Sono un laico che &emdash; per vicende familiari e, ora penso, per grazia provvidenziale &emdash; ha respirato fin da piccolo la spiritualità di Don Orione vivendo in istituti retti da suoi religiosi.
1. Gratitudine
È con viva gratitudine che mi presento qui a voi, avendo risposto con slancio all’invito rivoltomi circa un anno fa da padre Wardjito. Diversi sono i motivi di questa gratitudine. Alcuni anni orsono ho avuto, come autore di un testo per l’insegnamento di religione nella scuola elementare, rapporti con le Edizioni Dehoniane di Bologna e ho goduto dell’accoglienza calda e fraterna di padre Andrea Tessarolo e dei suoi confratelli. In via Nosadella ho respirato lo stesso clima di famiglia che mi avvolgeva nelle case di Don Orione. L’invito di Padre Wardjito, poi, mi ha offerto l’opportunità di conoscere qualcosa del vostro padre Fondatore. Ho trovato tanti punti di raccordo tra le due spiritualità alla scuola delle quali voi ed io siamo cresciuti. L’attenzione alle cose del mondo, l’esigenza di una solida formazione, la centralità di Cristo &emdash; il sacro Cuore seguendo la spiritualità francese, padre Dehon, il Crocifisso secondo una sensibilità più italiana Don Orione &emdash; l’amore fattivo per l’uomo, la condivisione e la collaborazione con i laici, la molteplicità delle attività apostoliche, tutte volte però a "fare di Cristo il cuore del mondo" (p. Dehon) e a "instaurare omnia in Christo" (Don Orione). È proprio la consapevolezza e l’impegno di partecipare ad un compito così grande &emdash; dare un contributo all’avvento del Regno di Dio &emdash; che ci fa sentire l’importanza di questo nostro incontro. Se siamo qui è perché i nostri Padri, come pionieri, hanno valorizzare il ruolo dei laici, quali cooperatori della missione che Dio aveva loro affidato. Per riflettere su questa esperienza originaria e dare ad essa continuità e sviluppo, aggiornandola ai bisogni e alle domande degli uomini di oggi, noi siamo qui oggi. Grazie per avermi offerto l’opportunità di parteciparvi.
2. La forza di un carisma
Quando, per varie vicende, ho cominciato a riflettere in maniera più sistematica e critica sulle motivazioni di un rapporto con i religiosi di Don Orione che, pur non essendosi mai interrotto, era chiamato ora (mi riferisco a una quindicina d’anni fa) ad un "salto di qualità" verso una più immediata ed espressa condivisione del carisma e ad una partecipazione diretta e coinvolgente alla missione dell’Opera di Don Orione, in una più stretta comunione di vita con i religiosi orionini, ho individuato la forza trainante in questa grandiosità di visione che mi ha sempre affascinato: "instaurare omnia in Christo", "rinnovare in Cristo l’uomo e la società", come parafrasava Don Orione, "arando Cristo nel cuore degli uomini".
Don Orione ha vissuto la sua formazione giovanile sotto il pontificato di Leone XIII, del quale ammira la "grande politica" di ricostruzione di un nuovo ordine mondiale, animato dal vangelo e guidato dalla Chiesa. In Italia, dopo il "non expedit" di Pio IX, i cattolici erano lontani dalla politica attiva nazionale, divisi in due fazioni: gli intransigenti, fautori del papa, mostrano da una parte una chiusura intransigente, appunto, verso le "cose nuove" del mondo moderno, ma dall’altra sono molto attivi nella promozione sociale delle masse più povere; i transigenti, da parte loro, ritengono, invece, che con il mondo moderno si debba dialogare valorizzando gli aspetti positivi delle "cose nuove" che caratterizzano la società e la cultura moderne e che si ci debba attrezzare allo scopo con una formazione solida e al passo con i tempi. Don Orione, intransigente nella fedeltà al Papa, si impegna totalmente nell’esercizio delle opere di misericordia, ma anche nell’opera di formazione delle giovani generazioni perché, inserendosi nel mondo che si sta sviluppando, siano fermento di rinnovamento evangelico. Questa posizione di Don Orione, questo suo "genio dell’integrazione", come ebbi a definirlo in altra occasione, mi ha affascinato di lui e della sua opera.
