- INCONTRO INTERNAZIONALE DELLA FAMIGLIA DEHONIANA -


MESSA DI APERTURA


 INTRODUZIONE

Carissimi Fratelli e Sorelle,

Benvenuti tutti a questa celebrazione eucaristica! Benvenuti a quest’Incontro Internazionale della Famiglia Dehoniana! L’Incontro ha proprio inizio in questo momento in cui abbiamo invocato su di noi il nome della Santissima Trinità; il suo primo atto è la celebrazione dell’Eucaristia.

Ieri ci siamo salutati tutti. Ci siamo presentati reciprocamente. Molti tra noi non si conoscevano. Veniamo tutti da luoghi diversi, ma abbiamo qualcosa in comune che ci fa sentire Famiglia. Qualcosa in comune che ci sostiene, illumina, da senso al nostro pellegrinaggio terreno e fa sì che le nostre strade si trovino e che una parte di questa strada la facciamo insieme, sotto la stessa insegna, condividendo i doni più preziosi che abbiamo: la vita, la fede e la speranza.

Condividiamo un’esperienza comune e originale di accostarci al mistero del Cuore di Cristo scoprendo l’amore infinito di Dio. Condividiamo un certo sentire con la Chiesa; una certa sensibilità di fronte al mondo attuale; un certo impegno con la causa del Regno; una certa passione per l’annuncio del Vangelo, e per i suoi valori sociali di giustizia, verità, solidarietà; un certo appello ad essere servitori della riconciliazione tra le persone e a promuovere la pace, la dignità umana, la fraternità universale.

Condividiamo la vocazione di unirci all’oblazione riparatrice di Cristo e di fare nostri i suoi sentimenti di compassione, di misericordia, di abbandono e disponibilità totale al progetto salvifico di Dio, cooperando nella costruzione della Civiltà dell’amore...

Noi intuiamo che questa prospettiva di vita e di impegno si attua nel quotidiano, ed è un dono ricevuto, è un’eredità che ci è stata trasmessa attraverso una mediazione storica esemplare, quella di p. Dehon.

Il suo centro sacramentale e propulsivo è l’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana (cf. LG 11); "testamento dell’amore di Cristo che si dona perché la Chiesa si realizzi nell’unità e annunci la speranza per il mondo" (Cst SCJ 81).

L’Eucaristia è il momento privilegiato della nostra fede e della nostra vocazione dehoniana. Per questo motivo essa marcherà tutto il nostro Incontro Internazionale: la sua apertura, la sua chiusura, il momento culmine della celebrazione del Giubileo. Essa sarà al centro di ognuno di queste giornate, come Messa e Adorazione.

Questa celebrazione, quindi, non è un atto marginale, accademico, o meramente devozionale; essa è parte essenziale dell’Incontro Internazionale ed esprime lo spirito che ci anima e la ragione che ci spinge a trovarci e a organizzarci come Famiglia Dehoniana.

Disponiamoci, perciò, a dare inizio a questi giorni di comunione e di grazia rimettendoci totalmente alla misericordia di Dio, invocando il suo perdono sulle nostre debolezze e aprendoci al progetto che Egli ha su questa sua Famiglia.
 

OMELIA

- Gal 1,6-12

- Lc 10,25-37

Con il pressante invito di Paolo ad essere fedeli al Vangelo, e con il discorso sul cammino della vita eterna, illustrato dalla parabola del Buon Samaritano, noi illuminiamo con la Parola di Dio quest’Incontro Internazionale della Famiglia Dehoniana.

Le letture non sono state scelte appositamente; sono quelle che offre a tutta la Chiesa la liturgia odierna. Il loro messaggio è così denso e attuale che per noi costituisce un fatto provvidenziale, una grazia.

