Messaggio in occasione della Festa del Sacro Cuore del 2001

IL FUTURO DELLA CONGREGAZIONE

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Roma, 31 maggio 2001
Prot. N. 117/2001

Carissimi Confratelli,

Circa due anni fa, a mezzogiorno, scendendo le scale verso il refettorio, un nostro confratello ospite mi rivolse questa domanda: "Padre, come va la Congregazione? Ha futuro?".

Non ricordo esattamente cosa risposi; ricordo però che la domanda mi sorprese e mi stupì. Ho sempre dato per scontato che la Congregazione abbia un futuro; e sono convinto che ce l'ha. Ma da allora quest'interrogativo continua a tornare nella mia testa, e oggi, in occasione della prossima festa del Sacro Cuore, oso riproporlo a tutti i confratelli.

Pensare al futuro della Congregazione, credo che possa essere un buon modo per iniziare il nuovo millennio, e una buona prospettiva per preparare i Capitoli Provinciali del prossimo anno e il Capitolo Generale del 2003. Inoltre nel 2003 ricorreranno anche i 125 anni della Fondazione della nostra Congregazione, opportunità per una sua verifica e rilancio di prospettive.

È legittimo interrogarsi sul futuro della Congregazione?

Dipende dall'animo con cui ci si pone quest'interrogativo. Personalmente la ritengo una domanda valida e perfino doverosa.

Il futuro dell'umanità, della Chiesa, della Vita Consacrata…, è divenuto un tema assai ricorrente nelle lettere e discorsi di Giovanni Paolo II. Già nel 1995, alla 50ª Assemblea Generale dell'ONU, il Papa esortava tutte le nazioni della terra a "non avere paura del futuro", "non avere paura dell'uomo", ed invitava a compiere uno sforzo d'insieme per costruire la Civiltà dell'amore, fondata sui valori universali della pace, della solidarietà, della giustizia e della libertà (cf. Discorso all'ONU, 05.10.1995, n. 18).

Nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, partendo dall'icona evangelica "Duc in altum" (Lc 5,4), ci invita a "fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro" (NMI, 1)… "È doveroso per noi proiettarci verso il futuro che ci attende" (idem, 3)… "Il nostro passo, all'inizio di questo nuovo secolo, deve farsi più spedito nel percorrere le strade del mondo" (idem, 58).

Come consacrati, poi, dobbiamo "guardare al futuro", "nel quale lo Spirito (ci) proietta per fare (con noi) ancora cose grandi"; difatti non abbiamo solo un passato da ricordare e raccontare, "ma una grande storia da costruire" (Vita Consacrata, 110).

Guardare al futuro

La nostra visione sul futuro è spesso ristretta: ci limitiamo al dato statistico o a guardare la situazione locale, invece di avere uno sguardo più profondo, panoramico e universale. La Congregazione è internazionale e pluriculturale; vive in situazioni e prospettive molto diverse. Non si può fare un discorso univoco; le riflessioni statistiche e numeriche non dicono tutto.

Bisogna innanzitutto conoscere la realtà che costituiamo e le forze di cui disponiamo. Pur mantenendo un numero pressoché stabile di religiosi, vi è un invecchiamento costante e crescente, le forze sono ancora in diminuzione, permane elevato il numero annuale dei morti e delle desistenze. Quest'ultimo è un problema che non siamo ancora riusciti a risolvere.

Alcune parti della Congregazione, per l'assenza di vocazioni, subiranno, nei prossimi anni, delle trasformazioni significative o spariranno. Ma c'è una controparte in via di sviluppo, soprattutto in Asia, Africa e in alcune parti dell'America Latina, come pure in alcune province del mondo occidentale, ben stabilite, che hanno sempre mantenuto un ritmo di rigenerazione e di crescita.

Ciò che è decisivo, però, rimane invisibile agli occhi: passa per la qualità di vita religiosa, per la capacità di rispondere alle sfide attuali, che la Congregazione può incontrare in qualunque parte del mondo.

In una mia visita ad Asten, un anziano missionario, dopo aver chiesto informazioni sull'andamento della Congregazione nei diversi paesi, mi indicò il titolo di due opere teologiche recenti sul Sacro Cuore. Poi mi disse: "La Congregazione ha futuro, perché ha un carisma. Saranno la nostra identificazione con il patrimonio di p. Dehon e la nostra fedeltà creativa a decidere il nostro futuro".

Trovo che questo confratello ci dia una chiave semplice e certa per pensare al futuro della Congregazione. Dalla parte di Dio l'avvenire è assicurato; ma la nostra parte si gioca su tre punti di confronto: identità, fedeltà, creatività.

Vorrei proporre alla vostra discussione e verifica questi tre punti, alla luce della speranza teologale, scoprendo ragioni valide per credere, per sperare e per amare; per impegnarci al di là dell'immediato quotidiano, con l'ottimismo e la generosità che hanno caratterizzato p. Dehon.

Identità - Fedeltà - Creatività

Sono tre aspetti o elementi distinti, ma inscindibili in un'unica realtà viva e significativa, come vuole essere il nostro Istituto.

1. Identità

L'identità indica: il possesso gioioso del patrimonio spirituale che caratterizza la Congregazione; l'inserimento attivo nel progetto di vita evangelica ereditato dal p. Dehon; l'adesione soprattutto al suo nucleo ispirante: la spiritualità del S. Cuore; il riconoscimento della paternità spirituale del Fondatore, divenuto per noi il nostro primo modello storico; la percezione della Congregazione come un corpo e il senso di appartenenza ad essa; l'assunzione delle sue sane tradizioni; l'impegno attivo e cordiale nel progetto della propria Provincia, Regione, Distretto e Comunità locale.

L'identità ci riporta alle fonti del carisma trasmessoci dal Fondatore; imprime ed esprime i tratti essenziali della nostra fisionomia religioso-apostolica; ci fa sentire al nostro posto e a nostro agio come SCJ; ci spinge a manifestarci come tali.

Implica un'adesione effettiva ed affettiva all'Istituto, espressa nella normalità del quotidiano, ma chiaramente visibile, attraverso la spiritualità vissuta e attraverso uno stile di santificazione, di scelte di vita e di apostolato coerenti con l'indole propria dell'Istituto (cf. LG 44; Mutuae Relationes 11; CIC 578).

Vale la pena spendere una parola sulla spiritualità del Sacro Cuore di Gesù. Essa è al centro della nostra vita; è il "Tesoro" che ci ha lasciato p. Dehon. L'identità ci riporta alle nostre radici e a bere costantemente a questa fonte. Ricollegati con l'esperienza di fede di p. Dehon, che è all'origine dell'Istituto, ci ispiriamo all'evento salvifico del Cuore trafitto e aperto di Gesù in croce, che per noi diventa l'evocazione più eloquente dell'amore di Dio, nel suo mistero trinitario. È pure l'espressione definitiva dell'Ecce Venio - disponibilità filiale di Cristo alla Volontà del Padre - e della sua solidarietà e compassione misericordiosa con l'umanità fino alla donazione totale. Con la comunicazione dello Spirito, principio di vita nuova per l'umanità e per tutta la creazione, siamo inseriti nel movimento di amore redentore verso i fratelli con Cristo e come Cristo (cf. Cst 21).

Tale spiritualità, di non facile accesso e comprensione, richiede dei simboli e dei segni, un linguaggio ed espressioni attuali, gesti ed opere apostoliche proprie, scelte fondamentali e stile di vita…, che la rendono visibile e capace di essere un buon annuncio nella Chiesa e nel mondo d'oggi.

Da quanto detto si comprende che l'identità è strettamente legata alla fedeltà alle origini e alla creatività attuale, e cioè alla fedeltà dinamica.

2. Fedeltà

La fedeltà ci riporta all'essenzialità e alla radicalità del Vangelo, della vita consacrata, della nostra specificità carismatica.

Il Concilio ci ha insegnato a pensare il rinnovamento della vita religiosa in termini di fedeltà (cf. PC, 2-4). Questo tema è stato ripreso e ampliato in molti altri documenti ecclesiali, soprattutto nel Documento della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari "Religiosi e Promozione Umana" del 1980 (cf. nn. 13-21).

Si tratta di mettere a fuoco la nostra qualità di vita, improntata dalla nostra scelta del Signore e della sua sequela, nel servizio dei fratelli. La regola suprema e determinante è il Vangelo.

La nostra stessa spiritualità è valida in quanto configura la nostra modalità di accogliere l'insieme del mistero cristiano e di esprimere la nostra fede. Essa definisce il "nostro modo comune di accostarci al mistero di Cristo, sotto la guida dello Spirito" (Cst 16) e il nostro modo caratteristico di vivere il Vangelo.

Siamo coscienti che la nostra vita sarà evangelicamente significativa, se parte dalla passione e dalla seduzione per la persona di Gesù e per la causa del Regno, seguendo il programma delle beatitudini e abbracciando la "follia" e la "sapienza" della croce.

La fedeltà ha delle concretizzazioni molto precise nella vita quotidiana, che si traducono nella pratica dei voti, nella vita fraterna in comunità con tutti i suoi segni essenziali (preghiera - mensa - progetti -beni - servizio dell'autorità - missione… in comune) e con uno stile proprio che gli viene dalla sua specificità carismatica. A partire da questa prospettiva, "il religioso solo non è mai un ideale. La regola è il religioso inserito in una comunità fraterna" (Vita Fraterna in Comunità, 65).

3. Creatività

La creatività è, però, l'elemento decisivo per "riproporre con coraggio l'intraprendenza, l'inventiva e la santità dei fondatori… come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi" (VC, 37).

Didatticamente, io ho distinto "fedeltà" da "creatività", ma, tornando a quanto detto sopra, sono elementi inscindibili: si presuppongono in maniera reciproca. Per questo il documento Vita Consecrata parla direttamente di "fedeltà creativa" (n. 37); infatti, quando la fedeltà si apre ai segni dei tempi e dei luoghi, diventa creativa.