Questa integrazione si espresse in epoca non sospetta nella ricerca costante e sistematica della collaborazione dei laici. Fin da giovane seminarista, assecondando le indicazioni del suo vescovo Mons. Bandi, Don Orione partecipò ai Convegni e alle attività dell’Opera del Congressi l’organizzazione che coordinava l’opera sociale dei cattolici, costituita da laici. Giovane chierico, dopo aver partecipato, bambino, alle attività della "San Vincenzo", aveva fondato le dame della carità. Da Fondatore impostò tutte le sue opere intorno a due fondamentali funzioni: l’esercizio delle opere di misericordia spirituale e corporale, cui invitò a partecipare numerosi laici facoltosi e la formazione di giovani ed adulti che, tornati i primi da "ex-allievi" nella società, vi portassero nella loro condizione di vita familiare e professionale il lievito delle virtù evangeliche, oltre che l’apporto delle loro professionali e delle loro virtù civiche; attivi i secondi, come "Amici" o "Benefattori" agissero nei gangli della politica e nelle attività di beneficenza, come testimonianza della carità di Dio.
Mi pare che Don Orione abbia colto lo specifico della condizione laicale, espressa molti anni dopo dal Vaticano II e cioè "l’indole secolare", secondo la quale "per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" (LG 31). Nella sensibilità ecclesiologica e nella coscienza disponibile del suo tempo Don Orione poneva la questione che oggi ci assilla e che siamo qui per impostare correttamente: da una parte la contiguità del carisma, dall’altra la continuità del carisma o, detto in altri termini, la condivisione del carisma e la diffusione del carisma.
Allora la continuità o condivisione del carisma era realizzata attraverso la formazione, residenziale potremmo dire, di base o ricorrente. Durante il periodo, più o meno lungo di permanenza nelle case religiose (collegi, seminari) i laici, formandosi, si "caricavano" spiritualmente e poi, tornati in società, vi diffondevano l’energia del carisma. A scadenze regolari, poi, nei raduni ex-allievi, Amici e Benefattori, tornavano a ricaricarsi per ritornare alle loro case e ai loro ambienti di lavoro come mediatori e portatori di un carisma che risiedeva altrove detenuto da altri.
Questo modello, secondo cui molti di noi laici hanno vissuto il rapporto con i religiosi presso i quali si sono formati, è entrato in crisi per diversi motivi. La crisi delle vocazioni religiose e, quindi il conseguente venir meno di "operatori" interni nelle opere apostoliche, i mutati ordinamenti legislativi, la riorganizzazione dei settori socio-assistenziali, per citarne solo alcuni, hanno indotto forzatamente una consuetudine di vita tra religiosi e laici che, in forme più o meno permanenti e globali, vivono e operano fianco a fianco dentro le stesse istituzioni.
Ciò avveniva dai primi anni ’70. Ma, a ben considerare, quei rapporti sembravano impostati in termini funzionali, al di fuori della "ecclesiologia di comunione" che da dieci anni almeno il Vaticano II aveva riscoperto e rilanciato. Restavano ancora rapporti di lavoro, peraltro non sempre chiari dal punto di vista contrattuale.
Neanche i cosiddetti "capitoli del rinnovamento" che molte famiglie religiose celebrarono alla fine degli anni ’70 con la riscrittura delle Costituzioni, sembrano in diversi casi aver recepito le implicazioni di possibili innovazioni insite in questa collaborazione. Anzi in alcuni di essi il tema del rapporto religiosi/laici non vi trova spazio.