Esse sono un invito ad approfondire la propria vocazione e la propria missione nelle loro categorie essenziali. Sono indicative del cammino di vita che ci aspetta come cristiani e come Famiglia Dehoniana. In questa prospettiva, proporrei quattro punti di riflessione:

1. instaurare un dialogo con Gesù;

2. metterci sul cammino di Gerico;

3. scoprire il volto del "Buon" Samaritano;

4. riaffermare la nostra fedeltà al Vangelo.


1. Instaurare un dialogo con Gesù

In questi giorni parleremo molto fra noi. Condivideremo molte cose e ci ascolteremo reciprocamente. Ma proprio perché siamo cristiani, e siamo riuniti nel nome di Gesù, il nostro primo interlocutore deve essere il Signore stesso.

Anche se non è un ritiro spirituale, il tema centrale della nostra riflessione e interscambio sarà la nostra comunione di vocazioni diverse intorno a un ceppo comune. Esse hanno un’origine comune e vengono ispirate dalla stessa prospettiva.

"Una così bella vocazione - dice p. Dehon - richiede un grande fervore e una grande generosità" ... "esige una vita interiore abituale e l’unione con Gesù" (cf. Test. Sp.).

Ed è proprio il Vangelo di oggi a metterci in questa dinamica attraverso le domande e risposte del dottore della legge e le questioni poste da Gesù.

"Maestro, che devo fare per entrare nella vita eterna? ... Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore ... e il prossimo tuo come te stesso.

Fa questo e vivrai".

La domanda del dottore della legge, a detta dello stesso evangelista, non era sincera; nascondeva un tranello. Però, era una domanda importante, e quindi legittima. Per questo motivo Gesù non si rifiuta al dialogo e risponde riconducendo il discorso sul giusto binario: fa ricorso alla Parola di Dio, alla legge divina. È lo stesso teologo che ha posto la domanda a trovare la risposta nella Sacra Scrittura: Il cammino della vita è fatto di amore a Dio e al prossimo.

Gesù approva la risposta, cui imprime un chiaro carattere operativo: "Fa questo e vivrai". Se in un primo momento il dottore della legge pretendeva di rimanere nel discorso astratto, Gesù cambia le sue prospettive e lo coinvolge direttamente. La Parola di Dio è viva e ci fa scendere al concreto della vita quotidiana. "Non basta dire: Signore, Signore, per entrare nel regno dei cieli" (cf. Mt 7,21), o per essere della Famiglia di Gesù; bisogna fare la volontà del Padre, accogliere la sua parola e metterla in pratica (cf. Lc 8,21).

Gesù si identifica con la sua parola, egli è la Parola di Dio fatta carne. Accogliere la sua Parola è accogliere Cristo; mettere in pratica la sua Parola significa mettersi nella sequela di Cristo, significa lasciarsi trasformare, convertire dalla parola che ascoltiamo, fino ad avere gli stessi sentimenti del Cuore di Cristo, e fino a fare le sue stesse scelte.

Ascolto e pratica della parola hanno uno stretto rapporto. Non c’è dicotomia, né divergenza. Tanto è così, che il testo evangelico odierno, che insiste nel "FARE", viene seguito immediatamente dal brano di Marta e Maria (Lc 10,38-42) che leggeremo domani, dove si privilegia l’ascolto di Gesù rispetto al fare.

Il Vangelo, quindi, distingue tra fare e fare. Esiste un fare che è doveroso, improrogabile, urgente come quello del Buon Samaritano; c’è un altro fare che deve essere subordinato al tempo di ascolto della parola, perché non fa parte dell’"unico necessario".

Solo nel dialogo con Gesù, nell’intimità con lui, noi potremo approfondire e maturare le cose essenziali, e potremo discernere il cammino della vita e il tipo di coinvolgimento che essa esige.

Non è questione, quindi, di fare cose; ma di fare sulla linea dell’essenzialità dell’amore, che ci mette, allo stesso tempo, in dialogo con Dio e in servizio al prossimo. È proprio la dovuta attenzione a Dio a renderci attenti ai fratelli.

