Rete " Pace per il Congo"

 Congo-Attualità
N° 02

Editoriale

Quale avvenire per la Repubblica Democratica del Congo? Il bilancio del regime del defunto presidente Kabila sembra portare le premesse della sua fine. Se è vero che non ebbe che un anno di relativa pace per governare, è anche vero che non ha saputo essere l’uomo animato dalla passione per il suo popolo martoriato, non ha saputo essere il leader che metteva il destino del popolo al di sopra del suo futuro politico. Eppure il paese si era dato con fatica e subendo violenza, un quadro di transizione democratica durante la Conferenza Nazionale Sovrana del ’92, ma l’avanzata violenta e il nuovo regime hanno ignorato il percorso compiuto dal popolo, togliendosi però dalla legittimità giuridica.

Durante i suoi quattro anni al potere, Kabila ha violato regolarmente e senza pietà i diritti dell’uomo in Congo. Ha ucciso, torturato, imprigionato e fatto scomparire ogni persona che sospettava minacciasse il suo regime. Tra coloro che hanno maggiormente sofferto ci sono i suoi avversari politici, i rappresentanti della società civile, gli attivisti dei Diritti dell’Uomo e i giornalisti [e rappresentanti della Chiesa cattolica, ndr]. Kabila ha ceduto il diritto di sfruttamento delle vaste ricchezze minerarie del paese ai suoi amici commercianti e militari, mentre l’economia del paese affondava e la popolazione mancava di cibo, di medicine e di altri elementi di necessità, soprattutto a Kinshasa e in altre città". Questo è il bilancio lapidario del regime, sintetizzato da Human Rights Watch". Eppure, con coraggio eroico, molti del popolo non hanno cessato di amarlo. Non per lui, ma per quella coscienza d’unità e d’identità congolese che vedevano espressa e comunque difesa da lui. Diverse associazioni congolesi di difesa dei Diritti Umani, benché angariate spesso dal defunto Presidente, hanno condannato l’attentato.

Se ne va un altro Presidente non eletto dal popolo, come non lo era il suo predecessore, ma imposto da poteri stranieri. Mobutu era gradito alla CIA al tempo della guerra fredda perché faceva gli interessi economici occidentali. Kabila è stato pescato dall'Uganda, ove dopo un passato di guerrigliero si dava al commercio di preziosi, e piazzato alla testa di una montata rivolta interna contro Mubutu, insieme ad altri. Per esempio a quel generale André Kisase Ngandu, che egli aveva voluto sopravanzare e che sarà ucciso da ufficiali del regime rwandese a pochi mesi dall’inizio dell’avanzata verso Kinshasa. Ngandu non voleva che le ricchezze del paese finissero nei paesi vicini. A lui si rifà, peraltro, il solo gruppo che ha rivendicato l’attentato a Kabila.

I retroscena dell’attentato che ha costato la vita al Presidente Kabila sono ancora avvolti nell’ombra. La quasi assenza di reazioni violente nel paese dopo l’assassinio fa pensare pero ad un evento almeno un po’ previsto o anche non veramente deplorato.

Gli alleati Angola, Namibia e Zimbabwe si sono astenuti dal commentare la nomina ed hanno reiterato il loro sostegno al paese. Dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, da rappresentanti di USA e Belgio, dai partecipanti al vertice franco-africano svoltosi a Yaoundé in quei giorni, è stato rinnovata l’esortazione alle parti in conflitto a realizzare gli accordi di Lusaka. I tre maggiori movimenti ribelli insistono per ora sulla necessità di accelerare l’applicazione di questi accordi. Le autorità di Kinshasa dichiarano che continueranno la lotta per l’unità del paese e reiterano la richiesta di revisione degli accordi per il mutato quadro.

Come Presidente è stato prescelto il figlio di Kabila, Joseph che ha prestato giuramento venerdi 26 gennaio 2001.

L'elezione di Joseph Kabila a capo dello Stato avviene nel contesto di un intensificato impegno per la conclusione della guerra civile che ha coinvolto gli eserciti di sei nazioni africane per il controllo della RDC, un paese particolarmente ricco sotto il profilo minerario.

Già la riunione del Consiglio di Sicurezza dedicata alla questione congolese è in calendario per il 21 e il 22 febbraio, ha dichiarato il portavoce ONU Fred Eckard

D'altronde, appena intronizzato, il nuovo presidente della RDC, Joseph Kabila arriva giovedi 1 febbraio a Washington dove incontrerà il nuovo presidente americano Georges W.Bush e venerdi 2 febbraio si recherà alle Nazioni Unite.