3. Il Movimento Laicale Orionino (MLO)
Per quanto riguarda la mia esperienza orionina, sarà soltanto dopo quattro anni dalla pubblicazione dell’esortazione postsinodale "Christifideles laici" sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo (1988), che la Congregazione di Don Orione, nel X Capitolo Generale del 1992 sul tema "Essere il fondatore oggi", affronta in maniera esplicita &emdash; sia pure ancora generica &emdash; la questione delle "mutuae relationes" religiosi/Laici, riscoprendo il valore della vocazione e del ruolo dei laici e invocando per essi specifici percorsi formativi.
Due anni dopo, il 28 luglio 1994, il Direttore Generale dell’Opera invitava i laici orionini a leggere ed approfondire "da laici" gli scritti di Don Orione per dare un contributo propriamente laicale alla stesura di un progetto di formazione al carisma. L’anno successivo, il 1995, è l’anno cruciale: dopo una serie di incontri, convegni, consultazioni si arriva all’elaborazione di una bozza di progetto di formazione al carisma orionino per laici, intitolato "Andata anche voi nella mia vigna", di cui io personalmente fui il curatore, su cui il Consiglio generale non si pronuncerà, ma che avrà diffusione nelle tre province italiane dell’opera.
Con lettera del 18 dicembre 1995 il Direttore Generale dà avvio ad una fase più concreta che nel 1996 approderà dopo diverse fasi alla costituzione del Movimento Laicale Orionino (MLO), che avrà la sua consacrazione ufficiale in un Convegno internazionale sul tema "Instaurare omnia in Christo" a cui presero parte circa quattrocento tra laici e religiosi provenienti da tutto il mondo (Rocca di Papa, 3 ottobre 1997). Il MLO è costituito da tutti i laici che, singoli o associati, cooperano a vario titolo (ex-allievi, amici, collaboratori, operatori pastorali, obiettori, volontari…) con i Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Suopre missionarie della carità alla missione di instaurare omnia in Cristo.
Nel maggio successivo, l’XI Capitolo generale sul tema "Religiosi e laici orionini in missione nel terzo millennio" dedica un’ampia e approfondita riflessione al tema delle "mutuae relations", approvando 7 mozioni rispettivamente sulla collaborazione nelle opere, sul progetto formativo, sulla programmazione pastorale con i laici, sui laici giovani in missione, sul crescere insieme, sui coordinamenti, sulla "carta di comunione".
Da allora è stato un seguire di iniziative coordinate a livello centrale, volte a definire la struttura organizzativa del MLO &emdash; una struttura leggera di coordinamento a livello generale, provinciale e locale - e la stesura di una "Carta" costitutiva, che è ancora in corso di definizione. Ed è anche un fiorire di iniziative di formazione dei laici, di condivisione spirituale (esercizi spirituali vissuti insieme da religiosi e laici) e quant’altro possa favorire la condivisione del carisma. Resta in ombra un progetto organico per la diffusione del carisma, mentre la collaborazione nelle opere si limita all’affidamento a laici della direzione di Centri, Settori di Opere, Reparti, ecc.
4. Segni di stasi
Attualmente sembra esservi una stasi a livello centrale, mentre a livello provinciale e locale si nota un certo fermento di iniziative, di incontri, di sforzi organizzativi, che però non sembra trovare uno sbocco operativo ben coordinato. Sembrerebbe che la ecclesiologia di comunione resti un modello ideale che non riesce a tradursi in dispositivi d’azione capaci di indurre un nuovo stile di condivisione, di collaborazione e di corresponsabilità religiosi/laici che valorizzi i rispettivi ruoli ecclesiali.
Si tratta &emdash; e molte avvisaglie lo fanno credere &emdash; di una situazione in cui si corre il rischio di bruciare una grandissima opportunità per la vita della Chiesa e delle Congregazioni e di alimentare quel senso di "impotenza appresa" che affligge molti operatori dei servizi, tra i quali molti laici, forse la maggior parte, coinvolti in opere gestite da religiosi.