2. Metterci sul cammino di Gerico

La risposta di Gesù è ovvia. La troviamo anche nei Vangeli di Matteo e di Marco, quando uno scriba domandò a Gesù quale fosse il primo e più importante comandamento. In Matteo, da questo amore a Dio e al prossimo dipende tutta la Legge e i Profeti, tutta la rivelazione di Dio (cf. Mt 22,40). In Marco, esso vale più di tutti gli olocausti e sacrifici; è, cioè, il presupposto di ogni culto ed espressione religiosa (cf. Mc 12,33).

Se la Legge era chiara, non così il legame tra i due oggetti dell’amore. L’abbinamento che Gesù fa dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo, al punto di costituirne un tutt’uno, è sorprendente.

Nessuno oserebbe mai mettere allo stesso livello l’amore a Dio e l’amore del prossimo. È vero che le qualificazioni dell’uno e dell’altro sono diverse - Dio lo si deve amare sopra ogni cosa; il prossimo, come noi stessi - ma, l’uno e l’altro hanno uguale importanza; uno non può verificarsi senza l’altro. È come se l’amore a Dio passasse attraverso l’amore al prossimo e viceversa.

Sono abbondanti i passaggi dei Vangeli che mostrano questa correlazione: dal discorso del giudizio universale e l’attribuire a Gesù stesso ciò che è stato fatto al più piccolo, all’esigenza della riconciliazione come condizione del culto gradito a Dio.

L’amore, verso Dio e verso il prossimo; ecco la strada che conduce alla vita; ecco l’ispirazione, la sintesi del messaggio e dell’esperienza cristiana.

Ma è un amore fattivo, concreto, fatto da gesti e azioni che ci impegnano nella vita quotidiana. È un amore fatto di risposte agli appelli e alle sfide che troviamo sul nostro cammino, un cammino come quello che porta il Buon Samaritano a Gerico.

È su questa strada di Gerico che, per vocazione, viene chiamata a trovarsi la Famiglia Dehoniana. Forse è anche provvidenziale che su questa strada si trovino oggi tre personaggi: un sacerdote, un levita (che è in qualche modo un consacrato) e un laico. Tutti e tre sono di fronte alla stessa sfida: vedere l’umanità ferita, avere compassione di quella realtà, farsi carico di tanta sofferenza sino alle ultime conseguenze. Ma non è una realtà astratta, lontana; si tratta di un uomo o una donna, colpito, mezzo morto sulla nostra strada di ogni giorno.

Tutti e tre si trovano sotto la stessa tentazione: vedere, avere paura, fare delle considerazioni personali, passare dall’altra parte, andare oltre.

Solo il samaritano ne ha compassione, si avvicina, e in silenzio lo soccorre. Il Vangelo scende ai dettagli, quasi a ricordare la delicatezza e la creatività dell’amore vero. La risposta che egli dà è nelle sue possibilità, ma impegna tutto se stesso, fino a farsi carico di ciò che a questo prossimo potrà avvenire in futuro.

P. Dehon è un uomo contemplativo, ma allo stesso tempo fortemente impegnato nella realtà della Chiesa e del Mondo del suo tempo. All’origine di questa sua personalità tanto aperta e attiva spiritualmente e socialmente, c’è l’esperienza simile a quella del Buon Samaritano: viaggiò molto, vide la realtà, ne ebbe compassione, si impegnò facendosi carico di essa, perché aveva accolto in sé la stessa passione di bene (giustizia e verità) di Dio verso le sue creature, verso i suoi figli.

3. Scoprire il volto del Buon Samaritano

I particolari descritti da Gesù nella parabola sono molto suggestivi e ci indicano pure il modo di adempiere al primo e più importante comandamento, che ci introduce nella strada della salvezza e ci assicura la vita eterna.

Il samaritano ha amato senza selezionare persone. Il suo prossimo è stato colui che era ferito, bisognoso, al margine della strada; non gli importava chi fosse, se samaritano come lui o ebreo.

