Natale e Anno Nuovo:
sotto il segno della fragilità, della fraternità e della speranza

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Roma, 03.12.2001
Prot. N. 226/2001

A tutti i Membridella Famiglia Dehoniana
(SCJ, Consacrati e laici)

Cari fratelli e sorelle:

Ancora una volta la nostra Famiglia Dehoniana, in sintonia con tutta la Chiesa e con tutte le denominazioni cristiane, sta per celebrare il grande mistero dell'Incarnazione e del Natale del Signore. È una celebrazione che si ripete anno dopo anno. È un mistero antico che racchiude in sé una sorprendente novità di vita.

Vi ho confidato altre volte che sono nato nella Pampa umida argentina: una pianura verde il cui unico limite o frontiera è la linea irraggiungibile dell'orizzonte. Lì sono cresciuto fino a 6 anni, rapportandomi quasi esclusivamente con la mia famiglia e con le altre quattro famiglie vicine. Eravamo gli unici che popolavamo, per diversi chilometri, quell'immensa solitudine. Per fortuna eravamo famiglie numerose. Per questo ho avuto la grazia di vedere nascere diversi miei fratelli/sorelle.

Ogni volta che in una di quelle famiglie nasceva un bebè, c'era una specie di rito. Anche se eravamo piccoli, dopo averlo contemplato nella culla e averlo baciato, qualche persona più grande lo prendeva con attenzione in mano e poi lo deponeva con estrema delicatezza nelle mie braccia, e contemporaneamente mi incoraggiava dicendo: "Prendilo, è tuo fratello, non avere paura!". La stessa cosa succedeva con gli altri bambini che condividevano quell'avvenimento. Un brivido percorreva il mio corpo e sentivo come una duplice sensazione: quella della sua fragilità e della mia, congiunta ad una profonda gioia.

Oggi rivivo questi sentimenti perché si ripetono tutte le volte che prendo nelle mie braccia un bambino. Temo sempre che mi sfugga dalle mani, o che non trovi su di me la sua giusta posizione. Ma risuona anche l'eco della voce di chi è più grande: "Prendilo, è tuo fratello, non avere paura!", e subito nasce la gioia che è speranza e vita.

Questo aneddoto mi dà l'occasione per presentarvi la celebrazione del prossimo Natale nella chiave "della fragilità, della fraternità e della speranza". Sotto questo segno possiamo rileggere la nostra storia e progettare il nostro futuro.

Nel Messaggio di Natale di questi anni ci siamo abituati a ricapitolare gli avvenimenti successi durante l'anno appena trascorso e a cercare di capire ciò che Dio ci prepara per il Nuovo Anno. L'inizio di questo terzo millennio è stato per noi carico di avvenimenti che ci hanno profondamente coinvolti: i fatti dell'11 settembre e la guerra dell'Afghanistan, il sequestro del p. Giuseppe Pierantoni, una lunga lista di confratelli deceduti, la celebrazione di tre grandi incontri SCJ di carattere internazionale (degli Educatori a Salamanca, dei Superiori Maggiori e degli Animatori delle Missioni a Roma), la mia partecipazione al Sinodo dei Vescovi, ecc.

L'anno 2002, d'altro canto, sarà un anno particolare, caratterizzato dalla celebrazione dei Capitoli Provinciali in vista del Capitolo Generale del 2003, e da altri importanti avvenimenti.

Mi permetto di riprenderli singolarmente:

I fatti dell'11 settembre ci hanno feriti profondamente e hanno messo allo scoperto la nostra fragilità ed inconsistenza, nonostante i grandi successi tecnologici che segnano la nostra epoca. Condanniamo fermamente il terrorismo in tutte le sue forme. Non esiste ragione alcuna che possa giustificarlo. Ci sentiamo molto solidali con le famiglie delle vittime e con tutti quelli che oggi soffrono per le conseguenze fisiche, psicologiche, spirituali, familiari, sociali, economiche, politiche e religiose di questo orribile massacro. Ci sentiamo solidali con i nostri confratelli della provincia US, coi membri della Famiglia Dehoniana negli Usa, e con tutti gli uomini e donne di quel paese.

Ma in molti ci stiamo interrogando e ci sentiamo feriti anche dalla guerra dell'Afghanistan. Il dolore di tanti innocenti, il calvario dei profughi, le condizioni disumane a cui sono sottoposti tanti esseri umani, le violenze e le vendette che si sono scatenate all'interno ci interpellano. La nostra coscienza non può non sentire il grido di Dio agli albori della storia umana: "Che cosa hai fatto di tuo fratello?" (cfr. Gn 4,9-10). In molti è diffusa la sensazione che ci si dia troppo da fare per strappare la zizzania con la forza del potere militare (cfr. Mt 13,24-30) e questo non può che ampliare il cancro del terrorismo.