La distinzione, però, serve a farci constatare che, a volte, vi è una forma parziale di concepire la fedeltà: solo in rapporto al passato (il rapporto con le nostre fonti) o all'interiorità (la spiritualità vista nella sua esclusiva dimensione mistica); ci manca allora la percezione delle sfide attuali, che ci proiettano al di fuori di noi stessi e in avanti, verso il futuro. È uno sbaglio ridurre la fedeltà alla mera osservanza, senza dare spazio all'interpellanza che ci viene dai segni dei tempi e dai segni del luogo dove viviamo. Se questa prospettiva ed apertura sparisse, la nostra dehonianità sarebbe praticamente handicappata; in questo caso, non me la sentirei di parlare apertamente di dehonianità. Il nostro Fondatore, difatti, è l'uomo, è il santo, che è vissuto rispondendo alle interpellanze pressanti del suo tempo e del suo mondo, e della Chiesa, discernendo e rispondendo alla luce della sua intuizione originale del Cuore di Cristo.

Ricordo lo stupore suscitato, in un gruppo dell'USG (Unione dei Superiori Generali), quando raccontai che il nostro Fondatore ha voluto avere in mano il giornale sino al giorno della sua morte, quando, non potendo leggerlo, lo riconsegnò aperto alla comunità.

Oggi, una buona parte del futuro SCJ si gioca nell'ambito della "creatività" che:

Tale creatività è un "appello a ricercare la competenza nel proprio lavoro e a coltivare una fedeltà dinamica alla propria missione, adattandone le forme, quando è necessario, alle nuove situazioni e ai diversi bisogni, in piena docilità all'ispirazione divina e al discernimento ecclesiale" (VC 37).

La creatività presuppone grande disponibilità da parte di tutti, per subordinare i progetti individuali al progetto comunitario, provinciale, generale… Il personalismo e l'individualismo, il bisogno esagerato di gratificazione, la ricerca di protagonismo… sono sempre delle tentazioni latenti, e sono le cause del venire meno di un Istituto alla sua missione specifica. La creatività, quindi, non è semplicemente una qualità mentale o volitiva. È, in primo luogo, un'espressione di vita teologale e dell'Ecce Venio, perché suppone di essere guidati e mossi dallo Spirito.

La creatività viene richiesta a tutti e a tutte le parti della Congregazione, anche se con delle dosi e marce diverse, adeguate alle proprie forze e condizioni. Tuttavia, immessa com'è nell'area della vita teologale, ha delle possibilità ed espressioni originali, significative e molto efficaci per il Regno, in tutte le stagioni della vita e in tutte le parti della Congregazione. Bisogna non sottrarci a questo compito.

A che punto siamo in Congregazione?

È una domanda imbarazzante, che ripropongo a voi. Alla vigilia dei Capitoli Provinciali e del Capitolo Generale, e nella preparazione a fare memoria speciale della fondazione del nostro Istituto (125 anni), abbiamo bisogno di una verifica. Alla luce dello Spirito, rinnovando il dono che ci è stato dato, è necessario confrontarci sul nostro grado di identificazione, di fedeltà e di creatività come singoli individui, come comunità, come Provincia, come Congregazione.

Un giorno, in una lunga attesa all'aeroporto di Bahia (Brasile), si è avvicinato a me un hippy, da cui cercavo di mantenermi distante. "Lei è dehoniano", mi dice. "Certo, come lo sa?" risposi; difatti ero in borghese. "L'ho capito per la croce, che porta un cuore scavato. Non è come le altre che lo dipingono sopra o lo fanno soltanto emergere. L'ho vista anche al mio parroco. Cosa significa?". Tentai di dire alcune parole sul senso del Cuore trafitto e aperto di Gesù e dei suoi atteggiamenti di disponibilità, di amore, di compassione… Ma non mi lasciò finire, interrompendomi ancora con delle domande: "Ma cosa cambia in lei tutto questo? Cosa giova al mondo?". Era un giovane più disposto a fare delle domande che a ricevere delle risposte. Improvvisamente si allontanò per andare con la sua ragazza e mi lasciò con quei due interrogativi. Nelle ore seguenti di volo, quelle due domande mi fecero soffrire e sognare:

Sono domande che ci dobbiamo porre, pensando al futuro comune perché dobbiamo ridisegnare costantemente il nostro modo di presenza, di testimonianza e di apostolato, in fedeltà creativa alla nostra missione nella Chiesa e nel mondo.

Sono domande che ci dobbiamo porre, alla luce del Vangelo della speranza; questa è il motore del futuro. La speranza cristiana non delude, stimola la creatività, sostiene nelle prove, fa perseverare di fronte alle lotte inevitabili e agli insuccessi. Ci fa sperare contro ogni speranza.

Credo che la Congregazione, in questo momento della sua storia ha tanto da ringraziare, ha molto da raccontare, ma ha anche dei compiti incalzanti in vista del suo futuro.

In genere, siamo un gruppo di uomini fedeli, nella linea dell'osservanza. È cresciuta anche l'identità dehoniana, ma rimane spesso un certo pudore nel manifestarla visibilmente, con semplicità evangelica. Credo, infine, che dovremmo essere più creativi. Creatività soprattutto in questi ambiti:

Temo che il termometro della nostra creatività istituzionale sia in ribasso.

Abbiamo, però, una grande forza interna, che ci può portare a un saggio rilancio e alla radicalità evangelica. È necessario che identità, fedeltà e creatività trovino il loro ambiente naturale nell'esperienza profonda di Dio. P. Dehon ci ricorda, nel suo Testamento Spirituale, che "una così bella vocazione richiede un grande fervore e una grande generosità" ed "esige un'abituale vita interiore e l'unione con Gesù".

"Avanti con speranza!" (NMI, 58)

Penso che alcuni momenti di verifica e di confronto comunitario su questi temi, nelle singole comunità locali, ci faranno bene; ci permetteranno di equilibrare la visione, che abbiamo di noi stessi e della Congregazione. Sarà anche un esercizio di corresponsabilità, che si inscrive nel cammino aperto dal progetto "Noi Congregazione al servizio della missione". Sarà anche l'occasione per applicare qualche impegno suggerito dalla Conferenza Generale di Recife, se qualche comunità stenta ancora a farlo.

È questa verifica e confronto comunitario, che chiedo alle comunità locali, come risposta concreta al Messaggio ora inviato.

Vi auguro, però, che in tutto predomini la fiducia e disponibilità, che caratterizzano la vita dehoniana. La nostra preghiera, riflessione e dialogo condivisi puntano a pensare e a preparare, per quanto dipende da noi, un futuro di sempre maggiore generosità e di impegni specifici in tutto il mondo.

La festa del Sacro Cuore ci trovi tutti riuniti nell'Eucaristia di quel giorno, e con la coscienza di essere un'unica grande famiglia, allargata anche ad altri consacrati/e e laici che si ispirano allo stesso progetto evangelico di p. Dehon.

Saluto tutti, a nome mio personale e a nome di tutto il Direttivo Generale, augurandovi di trovare il coraggio di affrontare le "novità" che lo Spirito ci pone davanti, e ci invita ad incarnarle nella nostra esistenza quotidiana.
 

P. Virginio D. Bressanelli, scj
Superiore generale

(testo originale in italiano)


Mensaje con ocasión de la Fiesta del Sagrado Corazón de 2001

EL FUTURO DE LA CONGREGACIÓN

Roma, 31 de mayo de  2001
Prot. N. 117/2001

Queridísimos cohermanos,

Hace unos dos años, a mediodía, bajando las escaleras hacia el comedor, un cohermano nuestro huésped me dirigió esta pregunta: "Padre, ¿cómo va la Congregación? ¿Tiene futuro?".

No recuerdo exactamente lo que le respondí; sí recuerdo que la pregunta me sorprendió. Siempre había dado por descontado que la Congregación tenga un futuro; y estoy convencido de que lo tiene. Pero desde entonces esta pregunta continua volviendo a mi cabeza, y hoy, con ocasión de la próxima fiesta del Sagrado Corazón, oso reproponerlo a todos los cohermanos.

Pensar en el futuro de la Congregación, creo que pueda ser un buen modo de iniciar el nuevo milenio, y una buena perspectiva para preparar los Capítulos Provinciales del próximo año y el Capítulo General de 2003. Además en 2003 celebraremos los 125 años de la Fundación de nuestra Congregación, oportunidad para una verificación y relanzamiento de perspectivas.

¿Es legítimo interrogarse sobre el futuro de la Congregación?

Depende del ánimo con el cual nos hagamos la pregunta. Personalmente retengo que es una pregunta válida además de obligatoria.

El futuro de la humanidad, de la Iglesia, de la Vida Consagrada…, se ha convertido en un tema muy recurrente en las cartas y discursos del Juan pablo II. Ya en 1995, en la 50ª Asamblea General de la ONU, el Papa exhortaba a todas las naciones de la tierra a "no tener miedo del futuro","no tener miedo del hombre", e invitaba a llevar a cabo un esfuerzo de conjunto para construir la Civilización del amor, fundada sobre los valores universales dela paz, al solidaridad, la justicia y la libertad (cf. Discurso a la ONU, 05.10.1995, n. 18).

En la carta apostólica Novo Millennio Ineunte, partiendo del icono evangélico "Duc in altum" (Lc 5,4), nos invita a "hacer memoria agradecida del pasado, a vivir con pasión el presente, a abrirnos con confianza al futuro" (NMI, 1)… "Es necesario para nosotros proyectarnos hacia el futuro que nos espera" (idem, 3)… "Nuestro paso, al inicio de este nuevo siglo, debe hacerse más dispuesto en el recorrer los caminos del mundo" (idem, 58).

