DOSSIER CENTRALE

LA RICERCA DEL VOLTO DI DIO

Andrea Tessarolo, scj

L’uomo biblico, contemplando l’universo che ci circonda, intravede come d’istinto la misteriosa presenza del Creatore, per cui gli viene spontaneo esclamare con stupore e gioia: “O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra” (Sal 8,2). Ma contemporaneamente è vivo in lui, come in ogni credente, anche il desiderio di vedere o intuire qualcosa del volto stesso di Dio.

È, questa, un’aspirazione molto profonda. È come l’anima di ogni religione, la sostanza di ogni autentica preghiera. Nella Bibbia, come in molti scritti dei mistici, è particolarmente intensa e sofferta: “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora di cerco. Di te ha sete l’anima mia... A te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua” (cf. Sal 62,2). Con vivo desiderio anche s. Agostino scrive: “Tu ci hai fatti per te, Signore. Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. E s. Teresa di Lisieux: “Il tuo volto, Signore, è la mia sola patria”.

Quale idea abbiamo noi di Dio? Questo desiderio di conoscere il vero volto di Dio è molto importante, perché dalla concezione che abbiamo di lui dipendono molte cose. Se Dio è percepito come “signore/padrone” o come “giudice severo ed esigente”, la pratica religiosa sarà dominata dalla paura e da un giuridismo meticoloso ed esigente, e anche i rapporti umani nella stessa società civile saranno segnati da un giuridismo fanatico e intollerante; tante lotte e violenze, e guerre di religiose, passate e recenti, lo stanno dimostrando. Se, invece, Dio si manifesta e viene accettato come “padre misericordioso”, non può non suscitare e alimentare sentimenti e comportamenti di comprensione, di reciproca accettazione, di fiduciosa speranza.

Concezioni così diverse, e a volte anche contrapposte, si incontrano pure nella Bibbia, benché sia un libro tutto “ispirato” da Dio. Può succedere infatti che il messaggio divino, passando attraverso lo schermo opaco di una cultura umana molto imperfetta, rimanga a volte parzialmente offuscato dalla concezione che gli uomini di quel tempo si facevano di Dio. La cosa viene segnalata anche da Gesù nel Vangelo a proposito del divorzio (Mt 19,8) e più volte nel discorso della montagna: “È stato detto agli antichi... Ma io vi dico...”.

Esempi di uno zelo religioso fanatico e intollerante si possono leggere in Gs 6 e 7 (quando Giosuè ordina lo sterminio di intere città), o anche in Es 32 (quando Mosè ordina di trucidare tutti coloro che avevano violato l’alleanza stretta con YHWH ai piedi del Sinai)... Lo stesso Mosè, al vedere le conseguenze dell’ordine che aveva dato ai suoi leviti in nome di Dio, ne rimane costernato... Si prostra quindi davanti al Signore e supplica: “Ma ora perdona, o Signore; se no, cancella anche me dal libro della vita” (Es 32,32).

In seguito, in tutto l’Antico Testamento avremo un frequente alternarsi di ombre e di luci, in questa appassionante ricerca sul mistero di Dio, il “tre volte Santo”; ricerca che, alimentata e sempre più purificata dall’azione soprannaturale dello Spirito, giungerà ad aprire prospettive veramente radiose. Saranno a volte i Salmisti a intravedere il sentiero da percorrere: “Il Signore è il mio pastore” (Sal 23); “Mi indicherai il sentiero della vita: gioia piena alla tua presenza” (Sal 16,11); “Come bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sal 131,2), ecc. Ma spetterà soprattutto ai Profeti pronunciare parole del tutto nuove e, attraverso prospettive inedite, rivelarci qualcosa del volto del vero Dio: santo, amante della vita, misericordioso.

All’uomo, sempre duro di cuore, riesce difficile capire il mistero di Dio: “Dio, si pensa, o è giusto, e quindi inesorabile con chi trasgredisce; oppure non è più Dio”. Ma Lui, il “Tre volte Santo”, non tollera questa “caricatura” della sua immagine!

Pietra miliare, nel lungo cammino per la progressiva manifestazione del vero volto di Dio è la dolorosa esperienza del profeta Osea (vissuto intorno al 750 a.C.); egli stesso l’ha interpretata come “simbolo” dell’amore di Dio verso il suo popolo... Il Dio d’Israele è così fedele nel suo amore che non viene meno neppure di fronte all’ostinata infedeltà della sposa. Certo YHWH è un Dio geloso, non può tollerare il male; però castiga solo per correggere e per salvare. Difatti, dopo le parole di minaccia alla sposa infedele, subito riprende e dice: “La attirerò a me, la condurrò nel deserto, le parlerò al cuore”. E conclude: “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella benevolenza e nell’amore; ti fidanzerò nella fedeltà e tu conoscerai il tuo Signore” (Os 2). Parole che sono un richiamo pressante a una vita di intimità profonda, di reciproca tenerezza e d’amore fedele.