Come dehoniani, credo che dobbiamo puntare ad un servizio della Riconciliazione molto particolare che passa attraverso il dialogo interreligioso e culturale, la globalizzazione della solidarietà, la lotta contro la povertà e i grandi drammi collettivi della nostra epoca (le disuguaglianze create dal modello economico liberale, lo sfruttamento delle persone e delle nazioni, la corruzione generalizzata in molte strutture di potere, molti altri mali endemici, ecc.). Senza voler costituirci giudici degli altri, dobbiamo responsabilizzarci, secondo i nostri mezzi, per guarire i mali e le ingiustizie della nostra epoca, non solo nei loro effetti, ma anche nelle loro stesse cause e radici.

I fatti dell'11 settembre, e tutti quelli che ne sono seguiti, evidenziano non solo la fragilità dei sistemi di sicurezza, ma anche la fragilità delle relazioni umane tra paesi, culture, razze e religioni. Fragilità dell'ordinamento civile, politico-sociale, legale e morale del mondo. Fragilità del concetto vitale di fraternità della famiglia umana.

Invito la Famiglia Dehoniana, soprattutto la Congregazione SCJ, ad accogliere con generosità la duplice proposta del Santo Padre di celebrare un giorno di preghiera e di digiuno il prossimo 14 dicembre, ultimo giorno del Ramadan, e di fare del 24 gennaio 2002 una giornata di incontro interreligioso per la pace e la giustizia. Secondo le parole del Santo Padre, tutti siamo invitati, "specialmente i cristiani e i musulmani, a proclamare davanti al mondo che la religione non deve mai trasformarsi in motivo di conflitto, di odio e di violenza". Sarà così una forma comunitaria di tutta la nostra famiglia di "prendere nelle nostre braccia" il fratello che Dio ci ha dato, facendoci carico di tutti quelli che, in un modo o in un altro, oggi soffrono.

Il sequestro del p. Giuseppe Pierantoni, che si prolunga da 47 giorni, continua a preoccuparci tutti. Avremmo voluto già celebrare la sua liberazione e, ad un certo momento, l'abbiamo sentita molto vicina; ma il Signore sta chiedendoci di continuare in questo "avvento" di speranza e di abbandono totale in Lui.

Per noi sono giorni di incertezza e di dolore. Sperimentiamo profondamente la nostra impotenza nell'apportare la giusta soluzione, e la nostra fragilità, come missionari, che mette alla prova la nostra capacità di credere, di sperare e di amare al di là del risultato che possano ottenere i molti interventi messi in atto per ottenere la sua liberazione.

È anche un segno di Dio nella nostra storia. Come Istituto SCJ stiamo vivendo ed esprimendo il "Noi Congregazione al servizio della missione" uniti più che mai nella preghiera, nella riflessione, nel dialogo e nella nostra partecipazione alle vicende di p. Beppe. Tutti sperimentiamo il senso della nostra consacrazione al Signore ed alla causa del Regno di Dio nelle "missioni lontane", come voleva il p. Dehon. Apprezziamo la stima che il p. Beppe ha saputo ottenere tra i cristiani ed i musulmani di Dimataling. Constatiamo la forza che la preghiera di tutti e la solidarietà umana sta infondendo alla sua famiglia. I suoi anziani genitori e sua sorella dimostrano una fermezza eccezionale.

Tutti stiamo imparando a valorizzare il dialogo interreligioso. Apprezziamo quella parte del mondo musulmano che, come ci hanno informati, prega nelle moschee per il nostro confratello, testimoniando la sua volontà di pace e di collaborazione nel cammino del mutuo rispetto e della giustizia. Difficilmente avremmo scoperto tante cose senza il peso di questa dolorosa croce.

L'ampia diffusione che il fatto ha, attraverso i mezzi di comunicazione sociale, fa sì che la sua famiglia e la Congregazione siano al centro dell'attenzione solidale di molta gente. A Roma abbiamo sperimentato la vicinanza particolare del Santo Padre, informato personalmente da me e da p. Osnildo Klann, quella di molte Congregazioni Religiose e quella di molti Vescovi del mondo. Ogni giorno nel Sinodo, vescovi dei 5 continenti si avvicinavano per chiedere notizie ed assicurare la loro preghiera. Sono rimasto impressionato dai sentimenti di fraternità espressi da alcuni, come il Cardinale Martínez Somalo, il Vescovo cubano Mons. Marcelo A. González Amador che sembrava soffrire questo dramma nella propria carne, e Mons. Ovidio Pérez Morales, del Venezuela, che subito ha promesso di celebrare l'Eucaristia per il nostro confratello. Un ruolo di sensibilizzazione molto importante è stato svolto dall'USG (Unione di Superiori Generali).