Como consagrados, después, debemos "mirar al futuro", "en el cual el Espíritu (nos) proyecta para hacer (con nosotros) aún cosas grandes "; de hecho no tenemos solo un pasado para recordar y contar, "sino una gran historia por construir" (Vita Consecrata, 110).

Mirar al futuro

Nuestra visión sobre el futuro es a menudo restringida: nos limitamos al dato estadístico o a mirar la situación local, en vez de tener una mirada más profunda, panorámica y universal. La Congregación es internacional y pluricultural; vive en situaciones y perspectivas muy diferentes. No se puede hacer un discurso unívoco; las reflexiones estadísticas y numéricas no lo dicen todos.

Es necesario, ante todo, conocer la realidad que constituimos y las fuerzas de las que disponemos. Aun manteniendo un número estable de religiosos, se da un envejecimiento constante y creciente, las fuerzas están aún en disminución, permanece elevado el número de fallecimientos y de salidas. Este último es un problema que no hemos logrado aún resolver.

Algunas partes de la Congregación, por la ausencia de vocaciones, padecerán, en los próximos años, transformaciones significativas o desaparecerán. Pero hay una contraparte en camino de desarrollo, sobre todo en Asia, África y en algunas partes de América Latina, así como en algunas provincias del mundo occidental, bien establecidas, que han mantenido siempre un ritmo de regeneración y crecimiento.

Lo que es decisivo, sin embargo, queda oculto a los ojos: se trata de la cualidad de vida religiosa, de la capacidad de responder a los desafíos actuales, que la Congregación puede encontrar en cualquier parte del mundo.

En una visita a Asten, un anciano misionero, tras haber pedido informaciones sobre cómo andaba la Congregación e los diferentes países, me indicó el título de dos obras teológicas recientes sobre el Sagrado Corazón. Después me dijo: "La Congregación tiene futuro, porque tiene un carisma. Serán nuestra identificación con el patrimonio del P. Dehon y nuestra fidelidad creativa a decidir nuestro futuro ".

Creo que es cohermano nos da una clave simple y cierta para pensar en el futuro de la congregación. Por parte de Dios, el porvenir está asegurado; pero nuestra parte se juega en tres puntos de referencia: identidad, fidelidad, creatividad.

Quisiera proponer a vuestra discusión y verificación estos tres puntos, a la luz de la esperanza teologal, descubriendo razones válidas para creer, para esperar y para amar; para comprometernos más allá del inmediato cotidiano, con el optimismo y la generosidad que han caracterizado el P. Dehon.

Identidad-Fidelidad-Creatividad

Son tres aspectos o elementos distintos, pero inseparables en una única realidad viva y significativa, como quiere ser nuestro Instituto.

1. Identidad

La identidad indica: la posesión alegre del patrimonio espiritual que caracteriza la Congregación; la inserción activa en el proyecto de vida evangélica heredado por el P. Dehon; la adhesión sobretodo a su núcleo inspirante: la espiritualidad del S. Corazón; el reconocimiento de la paternidad espiritual del Fundador, convertido para nosotros en nuestro primer modelo histórico; la percepción de la Congregación como un cuerpo y el sentido de pertenencia a ella; la asunción de sus sanas tradiciones; el compromiso activo y cordial en el proyecto de la propia Provincia, Región, Distrito y Comunidad local.

La identidad nos lleva a las fuentes del carisma transmito por el Fundador; imprime y expresa los trazos esenciales de nuestra fisonomía religioso-apostólica; nos hace sentir en nuestro puesto y a gusto como SCJ; nos impulsa a manifestarnos como tales.

Implica una adhesión efectiva y afectiva al Instituto, expresa en la normalidad del cotidiano, pero claramente visible, a través de la espiritualidad vivida y a través de un estilo de santificación, de opción de vida y de apostolado coherentes con la índole propia del Instituto (cf. LG 44; Mutuae Relationes 11; CIC 578).

Vale la pena emplear una palabra sobre la espiritualidad del Sagrado Corazón de Jesús. Ella está en el centro de nuestra vida; es el "Tesoro" que nos ha dejado el P. Dehon. La identidad nos lleva a nuestras raíces y a beber constantemente de esta fuente. Reunidos con la experiencia del P. Dehon, que está en el origen del Instituto, nos inspiramos en el acontecimiento salvífico del Corazón traspasado de Jesús en cruz., que para nosotros se convierte en la evocación más elocuente del amor de Dios, en su misterio trinitario. Es además la expresión definitiva del Ecce Venio -disponibilidad filial de Cristo a la Voluntad del Padre-  y de su solidaridad y compasión misericordiosa con la humanidad hasta la donación total. Con la comunicación del Espíritu, principio de vida nueva para la humanidad y para toda la creación, somos insertados en el movimiento de amor redentor hacia los hermanos con Cristo y como Cristo (cf. Cst 21).

Tal espiritualidad, de no fácil acceso y comprensión, requiere símbolos y signos, un lenguaje y expresiones actuales, gestos y obras apostólicas propias, opciones fundamentales y estilos de vida…, que la hacen visible y capaz de ser un buen anuncio en la Iglesia y en el mundo de hoy.

De cuanto hemos dicho se comprende que la identidad está estrechamente ligada a la fidelidad a los orígenes y a la creatividad actual, es decir, a la fidelidad dinámica.

2. Fidelidad

La fidelidad nos lleva a la esencialidad y a la radicalidad del Evangelio, de la vida consagrada, de nuestra especificidad carismática.

El Concilio nos ha enseñado a pensar la renovación de la vida religiosa en términos de fidelidad (cf. PC, 2-4). Este tema ha sido retomado y ampliado en muchos otros documentos eclesiales, sobre todo en el Documento de la Congregación para los Religiosos y los Institutos Seculares "Religiosos y Promoción Humana" de 1980 (cf. nn. 13-21).

Se trata de meter al fuego nuestra cualidad de vida, sellada por nuestra elección del Señor y de su seguimiento, en el servicio de los hermanos. La regla suprema y determinante es el Evangelio.

Nuestra misma espiritualidad es válida en cuanto configura nuestra modalidad de acoger el conjunto del misterio cristiano y de expresar nuestra fe. Ella define "nuestro modo común de acercarnos al misterio de Cristo, bajo la guía del Espíritu" (Cst 16) y nuestro modo característico de vivir el Evangelio.

Somos conscientes de que nuestra vida será evangélicamente significativa, si parte de la pasión y de la seducción por la persona de Jesús y por la causa del Reino, siguiendo el programa de las bienaventuranzas y abrazando la "locura" y la "sabiduría" de la cruz.

La fidelidad tiene concretizaciones muy precisas en la vida cotidiana, que se traducen en la práctica de los votos, en la vida fraterna en comunidad con todos sus signos esenciales (oración-mesa-proyectos-bienes-servicio de la autoridad-misión… en común) y con un estilo propio que le viene de su especificidad carismática. A partir de esta perspectiva, "el religioso solo no es nunca un ideal. La regla es el religioso insertado en una comunidad fraterna" (Vida Fraterna en Comunidad, 65).

3. Creatividad

La creatividad es, sin embargo, el elemento decisivo para "reproponer con coraje la intrepidez, le inventiva y la santidad de los fundadores …como respuesta a los signos de los tiempos emergentes en el mundo de hoy"(VC, 37).

Didácticamente, yo he distinguido "fidelidad" de "creatividad", pero, volviendo a cuanto he dicho arriba, son elementos inseparables: se presuponen de manera recíproca. Por esto el documento Vita Consecrata habla directamente de "fidelidad creativa" (n. 37); de hecho, cuando la fidelidad se abre a los signos de los tiempos y de los lugares, se convierte en creativa.

Pero la distinción sirve para hacernos constatar que, a veces, hay una forma parcial de concebir la fidelidad: solo con relación al pasado (la relación con nuestras fuentes) o a la interioridad (la espiritualidad vista en su exclusiva dimensión mística); nos falta entonces la percepción de los desafíos culturales actuales, que nos proyectan fuera de nosotros mismos y hacia delante, hacia el futuro. Es un error reducir la fidelidad a la mera observancia, sin dar espacio a la interpelación que nos viene de los signos de los tiempos y de los signos del lugar donde vivimos. Si esta perspectiva y apertura desapareciese, nuestra dehonianidad estaría prácticamente minusválida; en este caso, no sería capaz de hablar abiertamente de dehonianidad. Nuestro Fundador, de hecho, es el hombre, es el santo, que ha vivido respondiendo a las interpelaciones que presionaban en su tiempo y en su mundo, y de la Iglesia, discerniendo y  respondiendo a la luz de su intuición original del Corazón de Cristo.

Recuerdo el  estupor suscitado  en un grupo de la USG (Unión de Superiores Generales), cuando conté que nuestro Fundador quiso tener en su mano hasta el último día de su muerte el periódico, cuando no pudiendo  leerlo, lo devolvió abierto a la comunidad.

Hoy, una buena parte del futuro SCJ se juega en el ámbito de la "creatividad" que:

Tal creatividad es una "llamada a buscar la competencia en el propio trabajo y a cultivar una fidelidad dinámica a la propia misión, adaptando las formas, cuando es necesario, a las nuevas situaciones y a las diferentes necesidades, en plena docilidad a la inspiración divina y el discernimiento eclesial" (VC 37).

La creatividad presupone gran disponibilidad por parte de todos, para subordinar los proyectos individuales al proyecto comunitario, provincial  general… El personalismo y el individualismo, la necesidad exagerada de gratificaciones, la búsqueda de protagonismo… son siempre tentaciones latentes, y son las causas del venir a menos de un Instituto a su misión específica. La creatividad, por lo tanto, no es simplemente una cualidad mental o volitiva. Es, en primer lugar, una expresión de vida teologal y del Ecce Venio, porque supone estar guiados y movidos por el Espíritu.