Di amore sponsale tra Dio e il suo popolo parla anche Isaia 62,5; ed è un clima gioioso, come in una festa di nozze: gioia dello sposo di poter amare la sposa; gioia per il Creatore è poter amare la sua creatura!... Quasi che Dio stesso non potesse essere pienamente felice se gli mancasse questo gioioso connubio d’amore: “Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te” (cf. anche Isaia 49,16ss).

Non meno suggestivo il cap. 11 di Osea, dove Dio manifesta un amore delicato e paterno verso il popolo appena uscito dall’Egitto; ma grande è la sua amarezza quando costata che il figlio tanto vezzeggiato si dimostra insensibile e ingrato. Per cui anche a Dio viene spontaneo il pensiero che bisognerebbe castigarlo duramente. Ma poi subito si corregge ed esclama: “Come potrei fare questo? Il mio cuore si commuove dentro di me. Non darò sfogo alla mia ira... Io sono Dio, non un uomo” (Os 11,8). Sorprendente questo richiamo di Dio al suo cuore che si commuove! Quasi a dire che per conoscere veramente Dio nel suo mistero profondo, non basta ascoltare le sue parole o vedere i tratti del suo volto. Dio è cuore! Dio è amore! Il mistero della sua divina trascendenza è il mistero di un amore che si dice incapace di castigare un figlio, anche se infedele e ingrato. Il suo amore è fedele per sempre. La sua alleanza è eterna: un legame così indissolubile che non verrà mai meno.

Invocare Dio col titolo di “padre”

Invocare Dio col nome di “padre” era abbastanza comune presso i popoli antichi del Medio Oriente (Egiziani, Babilonesi, Caldei, ecc...). Lo stesso si può dire dei Greci e dei Romani, per i quali, ad es., era frequente parlare del “padre” Giove o Marte o Apollo... A Giove veniva attribuito addirittura il titolo di Deorum Hominumque Pater (“padre degli dei e degli uomini”). Con questo titolo però si intendeva soltanto esaltare il suo governo sul mondo o invocare la sua protezione per il popolo o per una città.

Anche nei libri dell’AT qualche volta Dio viene invocato col nome di “padre”; ma è un uso piuttosto limitato e di solito dice riferimento al “popolo” in quanto “popolo eletto”, o al “re”, e non a singoli individui. E trattandosi appunto del popolo eletto, il ricordo di quella elezione spesso diventa motivo di rimprovero, da parte dei profeti, per le frequenti infedeltà del popolo verso il “suo Dio”. Si legge, ad es., in Dt 32,6: “Così ripaghi il Signore, o popolo stolto e insipiente? LUI è il PADRE che ti ha creato e ti ha costituito”!

Identico l’accento che si riscontra in alcuni profeti. Così Ger 3,4: “Ora tu non gridi più verso di me: Padre mio, amico della mia giovinezza tu sei!” E ancora: “Li riporterò per una strada diritta, perché io sono un padre per Israele; Efraim è il mio primogenito” (Ger 31,9). E inoltre di nuovo nel Terzo Isaia: “Tu, Signore, sei nostro padre; da sempre ti chiami nostro redentore” (Is 63,15ss)... Sono testi ai quali si deve la nostra commossa attenzione e nei quali, assieme alla dolorosa ed esplicita coscienza delle proprie infedeltà. Israele riconosce che per l’uomo credenteè impensabile un’esistenza senza Dio o a Lui aliena. L’alleanza con l’Altissimo è elemento “costitutivo” della sua identità.

La persona divina del Padre nel NT

Il NT si apre con una grande novità rispetto all’AT. Essa affiora fin dall’inizio, già nelle parole con le quali l’angelo annuncia a Maria (Lc) e a Giuseppe (Mt) la nascita di un bambino che sarà chiamato “figlio dell’Altissimo”. Ancora più esplicite le espressioni presenti nei racconti del battesimo di Gesù al Giordano, quando scende su di lui lo Spirito Santo in forma di colomba e dal cielo una voce proclama: “Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Lc 3,22 e par.).

Se Gesù Cristo è “Figlio di Dio”, e più precisamente “l’unigenito del Padre” come ripetutamente viene affermato nel quarto Vangelo, è chiaro che Dio non può essere concepito come un “eterno solitario”, ma, al contrario, è realmente “padre”, e da sempre ha un “figlio”. Abbiamo cioè in Dio una persona divina che da sempre è padre (il Padre celeste), e una persona divina che da sempre è “il Figlio”. Precisando meglio: abbiamo in Dio una persona divina caratterizzata, nella sua “identità”, proprio dal fatto di essere padre; e, rispettivamente, una persona divina che deve la sua “identità” al fatto di essere “figlio”. Possiamo aggiungere poi che, sempre in questo contesto, emergerà una terza persona divina, lo Spirito Santo, qualificato come “comunione” di reciproco amore del Padre e del Figlio.