In conclusione, la morte del presidente della R. D. Congo ha fatto si che cadesse un muro quasi invalicabile per il grido di un popolo e che si parlasse del Congo sulla grande stampa internazionale. A funerali finiti, se ne parlerà ancora? Il fatto è che il silenzio, come la notte, come anche la falsa luce fanno il gioco di chi opprime. Noi dobbiamo parlare. Dire le vittime e spingere oltre il velo di pietà. Spingere a interrogarsi, a pensare. Se mai non ci sia qualcosa che ci veda conniventi con un dramma così lontano, un’azione che sia da fare. Non fosse altro che un impegno a leggere di più, una lettera da scrivere a chi abbiamo posto a rappresentarci, a Roma o a Bruxelles o al Palazzo di Vetro, un rifiuto di usare violenza nel nostro vivere quotidiano, una sobrietà più grande nell’uso del tempo e dei mezzi perché ne avanzi per l’Africa e per la giustizia.

Situazione socio-politica

Violenze a Ituri

Da tempo la società civile denuncia il rischio dell’esportazione del conflitto interetnico, un virus peggiore di Ebola, come strumento di presa e di difesa del potere da parte di un gruppo. Quello che è accaduto in Ituri, nel nord-est del Congo ne è l’attuazione più grave. Da sempre c’era un conflitto tra gli Hema, pastori, nilotici e i Lendu e gli Ngiti, agricoltori, del gruppo bantu. Eppure i matrimoni tra le due tribù erano cosa normale. Il conflitto è diventato estremamente violento quando è stato impugnato dalla forza politica e militare in quanto l'Uganda e i suoi protetti congolesi che controllano la regione hanno attizzato il conflitto favorendo gli Hema a spese dei Lendu. In questi mesi il conflitto è riesploso, anche in seguito alle lotte di potere interne alla fazione ribelle RCD-Ml. Il 19 gennaio scorso circa duecento morti e migliaia di sfollati sono stati l’esito dell’attacco lendu all’aeroporto e ai civili hema e della durissima repressione da parte dell’esercito ugandese e degli Hema. A ciò, nell’Est del Congo vanno aggiunte decine di morti in queste settimane, per scontri tra Mayi-Mayi e truppe di occupazione e anche per successive rappresaglie sulla popolazione civile.

Diritti fondamentali negati ai giovani

Nelle principali città del Sud Kivu, continua il reclutamento forzato dei giovani per ingrossare le file dell’esercito RDC-Goma. L’Ufficio ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari (BCAM) ha affermato ai primi di dicembre che RCD-Goma obbliga ogni provincia sotto suo controllo a fornire 5000 militari potenziali. A ciò va aggiunto l’incitamento da parte delle autorità alla formazione di "milizie di autodifesa", malgrado il parere contrario della società civile. Squadre di queste local defense partecipano agli attacchi ripetuti a villaggi nei dintorni di Bukavu, attribuiti dalle autorità agli Interahamwe. Intanto le scuole languiscono perché le famiglie non possono pagare la tassa.

Un popolo che soffre e resiste

Il Programma Alimentare Mondiale ha calcolato recentemente che in RDC ci sono due milioni gravemente sottonutriti. Nel Nord-Kivu, il 21% della popolazione soffre di malnutrizione grave. La metà delle morti dei bambini in tutto il paese è causata dalla malnutrizione. Eppure il popolo, resiste a volte in forma violenta, nella maggior parte seguendo i percorsi della non-violenza. A Bunia, la popolazione ha più volte marciato manifestando il suo desiderio di pace ma è bersaglio degli estremisti armati e di eserciti cosiddetti "liberatori", in realtà affamati di potere e di beni, che cercano di guadagnarsi il favore dell’uno o dell’altro gruppo. A Bukavu, l’insicurezza del regime si mostra con un atteggiamento sempre più nervoso e conflittuale nei confronti delle Chiese e della società civile. L’interdizione di celebrare la Messa in suffragio del Presidente Kabila è stata seguita da un passaggio alle vie violente. Ma verso i militari che accerchiavano l’ingresso nella chiesa sono venuti gli abitanti dei dintorni fino a fare una stretta barriera, nella quale i militari si sono aperti un varco sparando in aria.

Quanto all'azione nonviolenta"Anch’io a Bukavu", le autorità hanno detto ai rappresentanti della chiesa cattolica, protestante e dei musulmani che il permesso all’iniziativa sarebbe stato condizionato al loro dissociarsi, nell’accoglienza, dalla società civile, cosa che è stata rifiutata.

E la grande, quotidiana resistenza è anzitutto lo sforzo di vivere, di andare avanti. Una recente testimonianza da Goma segnala: "La città sembra percorsa da un fremito di vita: una fiumana di gente, posti di vendita di piccoli artigiani ai bordi della strada, moto-taxi, angoli per barbiere…bancarelle, negozi, giovani e ragazzi che cercano sulla strada o al mercato il modo di sopravvivere…. Sofferenza e solidarietà è l’impasto quotidiano".