La creatividad viene requerida a todos y a todas las partes de la Congregación, si bien con las dosis y velocidades diversas, adaptadas a las propias fuerzas y condiciones. Sin embargo, inmersa como es en el área de la vida teologal, tiene posibilidades y expresiones originales, significativas y muy eficaces para el Reino, en todas las etapas de la vida y en todas las partes de la Congregación. Es necesario no sustraerse a esta tarea.

¿En qué punto estamos en la Congregación?

Es una pregunta embarazosa, que os repropongo a vosotros. En la vigilia de los Capítulos Provinciales y del Capítulo General, y en la preparación para hacer especial memoria de la fundación de nuestro Instituto (125 años), tenemos necesidad de una verificación. A la luz del Espíritu, renovando el don que nos ha sido dado, es necesario confrontarnos con nuestro grado de identificación, de fidelidad y de creatividad como individuos singulares, como comunidad, como Provincia, como Congregación.

Un día, en una larga espera en el aeropuerto de Bahia (Brasil), se me acercó un hippie, del cual buscaba mantenerme distante. "Usted es dehoniano", me dice. "Cierto, ¿cómo lo sabe?" respondí; de hecho no vestía clericalmente. "Lo he sabido por la cruz que lleva un corazón excavado. No es como las otras que lo pintan encima o lo hacen emerger. Se la he visto también a mi párroco.¿Qué significa?". Intenté decirle algunas palabras sobre el sentido del Corazón traspasado y abierto de Jesús y de sus actitudes de disponibilidad, de amor, de compasión … pero no me dejó acabar, interrumpiéndome con más preguntas:"Pero ¿qué cambia en usted todo esto? ¿Qué le importa al mundo?". Era un joven más dispuesto a hacer preguntas que a recibir respuestas. De improviso se alejó para ir con su chica y me dejó con aquellas dos preguntas. En las horas siguientes de vuelo, aquellas dos preguntas me hicieron sufrir y soñar:

Son preguntas que nos debemos hacer, pensando en el futuro común porque debemos re-diseñar, y  constantemente, nuestro modo de presencia, de testimonio y de apostolado, en fidelidad creativa a nuestra misión en la Iglesia y en el mundo.

Son preguntas que nos debemos hacer, a la luz del Evangelio de la esperanza; esta es el motor del futuro. La esperanza cristiana no desilusiona, estimula la creatividad, sostiene en las pruebas, hace perseverar  frente a las luchas inevitables y a los fracasos. Nos hace esperar contra toda esperanza.

Creo que la Congregación, en este momento de su historia tiene mucho que agradecer, tiene mucho que contar, pero tiene también tareas ineludibles de cara a su futuro.

En general, somos un grupo de hombres fieles, en la línea de la observancia. Ha crecido también la identidad dehoniana, pero queda un cierto pudor en el manifestarla visiblemente, con simplicidad evangélica. Creo, en fin, que deberemos ser más creativos. Creatividad sobretodo en estos ámbitos:

Temo que el termómetro de nuestra creatividad institucional esté cayendo.

Tenemos, sin embargo, una gran fuerza interna, que nos puede llevar a un sabio relanzamiento y a la radicalidad evangélica. Es necesario que identidad, fidelidad y creatividad encuentren su ambiente natural en la experiencia profunda de Dios. El P. Dehon nos recuerda en su Testamento Espiritual, que "tan bella vocación requiere un gran fervor y una gran generosidad" y "exige una habitual vida interior de unión con Jesús".

"¡Adelante con esperanza!" (NMI,58)

Pienso que algunos momentos de verificación y de confrontación comunitaria sobre estos temas, en las singulares comunidades locales, nos harán bien; nos permitirán equilibrar la visión que tenemos de nosotros mismos y de la congregación. Será también un ejercicio de corresponsabilidad, que se inscribe en el camino abierto por el proyecto "Nosotros Congregación al servicio de la misión". Será también la ocasión para aplicar algún compromiso sugerido por la Conferencia General de Recife, si alguna comunidad aún no lo ha hecho.

Es esta verificación y confrontación comunitaria lo que pido a las comunidades locales como respuesta concreta al Mensaje ahora enviado.

Os deseo, sin embargo, que en todo predomine la confianza  y la disponibilidad que caracterizan la vida dehoniana. Nuestra oración, reflexión y diálogo compartido apuntan a  pensar y a preparar, para cuanto depende de nosotros, un futuro de siempre mayor generosidad y de compromiso específicos en todo el mundo.

La fiesta del Sagrado Corazón nos encuentre a todos reunidos en la Eucaristía de ese día, y con la conciencia de ser una única gran familia, ensanchada también a los otros consagrados / as y laicos que se inspiran en el mismo proyecto evangélico del P. Dehon.

Saludo a todos, en nombre mío personal y en nombre de todo el Directivo General, deseándoos que encontréis el coraje de afrontar las "novedades" que el Espíritu nos pone delante, y nos invita a encarnarlas en nuestra existencia cotidiana.
 

P. Virginio D. Bressanelli,scj

Superior general

(traducción del texto original en italiano)


Mensagem para a festa do Sagrado Coração de Jesus

O FUTURO DA CONGREGAÇÃO

 


Roma, 31 de maio de 2001
Prot. N. 117/2001

Caros confrades,

Há uns dois anos, quando descia as escadas para o refeitório, na Casa Generalícia, em Roma, um confrade hóspede fez-me sta pergunta: "Como vai a Congregação? Temos um futuro?"

Não lembro mais o que respondi. Lembro que a pergunta me surpreendeu e desconcertou.. Sempre achei certo que a Congregação tem futuro, e estou convicto disso. Porém, aquela pergunta voltou-me à mente sempre e, agora, tento responder a todos os confrades.

Pensar no próprio futuro é um modo de iniciar um novo milênio e preparar o próximo Capítulo geral, de 2003, quando também celebraremos 125 anos de existência.

É legítimo interrogar-se sobre o futuro da Congregação?

O futuro da humanidade, da Igreja, da vida religiosa é um tema freqüente nas cartas e discursos do Papa. Já em 1995, na 50ª assembléia da ONU, o Papa exortava todas as nações a não temerem o futuro e convidava todos a um esforço por construir a civilização do amor, fundada nos valores da paz, da solidariedade, da justiça e da liberdade (cf. Discurso na ONU, 05.10.1995, n. 18).

Na carta apostólica Novo Millenio Ineunte, partindo da expressão "duc in altum" (Lc 5,4), ele convida-nos a "fazer a memória grata do passado, viver com paixão o presente e abrir-nos ao futuro" (NMI, 1)... "É nosso dever lançar-nos em direção do futuro quer nos espera" (idem, 3). "Nosso passo, no início deste novo século, deve ser mais acelerado" (idem, 58).

Como consagrados, devemos "olhar o futuro, "no qual o Espírito nos lança para fazer grandes coisas"; não temos apenas um passado a recordar "mas uma grande história a construir" (Vita Consacrata, 110).

Olhar o futuro

Nossa visão de futuro é muitas vezes restrita. Limitamos-nos aos dados estatísticos ou a uma visão local ignorando um panorama mais universal. A Congregação é internacional e pluricultural, situada em condições bastante diversificadas. Os números não dizem tudo.

É necessário conhecer a realidade e as forças de que dispomos. Embora mantenhamos um efetivo numérico estável, verifica-se um envelhecimento constante. Ademais, o número de mortos e os abandonos são elevados. Esta é uma situação que ainda não se conseguiu resolver.

Em alguns lugares a Congregação corre risco de desaparecer pela falta de vocações. Por outro lado, verifica-se um crescimento na Ásia, na África, em parte da América Latina e em alguns lugares da Europa, onde sempre houve um crescimento regular.

O mais importante permanece aos olhos: a qualidade da vida religiosa, a capacidade de responder aos desafios atuais, o que verifica-se em algumas partes da Congregação.

Numa visita a Asten (NE) um velho missionário, depois de perguntar sobre o estado da Congregação, mencionou duas obras recentes sobre o Sagrado Coração. Depois acrescentou: "Para mim a Congregação tem futuro porque tem carisma. Será nossa identificação com o patrimônio de P. Dehon e nossa fidelidade criativa que decidirão nosso futuro".

Este confrade nos oferece uma chave para explicar nosso futuro. Da parte de Deus o futuro está garantido. De nossa parte é preciso identidade, fidelidade e criatividade.

Quero abrir um debate sobre estes três pontos, à luz da esperança teologal, buscando razões válidas para crer, esperar e amar, para comprometer-nos para além do cotidiano, com otimismo e generosidade, como P. Dehon acreditou.

Identidade -- Fidelidade-- Criatividade

1. Identidade

A identidade se define pelo patrimônio espiritual que caracteriza a Congregação, o projeto de P. Dehon, a adesão ao seu modelo inspirador: a espiritualidade do Sagrado Coração de Jesus; o reconhecimento da paternidade espiritual do Fundador, nosso modelo histórico; a percepção da Congregação como um corpo e o sentido de afiliação a ela; a preservação de nossas sãs tradições; o compromisso ativo no projeto de cada Província, Região, Distrito e comunidade local.

A identidade nos conduz às fontes do carisma e delineia os traços essenciais de nossa fisionomia religioso-apostólica. Ela no situa como dehonianos em qualquer lugar e como tais nos faz sentir bem.

A busca de identidade nos impele afetivamente ao nosso Instituto, confere um sentido ao quotidiano e se manifesta na vivência de nossa espiritualidade, na escolha de um sentido de vida e de apostolado coerente com a índole própria de nosso instituto (cf. LG 44; Mutuae Relationes 11; CIC 578).