5. Verso una ripresa?
Che fare? A mio avviso, anzitutto, tentare un’analisi che colga le dimensioni e le cause reali di questa situazione di stallo e di stanchezza. Ritengo insufficienti i modelli d’analisi puramente ecclesiologici, che non siano integrati da modelli sociologici, partendo dal punto di vista che, sotto il profilo organizzativo, la Chiesa e le Congregazioni religiose non abbiano nulla di diverso dalle altre organizzazioni, nulla togliendo alla peculiarità delle loro finalità religiose e carismatiche.
Per avviare un’analisi, vorrei richiamare la vostra attenzione su tre punti che ritengo nodali per una corretta articolazione interna di un corpo organizzativo, che, come le nostre famiglie religiose, voglia favorire condivisione, collaborazione e corresponsabilità: la comunicazione, la definizione dei ruoli, la costituzione di una comunità organica.
Non vi può essere comunicazione intesa in senso lato e forte, lì dove non vi siano differenze identitaficative riconosciute e rispettate. È necessario pertanto definire correttamente lo status ecclesiale dei diversi christifideles, che proprio su questa loro caratteristica (essere alla sequela di Gesù Cristo), acquisita nel battesimo, fondano la loro radicale e costitutiva uguaglianza di cristiani e "canonistica" di membri della Chiesa. Per noi laici è l’indole secolare: il medium (ambiente e strumento) di santificazione attiva e riflessiva è il mondo, nei cui affari siamo implicati, per ordinarli secondo la volontà di Dio. Per i religiosi è l’indole escatologica, il cui luogo è la croce, espresso dai tre voti religiosi che secondo S. Agostino citato da Don Orione sono i tre chiodi della croce di Cristo. Per i sacerdoti è l’indole sacramentale, il cui luogo è l’altare, la "tavola" dell’Agnello pasquale alla quale Dio invita gli uomini per il "banchetto di salvezza" (cfr. ChL, n. 55 e VC, n. 31).
Ciascuno di questi tre status all’interno della vita della Chiesa si è ritagliato un diverso ruolo, specializzandosi ciascuno in una delle tre funzioni messianiche che, per il battesimo, sono proprie in solido di ogni cristiano: la regalità, il sacerdozio e la profezia.
Nella storia del primigenio popolo di Dio, Israele, le tre funzioni di governo, di culto e di profezia avevano trovato un equilibrio dialettico, sotto il criterio dell’obbedienza alla parola di Dio, di cui i profeti erano la sentinella vigile (cfr. Ez 3.33).
Nella storia del nuovo popolo di Dio, la Chiesa, l’organizzazione interna, modulata su quella dell’impero romano, portò, invece, ad uno squilibrio che non si espresse soltanto in una asimmetria funzionale, più che naturale in un corpo sociale, ma in una gerarchizzazione delle funzioni a favore del ceto sacerdotale. Ne conseguì da una parte una "dequalificazione religiosa dei laici" (p. Legrand), le cui attività di amministrazione e di governo delle cose terrene perdono rilievo ecclesiologico, e dall’altra, nell’epoca moderna, con il nascere delle congregazioni clericali, un occultamento della profezia della vita religiosa, assorbita dall’esercizio della funzione sacerdotale, quando non dall’esercizio suppletivo di attività secolari.
Ancor oggi, lì dove siano presenti e attivi in opere gestite da religiosi, i laici sono apprezzati e ricercati per le loro professionalità profane, ma non vengono considerati soggetti ecclesiali e carismatici a parte intera. E i religiosi, svolgendo funzioni che pur interne alle loro opere apostoliche, sono e restano secolari, rischiano di depotenziare la loro carica di profezia escatologica.
Perdendo o non vedendo riconosciute le reciproche differenze identitarie, la comunicazione religiosi/laici entra in crisi, intendendo per comunicazione lo scambio complementare delle reciproche differenze di vocazioni e condizioni di vita, di ministeri, carismi e responsabilità. Soprattutto non si sviluppa, se non in forme sentimentali e spiritualistiche, quella comunione (la compartecipazione cioè ad una stessa missione) che costituisce il collante motivazionale che tiene unità una comunità, una famiglia religiosa.