Il samaritano non ha selezionato situazioni; non ha indagato sul tipo di bisogno; non si è ritirato davanti lo stato poco raccomandabile del bisognoso; ha superato ogni naturale ripulsa.

Il samaritano si è chinato; in un certo senso si è abbassato, spogliato di se stesso; si è fatto servo, come Gesù che nell’ultima cena si è messo a lavare i piedi ai discepoli.

Il samaritano si è prodigato; si è dato da fare; ha avuto premura e inventiva verso il prossimo bisognoso: gli ha fasciato le ferite, lo ha caricato sul suo giumento, lo ha portato alla locanda e si è preso cura di lui.

Infine, il samaritano ha fatto tutto questo in totale gratuità. Ha dato del suo, in abbondanza, senza interessi né mire di ricompensa.

Questi gesti e questi impegni non si improvvisano; hanno una motivazione solida e una radice profonda.

Per Luca, il Buon Samaritano per eccellenza è Gesù stesso, Dio fatto uomo, che si è chinato sull’umanità ferita e paga per essa; si fa carico della nostra storia e della sorte di ogni persona, di cui cura le ferite, rivela il cammino dell’amore e innalza in dignità, fino a pagare per lei, e fino ad assicurare che al suo ritorno verrà per prendersi carico dei fratelli che sono stati raggiunti dal suo amore salvifico.

Nel Buon Samaritano noi contempliamo il Cuore di Gesù: il Buon Pastore; il Gesù di Nazareth identificato con i poveri, i piccoli, gli ultimi; il Maestro che lava i piedi ai suoi discepoli ed è in mezzo a loro come chi serve. Contempliamo il Cuore del Padre Prodigo quando abbraccia il figlio che fa ritorno alla casa paterna. Contempliamo il Cuore di Gesù nella sua donazione pasquale, aperto in croce, effondendo lo Spirito, evocandoci l’amore infinito di Dio che opera nel mondo e dà origine alla "Civiltà dell’amore".

Per la Famiglia Dehoniana, la riscoperta di questo volto è fondamentale, perché con p. Dehon siamo convinti che la miseria umana è frutto del rifiuto dell’amore di Cristo. E siamo pure convinti che non vi è dignità umana piena senza l’esperienza dell’amore di Dio e a Dio, insieme all’amore del prossimo e al prossimo.

4. Riaffermare la fedeltà al Vangelo

Nella 1ª lettura, Paolo richiama i Galati alla fedeltà del Vangelo ricevuto: quella "buona novella" di grazia e di libertà che ci fa servi di Cristo. Il Vangelo è la Parola di salvezza che Dio ha pronunciato in Gesù. Gesù stesso in persona è il Vangelo vivo, la presenza, la rivelazione, l’attuazione dell’incontro dell’umanità con Dio.

Tutta la nostra percezione del Mistero del Cuore di Gesù, e di conseguenza la spiritualità che abbiamo in comune, p. Dehon le fonda sulla Parola della Scrittura, sul Vangelo, così come ci viene tramandato e interpretato dalla Chiesa.

Nella fedeltà al Vangelo - letto, meditato, pregato - noi troveremo la strada per modellare la nostra esistenza sul Cuore di Cristo, secondo il comandamento della vita, l’amore, in unione alla sua oblazione riparatrice, perché avvenga il suo Regno nelle anime e nelle società.

Tale fedeltà ci porterà all’amore puro e gratuito a Dio e al prossimo, all’unità tra contemplazione e azione, tra preghiera-adorazione e impegno nel mondo, accettando le sfide dell’ora presente senza voltare le spalle di fronte alla miseria umana.

Questa fedeltà e costante penetrazione del Vangelo, è essenziale per la comprensione della natura e missione della Famiglia Dehoniana, e per la definizione della sua identità.

Rinnoviamo, quindi, in quest’Eucaristia, la volontà di fare, come Famiglia Dehoniana, la strada di Gerico guidati dalla fedeltà al Vangelo e all’eredità comune.