Vale a pena debruçar-nos um pouco sobre a espiritualidade do Coração de Jesus, este tesouro deixado como herança de P. Dehon. A busca de identidade nos faz ir buscar água neste poço. Unidos à experiência de fé de P. Dehon, nós nos inspiramos no evento salvífico do Coração traspassado e aberto de Jesus, que é, para nós, a expressão mais eloquente do amor do Pai. O Coração aberto é o sinal definitivo do Ecce Venio, da disponibilidade filial de Cristo à vontade do Pai, da solidariedade e da compaixão misericordiosa com a humanidade até a doação total de si mesmo. Comunicando-nos o Espírito, ele nos insere no movimento de amor redentor para com os irmãos e para com o próprio Cristo Jesus (cf. Const. 21).

Uma espiritualidade deste jaez, difícil e quase incompreensível, está a pedir símbolos e sinais, uma atualização de sua linguagem, bem como atitudes pastorais específicas, opções e estilos de vida, que sejam vistas como um anúncio evangélico.

Numa palavra, a identidade emana da fidelidade ao carisma original e da criatividade no vivê-lo hoje.

2. Fidelidade

A fidelidade nos conduz ao coração do Evangelho, da vida consagrada e do nosso carisma específico. O Concílio estimulou-nos a buscar a renovação da vida religiosa (cf. PC. 2-4). O mesmo pedido foi retomado em outros documentos como "Religiosos e a Promoção Humana", de 1980 (n 13-21).

O fio condutor desta renovação é o Evangelho, parâmetro de nosso estilo de vida e do seguimento do Senhor. Nossa espiritualidade terá validade e crédito na medida em que nos levar a assumir o mistério cristão e a expressar nossa fé. Será a espiritualidade a "definir nosso estilo de aproximar-nos ao mistério de Cristo, sob a guia do Espírito" (Const. 16) e nosso modo de viver o Evangelho.

Temos consciência de que nossa vida terá algum significado evangélico na proporção em que nos apaixonarmos pela pessoa de Jesus e por seu Reino, abraçando as bem-aventuranças, a "loucura" e a "sabedoria" da cruz.

A fidelidade interfere no nosso cotidiano, do qual exige a prática dos votos, a vida fraterna em seus múltiplos aspectos (oração -- projetos -- bens -- serviço da autoridade --missão comum), num estilo de vida próprio, inspirado na originalidade do carisma. A partir desta perspectiva "um religioso sozinho nunca é bom. A regra é o religioso inserido numa comunidade fraterna" (Vida Fraterna em comunidade, 65).

3. Criatividade

A criatividade é elemento decisivo para retomar corajosamente a iniciativa dos fundadores.... como resposta aos sinais dos tempos do mundo de hoje (cf. VC 37).

Por questões didáticas fiz distinção entre fidelidade e criatividade, que, entretanto, são inseparáveis. O documento VC fala de fidelidade criativa, supondo uma fidelidade aberta aos sinais dos tempos.

Esta distinção serve para constatar que a fidelidade, em alguns casos, é parcial e só considera o passado ou a espiritualidade, esquecendo os desafios atuais que nos projetam em direção do futuro. É errado reduzir a fidelidade a uma mera observância, sem deixar-se interpelar pelos sinais dos tempos e da realidade em que vivemos. Fechando-se esta janela, nossa especificidade de dehonianos se desfigura. Nosso Fundador caracterizou-se pelas respostas que tentou dar aos apelos de seu tempo, de seu mundo, da Igreja, respostas buscadas no discernimento de sua intuição original do Coração de Jesus.

Lembro a admiração que causou entre meus companheiros da União dos Superiores Gerais quando contei que nosso Fundador quis ter em mãos o jornal diário até seu último dia, e que, não podendo mais ler, entregou-o aberto à comunidade.

Nosso futuro dependerá, em grande parte, de nossa capacidade criativa desde que ela:

Tal criatividade é "um apelo a conseguir a competência no próprio trabalho e a cultivar uma fidelidade dinâmica à própria missão, adaptando, quando for necessário, as suas formas às novas situações e às várias necessidades, com plena docilidade à inspiração divina e ao discernimento eclesial" (VC 37).

A criatividade pressupõe grande disponibilidade por parte de todos. Para subordinar os projetos pessoais ao projeto comunitário. O personalismo, o individualismo, a necessidade extremada de gratificação, a procura do protagonismo, são tentações latentes e causa de menoscabo do Instituto e de sua missão específica. A criatividade não é simplesmente uma qualidade mental ou volitiva. É uma expressão da vida teologal e do Ecce Venio porque supõe sermos guiados pelo Espírito Santo.

A criatividade é solicitada a todos na Congregação, adaptando-se às condições de cada um e de cada realidade local. Todavia, fazendo parte da vida teologal, permite expressões originais e significativas, muito eficazes para o Reino, em todas as épocas e lugares.

Como estamos na Congregação?

Na vigília dos capítulos provinciais e do Capítulo geral esta pergunta embaraça. Cabe a cada um, a cada Província efetuar uma avaliação de nosso estado quando estamos a completar 125 anos de existência. Sob a iluminação do Espírito Santo, devemos confrontar-nos com nosso grau de identificação, de fidelidade ao carisma e de criatividade.

Um dia estava eu à espera de um vôo no aeroporto de Salvador, Brasil, quando aproximou-se um hippy, do qual eu tentava esquivar-me. Ele disse chofre: "Você é dehoniano!" "Como sabe disso?". "Vi que carrega a cruz com o coração no centro. É igual a do meu vigário. O que significa?" Tentei explicar o sentido do coração traspassado e aberto de Jesus, de sua disponibilidade, de seu amor, de sua compaixão. Sem me deixar terminar, ele voltou à carga: "Isto, o que muda na sua vida? O que ganha o mundo com isso?" O rapaz estava mais disposto a perguntar que a ouvir. De repente afastou-se, indo ao encontro de sua namorada e me deixou encucado, porém. Durante o vôo fiquei a pensar: o que muda em mim e na Congregação o fato de termos um caminho traçado a partir do Coração traspassado e aberto na cruz? A que nosso Instituto servo no mundo de hoje?

Estas são perguntas inevitáveis quando olhamos para frente. Elas nos intimam a rever nossa presença, nosso testemunho, nossa pastoral. São questionamentos que fazemos à luz do Evangelho e da esperança. A esperança cristã não decepciona, estimula a criatividade, nos ampara nas provações e dá perseverança nas lutas, que serão inevitáveis. Nos faz esperar contra toda esperança.

Creio que a Congregação tem muito a agradecer neste momento de sua história assim como tem a lembrar e a fazer.

De modo geral, somos um grupo de homens fiéis na observância. A identidade dehoniana cresceu um tanto embora ainda careça de ser manifestada mais explicitamente. Creio que devemos ser mais criativos, sobretudo nestes aspectos:

Temo que o termômetro de nossa criatividade como instituição esteja abaixando.

Temos, entretanto, uma enorme força interna que pode nos impulsionar a uma retomada e nos conduzir à radicalidade do evangelho. É necessário que a identidade, a fidelidade e a criatividade encontrem seu ambiente natural na experiência profunda de Deus. P. Dehon recorda-nos, em seu testamento espiritual, que "uma vocação tão bela exige fervor e muita generosidade" e "exige uma habitual vida interior e união a Jesus".

"Para frente, com esperança" (NMI, 58)

Penso que fará muito bem se as comunidades se detiverem por momentos a trocar idéias sobre estes temas. Poderemos, assim, confrontar nosso modo de ver e chegar a um equilíbrio maior. Será um exercício de co-responsabilidade dentro do espírito do "Nós, Congregação" e uma ocasião para encaminhar algum compromisso que tenhamos assumido na Conferência geral do Recife.

Esta avaliação e este confronto comunitário é tudo o que peço como resposta a esta mensagem.

Espero que em tudo prepondere a confiança e a disponibilidade que caracterizam a vida dehoniana. Nossa oração, reflexão e diálogo partilhado servirão a encaminhar, naquilo que de nós depende, um futuro de generosidade crescente e de compromissos específicos em todo o mundo.

Que a festa do Sagrado Coração de Jesus venha encontrar-nos reunidos em torno da Eucaristia, conscientes de constituirmos uma família, na qual estão incluídos também outros consagrados e consagradas, leigos e leigas que se inspiram no projeto evangélico de P. Dehon.

Saúdo a todos em nome de todo o Conselho geral, desejando que encontrem a coragem de enfrentar a "novidade" que o Espírito propõe, convidando-nos a encarná-la em nosso cotidiano.

P. Virginio Bressanelli, scj

Superior geral

(texto original: italiano)


Message à l'occasion de la Fête du Sacré Cœur, de 2001-06-05

Le futur de la Congrégation

 


Rome, le 31 mai 2001
Prot. N. 117/2001

Chers Confrères,

Il y a deux ans, environ, à midi, en descendant l'escalier menant au réfectoire, un de nos confrères en visite m'adressa la question suivante : «Père, comment va la Congrégation ? A-t-elle un avenir?»

Je ne me rappelle plus exactement ce que je répondis mais je me rappelle que la question me surprit et m'étonna. J'ai toujours considéré comme acquis le fait que la Congrégation a un avenir et je suis persuadé qu'elle en a un. Mais depuis, cette question continue de revenir dans mon esprit et aujourd'hui, à l'approche de la fête du Sacré-cœur, j'ose la poser à nouveau à tous les confrères.

Penser à l'avenir de la Congrégation, je crois que cela peut être une bonne façon de commencer le nouveau millénaire et une bonne perspective pour préparer les Chapitres provinciaux de l'année prochaine, et le Chapitre général de 2003. De plus, l'an 2003 marque aussi les 125e anniversaire de la fondation de notre Congrégation, l'occasion d'une vérification et d'une relance des perspectives.

Est-il légitime de s'interroger au sujet de l'avenir de la Congrégation?

Cela dépend de l'esprit dans lequel on se pose cette question. Personnellement, je la considère valable et même nécessaire.