Tutto ciò ha come portato un senso di incompiutezza del percorso verso una autentica e concreta ecclesiologia di comunione, un senso di frustrazione delle proprie legittime aspirazioni ecclesiali, un senso di impotenza appresa rispetto alla realizzazione dei modelli di "mutuae relationes" che il Papa, a partire dagli insegnamenti conciliari (cfr. Lumen Gentium e Apostolicam Actuositatem), ha disegnato nella trilogia delle esortazioni apostoliche post-sinodali dedicate ai tre status ecclesiali: Christifideles laici (1988), Pastores dabo vobis (1992) e Vita consecrata (1996). L’ordine non è casuale, ma ha una forte valenza di sistemazione ecclesiologica. "Più si approfondisce il senso della vocazione propria dei laici, più si evidenzia ciò che è proprio del sacerdozio" afferma il Papa nel discorso finale al Sinodo del 1990 sul sacerdozio (Pastores dabo vobis, n. 3). È qui richiamata la funzionalità del sacerdozio ordinato al sacerdozio comune di tutto il popolo di Dio. Vita consecrata illumina la funzionalità della vita consacrata alla destinazione escatologica del popolo di Dio.
Già in Christifideles laici si disegnava un modello chiaro e pregnante delle mutue relazioni fra i tre status. "Nella Chiesa-comunione gli stati di vita sono tra loro così collegati da essere ordinati l’uno all’altro. Certamente comune, anzi unico è il loro significato profondo: quello di essere modalità secondo cui vivere l’eguale dignità cristiana e l’universale vocazione alla santità nella perfezione dell’amore. Sono modalità insieme diverse e complementari, sicché ciascuna di esse ha una sua originale e inconfondibile fisionomia e nello stesso ciascuna di esse si pone in relazione alle altre e al loro servizio.
Così lo stato di vita laicale ha nell’indole secolare la sua specificità e realizza un servizio ecclesiale nel testimoniare e nel richiamare, a suo modo, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose il significato che le realtà terrene e temporali hanno nel disegno salvifico di Dio. A sua volta il sacerdozio ministeriale rappresenta la permanente garanzia della presenza sacramentale, nei diversi tempi e luoghi, di Cristo redentore. Lo stato religioso testimonia l’indole escatologica della chiesa, ossia la sua tensione verso il regno di Dio, che viene prefigurato e in qualche modo anticipato e pregustato dai voti di castità, povertà e obbedienza.
Tutti gli stati di vita, sia nel loro insieme sia ciascuno di essi in rapporto agli altri, sono al servizio della crescita della chiesa, sono modalità diverse che si unificano profondamente nel "mistero di comunione" della chiesa e che si coordinano dinamicamente nella sua unica missione" (Christifideles laici, n. 55; cfr. Vita consecrata, n. 31).
In termini più operativi Vita consecrata, ai numeri 54-56, articola le mutuae relationes nella condivisione del carisma e nella partecipazione alla missione dell’Istituto, di cui favorisce l’irradiazione della spiritualità oltre i suoi confini. Essa, inoltre, prevede, diverse forme di condivisione/partecipazione, quali quelle dei "membri associati", delle convivenze temporanee, dei volontari.
6. Dare potere ai laici
Il Papa non poteva che esprimersi in termini di modelli ecclesiologici, generali e astratti, da contestualizzare e attualizzare. Ora, questa operazione di contestualizzazione e attualizzazione non può rispondere solo a criteri ecclesiologici, ma rinvia a dinamiche psicosociologiche proprie di una qualunque organizzazione dove convivano e cooperino diverse realtà personali e funzionali. Finché, in altre parole, questi modelli non vengano tradotti in dispositivi legislativi e amministrativi e in paradigmi d’azione, questa integrazione nella comunione organica di una famiglia religiosa di funzioni laicali e di funzioni consacrate non sarà affatto agevole e non arriverà a compimento.
