenze sociali e, di fatto, l'impossibilità al riscatto della propria terra, sino all'anno del giubileo. La contestazione dell'usura, attraverso questa prima motivazione teologica, di-mostra come, in realtà, questa venisse abbondantemente praticata in Israele.

La seconda motivazione teologica (v. 42) riguarda il tipo di relazione da instaurare, tra ebrei, in base al rapporto con il Signore: nessuno può trattare il proprio fratello come servo perché egli è, in definitiva, servo del Signore e non dell'uomo. Questa ragione fondamentale prescinde da qualsiasi editto regale di amnistia e da qualsiasi anno giubilare: in ogni tempo e in ogni situazione il proprio fratello non può essere trattato come uno schiavo, bensì come un dipendente che bisogna soccorrere a causa dell'indigenza nella quale può trovarsi con tutta la famiglia.

La terza motivazione teologica (v. 55) insiste sulla condizione di servizio nella quale si trovano tutti gli ebrei ri-spetto al Signore; per questo, comunque, nell'anno giubilare essi devono ricevere la possibilità di tornare alla propria famiglia e in possesso del proprio terreno.

La profezia di Isaia (Is XX,X) supererà definitivamente la restrizione di queste norme. Riconducendo all'intervento finale del Signore un anno (un tempo) definitivo di liberazione per i poveri, per gli schiavi e per i prigionieri.

Il riscatto non è più solo del popolo di Israele, ma dell'intera umanità. E infatti, il primo intervento pubblico di Gesù nella Sinagoga di Nazaret comincia con l'adempimento nell'"oggi" di questa profezia. Mediante l'ideale della condivisione dei beni, la Chiesa si propone di realizzare le esigenze fondamentali dell'anno giubilare: la comunione di fede in Cristo determina la comunione dei beni in vista di una solidarietà ecclesiale tra ricchi e poveri, forti e deboli. L'utopia dell'anno giubilare può determinare un autentico recupero della dignità umana e dei valori del tempo e dello spazio posti a servizio dell'uomo affinché non dimentichi che «tutto è nostro, ma noi siamo di Cristo e Cristo è di Dio».