L'avenir de l'humanité, de l'Eglise, de la Vie Consacrée…, est devenu un thème très récurrent dans les lettres et dans les discours de Jean-Paul II. Déjà en 1995, à la 50e Assemblée générale de l'ONU, le Pape exhortait tous les peuples de la terre à «ne pas avoir peur du futur», «ne pas avoir peur de l'homme» et appelait à accomplir un effort d'ensemble pour construire la Civilisation de l'amour, fondée sur les valeurs universelles de la paix, de la solidarité, de la justice et de la liberté (cf Discours à l'ONU, 05.10.1995, n. 18).

Dans la lettre apostolique Novo Millennio Ineunte, en partant de la parole évangélique «Duc in altum» (Lc 5,4), il nous invite à «faire mémoire avec gratitude du passé, à vivre avec passion le présent, à nous ouvrir avec confiance à l'avenir» (NMI, 1)… «Nous avons le devoir de nous projeter vers l'avenir qui nous attend» (idem, 3)… «Au début de ce nouveau siècle, notre marche doit être plus alerte en parcourant à nouveau les routes du monde» (idem, 58).

En tant que consacrés, nous devons ensuite «regarder vers l'avenir», «où l'Esprit (nous) envoie pour faire encore avec (nous) de grandes choses». En effet, nous n'avons pas seulement à rappeler et à raconter un passé, mais «à construire une grande histoire» (Vita Consecrata, 110).

Regarder vers l'avenir

Notre vision de l'avenir est souvent restreinte; nous nous limitons à des données statistiques ou à la situation locale au lieu d'avoir un regard plus profond, panoramique et universel. Notre Congrégation est internationale et pluriculturelle; elle vit dans des situations et dans des perspectives très diverses. On ne peut tenir de discours univoque; les réflexions statistiques et numériques ne disent pas tout.

Il faut, avant tout, connaître la réalité que nous représentons et les forces dont nous disposons. Tout en maintenant un nombre presque constant des religieux, nous accusons un vieillissement continu et croissant, nos forces ont encore diminué, le nombre des décès et des départs annuels reste élevé. Ces derniers sont une difficulté que nous n'avons pas encore réussi à résoudre.

En raison du manque des vocations, certaines parties de la Congrégation subiront, dans les prochaines années, des transformations importantes ou disparaîtront. Mais il y aussi une compensation qui se développe, surtout en Asie, en Afrique et dans certaines régions de l'Amérique Latine ainsi que dans quelques Provinces du monde occidental, bien enracinées, qui ont toujours maintenu leur rythme de régénération et de croissance.

Mais ce qui est décisif, reste invisible aux yeux. Cela passe par la qualité de la vie religieuse, par la capacité de répondre aux défis actuels que la Congrégation peut rencontrer dans n'importe quelle partie du monde.

Lors d'une de mes visites à Asten, un missionnaire âgé, après avoir demandé des nouvelles sur l'état de la Congrégation dans les différents pays, m'indiqua le titre des deux ouvrages théologiques récents sur le Sacré-Cœur. Il me dit ensuite : «La Congrégation a un avenir parce qu'elle a un charisme. Ce seront notre identification avec le patrimoine du P. Dehon et notre fidélité créative qui décideront de notre avenir».

Je trouve que ce confrère nous donne une clé simple et sûre pour penser à l'avenir de la Congrégation. Cet avenir est garanti de la part de Dieu mais notre partie se joue sur trois points: identité, fidélité, créativité.

Je voudrais soumettre à votre discussion et à votre examen ces trois point, à la lumière de l'espérance théologale, pour découvrir des raisons valables de croire, d'espérer et d'aimer; pour nous engager au-delà d'un quotidien immédiat, avec l'optimisme et la générosité qui ont caractérisé le P. Dehon.

Identité -- Fidélité -- Créativité

Ce sont trois aspects ou éléments distinctes mais inséparables, liés en une seule réalité vivante et significative, comme veut l'être notre Institut.

1. Identité

L'identité indique: possession joyeuse du patrimoine spirituel qui caractérise la Congrégation; l'insertion active dans le projet de vie évangélique, hérité du P. Dehon; l'adhésion avant tout à sa partie essentielle et inspirante, la spiritualité du Sacré-Cœur; la reconnaissance de la paternité spirituelle du Fondateur, devenu pour nous le premier modèle historique; la perception de la Congrégation comme corps et le sens d'appartenance à elle; l'acceptation de ses saines traditions; l'engagement actif et cordial dans le projet de sa propre Province / Région / District et Communauté locale.

L'identité nous ramène aux sources du charisme transmis du Fondateur; elle imprime et exprime les traits essentiels de notre physionomie religieuse et apostolique; elle nous fait nous sentir à notre place et à l'aise en tant que SCJ; elle nous pousse à nous montrer comme tels.

Elle implique une adhésion effective et affective à l'Institut, exprimée dans la normalité du quotidien mais clairement visible, à travers une spiritualité vécue et à travers un style de sanctification, de choix de vie et d'apostolat, en accord avec le caractère propre de l'Institut (cf LG 44; Mutuae Rlationes 11; CIC 578).

Cela vaut la peine de dire un mot sur la spiritualité du Sacré-Cœur de Jésus. Elle est au centre de notre vie, elle est le «Trésor» que nous a laissé le P. Dehon. L'identité nous ramène à nos racines et à nous abreuver constamment à cette source. Remis en contact avec l'expérience de foi du P. Dehon, qui est à l'origine de l'Institut, nous nous inspirons de l'événement salvifique du Cœur transpercé et ouvert de Jésus en croix, qui devient pour nous l'évocation la plus éloquente de l'amour de Dieu, dans son mystère trinitaire. C'est aussi l'expression définitive de l'Ecce Venio -- de la disponibilité filiale du Christ à la Volonté du Père -- et de sa solidarité et sa compassion miséricordieuse avec l'humanité, jusqu'à son don total de soi. Par la communication de l'Esprit, principe d'une vie nouvelle pour l'humanité et pour toute la création, nous sommes insérés dans le mouvement d'amour rédempteur pour nos frères, avec et comme le Christ (cf Cst 21).

Cette spiritualité, qui n'est ni facilement accessible ni facilement compréhensible, a besoin de symboles et de signes, d'un langage et d'expressions actuels, de gestes et d'œuvres apostoliques propres, de choix fondamentaux et d'un style de vie…, qui la rendent visible et capable d'être une bonne annonce dans l'Eglise et dans le monde aujourd'hui.

D'après ce que l'on vient de dire, on comprend que l'identité est étroitement liée à la fidélité aux origines et à la créativité actuelle, c'est-à-dire à la fidélité dynamique.

2. Fidélité

La fidélité nous ramène à l'essentiel et à l'aspect radical de l'Evangile, de la vie consacrée et de notre spécificité charismatique.

Le Concile nous a enseigné à concevoir le renouvellement de la vie religieuse en termes de fidélité (cf PC, 2-4). Ce thème a été repris et développé par d'autres documents de l'Eglise, surtout par le Document de la Congrégation pour les Religieux et les Instituts Séculiers «Les Religieux et la Promotion humaine» de 1980 (cf N ; 13-21).

Il s'agit de mettre au point notre qualité de vie, empreinte de notre choix du Seigneur et de sa suite, au service des frères. La règle suprême et déterminante est l'Evangile.

Notre spiritualité est valable dans la mesure où elle façonne notre manière d'accueillir l'ensemble du mystère chrétien et de dire notre foi. Elle définit notre «commune approche du mystère du Christ, sous la conduite de l'Esprit» (Cst 16) et notre façon caractéristique de vivre l'Evangile.

Nous sommes conscients que notre vie sera significative, du point de vue évangélique, si elle part de notre passion et de notre fascination pour la personne de Jésus et pour la cause du Règne, suivant le programme des béatitudes et embrassant la «folie» et la «sagesse» de la croix.

La fidélité a des manifestations très précises dans la vie quotidienne, qui se traduisent par la pratique des vœux, par la vie fraternelle en communauté avec tous ses signes essentiels (la prière, la table, les projets, les biens, le service de l'autorité, la mission… en commun) et par un style propre qui lui vient de sa spécificité charismatique. A partir de cette perspective, «le religieux seul n'est jamais un idéal. La règle c'est le religieux inséré dans une communauté fraternelle» (Vie Fraternelle en Communauté, 65).

3. Créativité

La créativité est cependant l'élément décisif pour reproposer «avec courage l'esprit entreprenant, l'inventivité et la sainteté des fondateurs…en réponse aux "signes des temps" qui apparaissent dans le monde actuel» (VC, 37).

Pour des raisons didactiques, j'ai distingué la «fidélité» de la «créativité», mais, comme on vient de le dire, il s'agit d'éléments inséparables; ils se supposent l'un l'autre. C'est pourquoi le document Vita Consecrata parle directement de «fidélité dynamique». En effet, lorsque la fidélité s'ouvre aux signes des temps et des lieux, elle devient créative (dynamique).

Mais cette distinction est utile pour que nous constations que, parfois, il y a une forme partielle de concevoir la fidélité, seulement par rapport au passé (à l'égard de nos sources) ou par rapport à l'intériorité (la spiritualité considérée exclusivement dans sa dimension mystique). Il y manque alors la perception des défis actuels qui nous projettent en dehors de nous-mêmes et en avant, vers l'avenir. C'est une erreur que de réduire la fidélité à la seule observance, sans laisser place à l'interpellation venant des signes des temps et des signes de l'endroit où nous vivons. Si cette perspective et cette ouverture disparaissaient, notre spécificité dehonienne s'en trouverait handicapée. Dans ce cas, je ne me sentirais pas à l'aise pour parler ouvertement de la spécificité dehonienne. En effet, notre Fondateur est un homme, un saint, qui a vécu en répondant aux interpellations pressantes de son époque et de son monde, et de l'Eglise, en discernant et en répondant à la lumière de son intuition originale du Cœur du Christ.