Il nodo da sciogliere, come in tutte le organizzazioni, è, senza mezzi termini, quello dell’esercizio del potere e della sua distribuzione tra le diverse funzioni. Essendo in ambito ecclesiale e, dunque, cristiano non si tratta certo del potere da esercitare su, ma del potere da dare a, cioè del potere di servire l’edificazione della Chiesa (cfr. Mt 20, 24-28; 1Cor 14). Il potere &emdash; dal punto di vista psicosociologico e organizzativo - sta nel cuore del senso di appartenenza ad una organizzazione, di condivisione della sua visione, di responsabilità personale verso i suoi valori e di partecipazione alla sua missione.
Si tratta, per tornare al nostro tema, di dare potere ai laici, non il potere da esercitare su qualcuno o qualcosa, ma il potere di servire con la propria responsabilità e la propria professionalità l’edificazione della famiglia religiosa di cui condividono il carisma e alla cui missione partecipano, irradiandone la spiritualità nel mondo quale lievito di novità evangelica e sale di sapienza cristiana.
Un timido passo in questa direzione è stato compiuto recentemente nella Congregazione di Don Orione, nell’ambito della Provincia religiosa "SS. Apostoli Pietro e Paolo (Centro-Sud Italia). Il Coordinamento provinciale del MLO e il Segretariato per i laici (struttura interna della Congregazione, presieduta per la prima volta da un laico, colui che vi parla), al termine di un seminario congiunto sulle mutuae relationes religiosi/laici, al fine di promuovere il senso di corresponsabilità in relazione all’appartenenza alla medesima famiglia orionina, alla condivisione del medesimo carisma e alla partecipazione alla medesima missione, espresse anche nella conduzione delle opere; al fine, inoltre, di assicurare continuità e stabilità ai progetti dell’Opera, sottraendoli alla discrezionalità dei singoli o al mutare delle circostanze; per dare, infine, progressiva attuazione a diverse mozioni capitolari, hanno presentato all’approvazione del Consiglio provinciale la proposta di far approntare, approvare e deliberare dei dispositivi legislativo-operativi, per cui in ogni Opera della Provincia:
1. sia costituito un Consiglio d’Opera di cui facciano parte, oltre ai religiosi, alcuni laici, rappresentanti del MLO, con voto deliberativo relativamente al progetto apostolico e al progetto formativo;
2. sia formata una commissione mista (religiosi laici) che, sulla base degli indirizzi del Consiglio d’Opera, idei ed elabori i progetti apostolico e formativo da presentare all’approvazione del Consiglio stesso, e curi la pianificazione, il monitoraggio, il controllo e la valutazione della loro realizzazione;
3. a tutti i laici orionini siano offerte iniziative di formazione, opportunamente programmate dai coordinamenti MLO provinciale e locale. Ai laici, occupati nelle opere in qualità di dipendenti, siano assicurate le condizioni di frequentarle, se necessario, anche in orario di lavoro, nel rispetto dei vincoli contrattuali relativi al diritto/dovere di formazione.
Si proponeva, infine, che, per l’anno a venire, il "tema" del cammino formativo comune di religiosi e laici nella Provincia fosse: i tre voti di castità, povertà e obbedienza, valori centrali della vita cristiana vissuta nell’amore, nel lavoro e nella politica, sia nella condizione laicale che consacrata.
Come si vede, è un avanzamento con la logica dei piccoli passi, che vuol rispettare i tempi di maturazione delle mentalità, delle coscienze e delle sensibilità, ma anche le condizioni "canonistiche" dei consacrati e delle loro opere. Ma è anche un passo che vuole tradurre in termini di realtà sentita e vissuta l’espressione "famiglia religiosa" che, nel linguaggio corrente, designa appunto quelle comunità spirituali di persone &emdash; consacrati di ambo i sessi e laici &emdash; che condividono un carisma e una missione.