È chiaro allora che il titolo di “padre” è attribuito a Dio non semplicemente perché “creatore” dell’universo. Secondo il NT, Dio è Padre di Cristo in modo unico e ineffabile. Egli è “il PADRE”, la prima Persona in seno al mistero trinitario; ed è proprio la “paternità” che definisce la sua “identità personale”. Ma procediamo per gradi.

1. Gesù, quando parla di Dio, lo chiama quasi sempre col nome di “padre”: così quando a 12 anni, nel Tempio, risponde a Maria: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49) e così nell’ultima sua invocazione sulla croce (“Padre, nelle tue mani abbandono il mio spirito” - Lc 23,46). Così nella sua preghiera di lode in Mt 11,27: “Ti benedico, Padre”, e così anche nella sua supplica angosciata del Getsemani (Mc 14,36: “Abbà, Padre... se possibile passi da me questo calice”).

2. Invocando Dio col nome di “padre” Gesù usa espressioni che sottolineano il carattere unico di tale paternità (usando l’assoluto “il Padre”), oppure il rapporto personale che egli può tenere con Lui, chiamandolo “il mio Padre” o qualificandosi come “il Figlio” in assoluto o “il Santo di Dio” e anche “l’unigenito” del Padre!...

3. Non mancano inoltre espressioni che qualificano come chiaramente diversa la sua e la nostra relazione verso il Padre: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17).

4. Molto significativi anche quei brani del NT che attestano sia la chiara distinzione tra il Padre e il Figlio: “Quia Pater maior me est” (Gv 14,28) sia la profonda e misteriosa unità che c’è fra loro: “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,11); “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi (i discepoli) in noi una cosa sola” (Gv 17,21).

5. Sorprendente, infine, la totale reciprocità, attestata con chiarezza da Gesù stesso, nel contesto di un suo dialogo col Padre quando dice: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre; e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27 e Lc 10,22).

Totalmente Padre

Nelle creature, maternità e paternità sono un dato “possibile” e passeggero. Uno diventa tale solo se decide di avere un figlio e vi pone le condizioni. Eppure, nonostante questo limite, maternità e paternità sono viste come una cosa meravigliosa, e se uno le vive veramente in un contesto di amore, non può non apprezzarne la straordinaria ricchezza.

In Dio invece la generazione del Figlio non è un atto accidentale e passeggero, ma un dato essenziale, elemento costitutivo della stessa identità della persona divina che è il PADRE. Eterna infatti è la generazione del Figlio; eterna la donazione di vita; eterno il suo dono d’amore. Per cui il Padre è essenzialmente “padre”; è totalmente “padre”. Solo Lui, nel mistero della comunione trinitaria, porta questo nome. E come persona divina, è definito nella sua identità, proprio dal fatto di essere “padre”.

Egli allora è pienezza di vita, e la dona; è totalmente amore, e si dona! Questo è l’aspetto più misterioso e, insieme, più meraviglioso del mistero trinitario: pienezza infinita di vita e d’amore! Eterna donazione di vita e d’amore. Un continuo donarsi; un continuo donare,... per moltiplicare la vita;... per irradiare amore;... in uno stile di pura gratuità.

È la gratuità ciò che caratterizza la persona del Padre, Lui che è eterna e totale donazione di vita e d’amore al Figlio, Lui che “ha dato origine all’universo per effondere il suo amore su tutte le creature” (Preg. Eucaristica IV).

... Lui è sorgente della vita (“Vivens Pater”, lo chiama Gesù); della sua vita vive il Figlio (“et ego vivo propter Patrem”, insiste ancora Gesù); una VITA quindi che nel Verbo diventa “FILIALE” e in Cristo vivifica anche la sua UMANITÀ e dal Cuore di Cristo irradia e viene offerta a quanti aprono il proprio cuore a tanto dono: “Qui manducat me, et ipse vivet propter me” (Gv 6,57).

Proprio perché il Padre celeste è essenzialmente e totalmente “padre”, tutto in lui è paterno: ogni suo pensiero; ogni sua parola; ogni suo atto. E in lui, che è totalmente “padre”, si riassume tutto ciò che, per noi, può essere visto o definito come “paterno” o “materno”: bontà, generosità, tenerezza, coraggio, compassione, misericordia, gratuità, dedizione, oblatività... e soprattutto amore. Infatti è solo la parola AMORE che tutte queste caratteristiche le riassume, sia nelle creature, sia soprattutto in Dio.

Dio è AMORE: “Deus caritas est” (1 Gv 4,8). E lo ripetiamo: Dio Padre è pienezza di vita, e “la dona”; Dio Padre è totalmente amore, e “si dona”.

Creata da Dio/Amore, e creata per amore, anche la persona umana solo nell’amore potrà comprendersi rettamente e realizzarsi pienamente.