Je me rappelle l'étonnement provoqué dans un groupe de l'USG (Union des Supérieurs Généraux), quand je leur racontai que notre Fondateur a voulu avoir entre les mains le journal jusqu'au jour de sa mort, quand, ne pouvant plus le lire, il le remit ouvert à la communauté.

Aujourd'hui, une bonne partie de l'avenir SCJ se joue dans le domaine de la «créativité» qui :

Cette créativité est un «un appel à acquérir une bonne compétence dans son travail et à garder une fidélité dynamique dans sa mission, en adaptant lorsque c'est nécessaire les modalités aux situations nouvelles et aux différents besoins, en pleine docilité à l'inspiration divine et au discernement ecclésial» (VC 37).

La créativité suppose une grande disponibilité de la part de tous, pour subordonner les projets individuels au projet communautaire, provincial, général… Le personnalisme et l'individualisme, le besoin excessif de reconnaissance, la recherche du premier rôle… ce sont toujours des tentations latentes et ce sont des causes du manquement d'un Institut à sa mission spécifique. La créativité n'est donc pas une simple qualité mentale ou de volonté. C'est, en premier lieu, une expression de la vie théologale et de l'Ecce Venio parce qu'elle suppose que l'on est guidé et mu par l'Esprit.

La créativité est exigée de tous et de toutes les parties de la Congrégation, même si c'est en quantités et en démarches différentes, proportionnellement aux forces et aux conditions de chacun. Toutefois, comme elle est insérée dans le domaine de la vie théologale, elle a des possibilités et des expressions originales, significatives et très efficaces pour le Règne, à toutes les étapes et dans toutes les parties de la Congrégation. Il ne faut pas nous soustraire à ce devoir.

A quel point sommes-nous en Congrégation?

C'est une question embarrassante que je vous repropose. A la veille des Chapitres provinciaux et du Chapitre général, et en préparation d'une commémoration spéciale de la fondation de notre Institut (125e anniversaire), nous avons besoin d'un examen. A la lumière de l'Esprit, en renouvelant le don qui nous a été donné, il faut nous examiner sur notre degré d'identification, de fidélité et de créativité en tant qu'individus, communauté, Province, Congrégation.

Un jour, lors d'une longue attente à l'aéroport de Bahia (Brésil) j'ai été abordé par un hippy que j'essayais de tenir à distance. «Vous êtes dehonien», me dit-il. «Oui, comment le savez vous?», lui ai-je répondu, puisque j'étais habillé en civil. «Je l'ai compris d'après votre croix, avec un cœur évidé. Elle n'est pas comme les autres qui le peignent dessus ou le font simplement apparaître. Je l'ai vue également chez mon curé. Quel en est le sens? Je tentai de dire quelques mots sur le sens du Cœur transpercé et ouvert de Jésus et de ses attitudes de disponibilité, d'amour, de compassion… Mais il ne me laissa pas terminer, en m'interrompant encore par des questions suivantes : «Mais qu'est-ce que tout cela change en vous? A quoi cela sert-il au monde?». C'était un jeune plus disposé à poser des questions qu'à recevoir des réponses. Inopinément, il s'éloigna pour rejoindre sa petite amie et me laissa avec ces deux questions. Dans les heures de vol qui ont suivi, ces deux questions me firent souffrir et rêver:

Ce sont des questions que nous devons nous poser, en pensant à l'avenir commun parce que nous devons redessiner constamment la façon de notre présence, de notre témoignage et de notre apostolat, dans une fidélité créative à notre mission dans l'Eglise et dans le monde.

Ce sont des question que nous devons nous poser, à la lumière de l'Evangile de l'espérance ; celle-ci est le moteur de l'avenir. L'espérance chrétienne ne déçoit pas, elle stimule la créativité, soutient dans les épreuves, fait persévére en face des luttes inévitables et des échecs. Elle nous fait espérer contre toute espérance.

Je crois que, en ce moment de son histoire, la Congrégation a tant des raisons pour rendre grâce, a tant à raconter, mais elle a aussi des devoirs pressants en vue de son avenir.

En général, nous sommes un groupe d'hommes fidèles, dans la ligne d'observance. Notre identité dehonienne a grandi bien qu'il y ait souvent une pudeur pour la rendre visible, avec une simplicité évangélique. Je crois, enfin, que nous devrions être plus créatifs. Il s'agit de la créativité, avant tout, dans les domaines suivants :

Je crains que le thermomètre de notre créativité institutionnelle ne soit en baisse.

Mais nous disposons d'une grande force intérieure qui peut nous conduire à une sage relance et à l'aspect radical de l'Evangile. Il faut que l'identité, la fidélité et la créativité trouvent leur milieu naturel dans l'expérience profonde de Dieu. Dans son Testament spirituel, le P. Dehon nous rappelle qu'«une si belle vocation demande une grande ferveur et une grande générosité», et «exige l'habitude de la vie intérieure et l'union avec Notre-Seigneur».

«Allons de l'avant, dans l'espérance!» (NMI, 58)

Je pense que quelques moments d'examen et de débat communautaires sur ces thèmes, dans chacune des communautés locales, nous feront du bien; ils nous permettront d'équilibrer la vision que nous avons de nous-mêmes et de la Congrégation. Ce sera aussi un exercice de coresponsabilité qui s'inscrit dans le cheminement ouvert par le projet «Nous, la Congrégation, au service de la mission». Ce sera aussi une occasion de réaliser quelques engagements suggérés par la Conférence générale de Recife si quelques communautés a encore du mal à le faire.

C'est cet examen et ce débat communautaire que je demande aux communautés locales comme réponse concrète au Message envoyé maintenant.

Je vous souhaite cependant qu'en tout prédomine la confiance et la disponibilité qui caractérisent la vie dehonienne. Notre prière, notre réflexion et notre dialogue partagé visent à penser et à préparer, dans la mesure où cela dépend de nous, un avenir d'une générosité toujours plus grande et d'engagements spécifiques dans le monde entier.

Que la fête du Sacré-Cœur nous trouve tous réunis à l'Eucharistie de ce jour, dans la conscience d'être une seule grande famille, élargie aussi à d'autres consacré(e)s et laïcs qui s'inspirent du même projet évangélique du P. Dehon.

Je vous salue tous en mon nom personnel et au nom de tout le Gouvernement général, en vous souhaitant de trouver le courage d'affronter le «nouveautés» que l'Esprit nous propose et nous invite à incarner dans notre vie quotidienne.

P. Virginio D. Bressanelli, scj

Supérieur Général

(texte original en italien)


Rome, 31 May, 2001
Prot. N. 117/2001

Message on the Feast of the Sacred Heart, 2001

The Future of the Congregation


Dear Confreres,

At noontime about two years ago while on the staircase walking towards the refectory, one of our visiting SCJs asked me this question: "Father, how is the Congregation? Does it have a future?"

I do not recollect exactly what I said in response; I recall however that the question surprised and stunned me. I had always taken it for granted that the Congregation would have a future; I remain convinced that it does. But from that time onwards that question continues to revolve about in my head. Today, on the occasion of the approaching feast of the Sacred Heart, I dare re-submit it to all the members.

To think about the future of the Congregation, I believe, can be a good way to begin the new Millenium and a great position from which to prepare the provincial chapters that will take place next year and the general chapter of 2003. Furthermore, in 2003 the 125th year of the foundation of our Congregation will occur and will offer us an opportunity for self-examination and renewal.

Is Asking Ourselves About the Future of the Congregation Legitimate?

This depends on the spirit with which this question is asked of us. Personally, I consider it a valid request while at the same time onerous.

The future of humankind, of the Church, of consecrated life…these have become topics more frequently found in the letters and addresses of John Paul II. Already in 1995 at the 50th General Assembly of the UN, the Pope urged all the nations of the earth "not to have fear of the future," "not to have fear of man" and invited them to put together a common effort to build a Civilization of Love based on universal values of peace, solidarity, justice, and freedom (cf. Address to the UN, October 5, 1995, n. 18).

In his apostolic letter, Novo Millennio Ineunte (NMI), beginning with the gospel image, "Put out into the deep" (Lk. 5:4), we are invited "to remember the past with gratitude, to live the present with enthusiasm, and to look forward to the future with confidence" (NMI, n. 1)… "It is especially necessary for us to direct our thoughts to the future which lies before us" (id. n. 3)… "At the beginning of this new century, our steps must quicken as we travel the highways of the world" (id. n. 58).

As consecrated religious, then, we ought to "look to the future," "where the Spirit is sending (us) in order to do even greater things (with our help). In actuality, we not only have a past to recall and speak about, "but also a great history still to be accomplished" (Vita Consecrata [VC] n.110).

Look to the Future

Our vision of the future is so often narrow: we restrict ourselves to statistics or look only at the local scene instead of having a deeper vision which is wide and universal. The Congregation is international and multicultural; it exists in circumstances and situations which vary greatly. It is not possible to speak univocally about it; reflections based on numbers and statistics don't say everything.

We need, above all, to get to know the reality of the forces at our disposal. While maintaining a pretty much stable number of religious, we are nevertheless experiencing a constant and growing aging and our energies are thus diminishing. The annual number of deaths and departures remains high. This last factor is a problem that we have not yet been able to resolve.

Due to lack of vocations, some parts of the Congregation will undergo some significant changes in the next few years or they will disappear. There is, however, a counter-point developing, particularly in Asia, Africa, and in some parts of Latin America as well as in a few well-established provinces of the Western world which have always held onto a rhythm of regeneration and growth.

However, what is decisive is unseen by human eyes: it is effective through the quality of religious life, through the capacity of responding to the challenges that face us as a Congregation in whatever part of the world we are in.

On one of my visits to Asten, after asking for information on how the Congregation is doing in different countries an elderly missionary gave me the names of two recent theological works on the Sacred Heart. Then he said to me: "The Congregation has a future because it has a charism. What will decide our future are our identification with the patrimony of Fr. Dehon and our creative fidelity to it."

I find that this confrere gives us a simple and certain key for thinking about our future as a Congregation. On God's part our future is assured; but our part to play is based on three matters we need to look at: identity, fidelity, creativity.

I would like to propose for your discussion and examination these three points, with illumination by theological hope, discovering valid reasons to believe, to hope, and to love; to become engaged beyond our ordinary daily concerns, having the same kind of optimism and generosity that characterized Fr. Dehon.

Identity-Fidelity-Creativity

These are three distinct yet inseparable aspects or elements in a single, living and important reality we wish our Institute to be.

1. Identity

Identity means: the joyous possession of the spiritual patrimony which characterizes the Congregation; active insertion in the way of evangelical life we inherited from Fr. Dehon; adherence to his core inspiration: the spirituality of the Sacred Heart; recognition of the spiritual fatherhood of the Founder, who became for us our chief historical model; seeing the Congregation as an living entity and having a sense of belonging to it; taking upon ourselves its healthy traditions; active and heartfelt commitment to being part of the enterprises of one's own province, region, district, and local community.

Identity brings us to the wellsprings of the charism handed down to us by the Founder: it imprints and expresses the essential traits of our religious-apostolic makeup; it helps us sense our place and puts us at ease as SCJs; it leads us to let people know we are SCJs.

Identity implies an effective and affective adherence to the Institute which is expressed in our daily normal life, yet clearly visible in the way we live our spirituality and become holy, through choices of life and apostolate consistent with the proper structure of the Institute (cf. LG, n. 44; Mutuae Relationes n. 11; CIC 578).

It is worthwhile to speak a bit about the spirituality of the Sacred Heart of Jesus. It is the center of our lives; it is the "Treasure" that Fr. Dehon left to us. Identity brings us to our wellsprings and makes us draw fully from these sources. Connected to Fr. Dehon's experience of faith which originated our Institute, we are inspired by the salvific event of the piercing and opening of the Heart of Jesus on the cross, for us the most eloquent evocation of the love of God in its Trinitarian mystery. It is the full expression of the Ecce Venio -- the availability of Christ the Son to the will of the Father -- and of his solidarity and merciful compassion for humanity to the point of total self-giving. With the giving of the Holy Spirit, the source of new life for mankind and for all creation, we are inserted in the movement of redemptive love for our brothers and sisters with Christ and as Christ (cf. Cst. 21).

Such a spirituality, not easily entered into or understood, requires symbols and signs, a living language and expression, proper apostolic works and acts, basic choices and a way of life…that render it visible and capable of being a worthwhile message to the Church and to today's world.

From everything that has been said, it is obvious that identity is closely related to fidelity to our origins and to real creativity, i.e, dynamic fidelity.

2. Fidelity

Fidelity is what brings us to the essential and radical nature of the Gospel, of consecrated life, of our specific charisma.

The Council taught us to consider the renewal of religious life in terms of fidelity (cf. PC, nn. 2-4). This consideration was taken up again and expanded in many other church documents, particularly in the document from the Congregation of Religious and Secular Institutes "Religious and Human Development" which appeared in 1980 (cf. nn. 13-21).

This is a matter of focusing on the quality of our life which has been marked by our choice of the Lord and our following after Him, of our service to our brothers and sisters. The Gospel in these matters are our supreme rule and guide.

Our very own spirituality is defensible according to the degree that it shapes our way of accepting the totality of the Christian mystery and expressing our faith. It defines "a common approach to the mystery of Christ, under the guidance of the Spirit" (Cst. 16) and our characteristic manner of living the Gospel.

We are aware that our lives will be meaningful in a Gospel-sense if it proceeds from passion for and seduction by the person of Jesus and the cause of the Kingdom, in keeping with the beatitudes and in embracing the "folly" and the "wisdom" of the cross.

Fidelity has its very precise and concrete applications in daily life which translate to the practice of the vows, to a fraternal life in community with all its essentials (prayer -- meals -- planning -- goods -- the service of authority -- mission…in common), along with a singular style which derives from our particular charism. From this aspect, "A religious living alone is never an ideal. The norm is that religious live in fraternal communities" (Fraternal Life in Community n. 65).

3. Creativity

The truly decisive element, however, is creativity "courageously to propose anew the enterprising initiative, creativity and holiness of their founders … in response to the signs of the times emerging in today's world' (VC, n.37).

For instructional purposes I have separated "fidelity" from "creativity" but based on what was stated above the two are inseparable: each element maintains reciprocity with the other. For this reason the document, Vita Consecrata speaks directly of "dynamic fidelity" (n. 37); as a matter of fact, when fidelity is open to the signs of times and places it becomes creative.

Yet the distinction helps us ascertain that, at times, there is an incomplete manner of conceiving fidelity: as related only to the past (the relation to our origins) or only to the interior life (spirituality seen solely from the perspective of the mystical dimension); in such a case what is missing is an awareness of present challenges which force us beyond ourselves and into the future. It is a mistake to reduce fidelity to mere observance alone without allowing opportunity for any challenge that arises from the signs of the times and places in which we live. If such a prospect and likelihood were to disappear, our "Dehonianness" would be practically handicapped; in such a case it would no longer make sense to speak publicly about our Dehonian spirit. Our Founder is a man, a saint, who lived his life by acting in response to the pressing needs of his time and his world, to the Church, discerning and responding according to the light derived from his original understanding of the Heart of Christ.

I remember the stunned surprise that arose among a group of the USG (Union of Superiors General) when I told them that our Founder wanted to have his daily newspaper in hand up to the day of his death and when no longer able to read it, he gave it to the local community with its pages open.

A large part of our SCJ future rests on this creativity factor that:

This kind of creativity is "a call to pursue competence in personal work and to develop a dynamic fidelity to their mission, adapting forms, if need be, to new situations and different needs, in complete openness to God's inspiration and to the Church's discernment" (VC n.37).

Creativity presumes great availability from everyone to permit the subordination of individual plans to the plans of the community, the province, the congregation… Personalism, individualism, an exaggerated need for gratification, striving to be the "star" or in charge, these are always underlying temptations and the reasons why an Institute does less well with its specific mission. Thus, creativity is not simply an intellectual or volitional quality. It is, above all, an expression of theological life and of the Ecce Venio because it presupposes the guidance and inspiration of the Holy Spirit.

We need creativity from everyone and from every part of the Congregation in keeping with people's energies and conditions, in differing quantities and with different qualities. Sharing in the theological life, creativity is capable of taking on meaningful, original, and greatly effective forms for the benefit of the Kingdom throughout the Congregation no matter what the stage of one's life. None should hold back from this task.

At What Stage Are We in the Congregation?

This embarrassing question I now put to you. We need to examine ourselves as we prepare for provincial chapters and the general chapter and as we prepare to hold a special commemoration of the 125 year of the foundation of our Institute. Illuminated by the Spirit and by renewing the gift given us, we need to take a look at the level of our identification, our fidelity, and our creativity as single individuals, as communities, as provinces, as a congregation.

One day, while waiting for a plane over a long period of time at the airport of Bahia (Brazil) a hippy approached me though I tried to maintain distance from him. He said to me: "You are a Dehonian." "Sure" I responded, "how do you know that?" I was wearing secular clothing. "I knew it by the cross you are wearing which has a heart hollowed out of it. It's not like any other crosses, which have an image upon them or are without an image. I've seen my pastor wear one. What does it mean?" I tried to explain the meaning of the pierced and open heart of Jesus and his disposition of availability, love, compassion… but he did not let me finish and interrupted me with still more questions: "But has this made any change in you? Does it benefit the world?" This young man was readier to ask questions than to wait for answers. He suddenly went off to be with his girl friend and left me alone with the two questions. In the time and on the flight that followed those two questions made me think and suffer:

These are questions we need to ask in light of the Gospel of hope; this is the engine of the future. Christian hope is not illusory; it is the stimulus of creativity, endures trials, and perseveres face-on before inevitable struggles and failures. It makes us hope against hope.

I believe that the Congregation at this moment of its history has much to be grateful for, much to acknowledge, but equally many pressing tasks in light of the future.

Generally speaking, we are a group of men who are faithful when it comes to observance. Our Dehonian identity has grown but there is still a reluctance to manifest it publicly with gospel-like simplicity. I believe, finally, that we need to be more creative: particularly in these respects we need to:

I fear that the thermometer of our institutional creativity is in decline.

We have a great internal energy that can take us to striking out in fresh ways and to gospel radicality. It is necessary that our identity, fidelity, and creativity find their natural ground in a profound experience of God. Fr. Dehon reminds us in his Spiritual Testament that "such a beautiful vocation requires of us great fervor and generosity" and "demands an ongoing interior life and union with Jesus."

"Set Out Into the Deep" (NMI, n.58)

I think that some time taken to examine and look at these topics in each local community will benefit us; it will allow us to balance the vision we have of ourselves and of our Congregation. Such will also be an exercise of co-responsibility that is written into the plan "We, the Congregation: In Service to the Mission." This will also be an occasion to apply some commitments suggested by the General Conference at Recife if any community has found it difficult to do so.

This is the examination and assessment I am seeking from every local community as a concrete response to this message I am sending you.

I hope, however, that in everything the trust and availability which characterize SCJ life will predominate. Our prayer, reflection, and dialog shared among us, insofar as it depends on us, will enable us to think about and begin preparations for a future of ever greater generosity and of specific tasks throughout the world.

Let the feast of the Sacred Heart find us united in the Eucharist of that day, conscious that we belong to one great family which is made up as well of other lay and consecrated persons who are inspired by the same evangelical enterprise of Fr. Dehon.

I greet everyone personally in my own name and in the name of the entire General Council; I wish you the courage to face the "newness" which the Spirit unfolds to us and invites us to incorporate into our daily lives.

Fr. Virginio D. Bressanelli, scj
Superior General

(Italian original)