Continuiamo in questa nostra unione fraterna, chiedendo al Signore che ci regali presto la liberazione del p. Beppe. Chiediamogli anche che sostenga con la sua forza e con la tenerezza del suo Cuore il p. Beppe, la sua famiglia e i nostri confratelli delle Filippine, particolarmente colpiti da questa situazione. Preghiamo inoltre affinché illumini la mente e muova a conversione la volontà di coloro che sono responsabili di questa ingiustizia, affinché tali fatti non si ripetano più sulla faccia della terra, e non tornino ad essere strumentalizzati per alcun fine.

Esprimiamo la nostra gratitudine a Mons. Zacarías Jiménez, vescovo di Pagadian, all'Ambasciatore Italiano a Manila, e a quanti stanno dedicando tempo e sforzi per arrivare ad una conclusione positiva. Un grazie speciale ai nostri confratelli delle Filippine che vivono in prima linea questo tempo di angoscia e di speranza.

La mia partecipazione nel X Sinodo Ordinario dei Vescovi è stata una grazia personale che vorrei fosse a beneficio di tutti. Oltre il lavoro e la fatica che mi ha richiesto, è stata una grande esperienza di cattolicità, di sentire con la Chiesa, di fraternità ecclesiale. Mi ha colpito la presenza silenziosa e costante del nostro anziano Papa in tutte le riunioni plenarie, ed anche le sue coraggiose omelie di inizio e di conclusione del Sinodo. Ho percepito la preoccupazione dei nostri pastori di fronte a tutti gli eventi della storia attuale e la loro compassione per i drammi umani delle loro diocesi e del mondo. Non occultavano i loro sentimenti di fragilità di fronte alle sfide della nostra epoca. Abbiamo convissuto con alcuni "padri", veri martiri della fede e della giustizia, che hanno sofferto sequestri, torture, persecuzioni. Le attestazioni eloquenti delle Chiese che hanno temprato la loro fede nel dolore e nella prova ci hanno scossi. È stato edificante e discreta la presenza e la parola dei "Delegati Fratelli" delle Chiese Ortodosse, Anglicana e Luterana.

Le Chiese Cattoliche Orientali hanno messo in luce la loro originalità, la loro sensibilità particolare e la loro saggezza millenaria. In Occidente abbiamo molto da imparare. L'attenzione ed il rispetto con cui sono state ascoltate e la qualità dei loro apporti fanno ben sperare che portino grandi frutti alla Chiesa Universale.

A livello personale ho ricevuto molti inviti, soprattutto dall'Asia (Bangladesh, Vietnam, Sri Lanka, Libano) e dall'America latina (Messico, Centro America e Caraibi) affinché la Congregazione estenda in quei luoghi la sua presenza carismatica e missionaria.

Nel pranzo di lavoro dei 10 Superiori Generali, membri del Sinodo, col Santo Padre, mi sono reso conto della capacità di ascolto che ha il Papa. Quando il Cardinale Lubomyr Húsar (Ucraina), che si era unito al nostro gruppo, ha osato proporgli l'idea di ripetere, in questo particolare momento della storia, l'Incontro Interreligioso celebrato ad Assisi nel 1986, il Santo Padre ha prestato una straordinaria attenzione. Dopo un minuto di silenzio, ha acconsentito con un cenno del capo e con un "sì" che gli usciva dall'anima. Un mese dopo, la domenica 18 novembre, all'Angelus, ha indetto la convocazione.

Gli Incontri Internazionale SCJ degli Educatori, dei Superiori Maggiori e degli Animatori Missionari sono stati altri avvenimenti forti di questo anno.

Spero che a tutti possano arrivare le conclusioni tramite i partecipanti di questi incontri e le comunicazioni ufficiali che sono state fatte, o che il Governo Generale produrrà in breve tempo.

La cosa importante è sapere che si è messo in moto la preparazione del nostro prossimo Capitolo Generale, e che molti hanno constatato con soddisfazione che cresce da tutte le parti la coscienza del "Noi Congregazione al servizio della Missione".

Nell'anno trascorso abbiamo avuto il decesso di molti confratelli: 54 in totale. Alcune Province sono state particolarmente colpite: IS, US, MZ, AM, ecc.

È morto il più anziano della Congregazione, il p. Beniamino Zambetti coi suoi 101 anni compiuti; e negli stessi giorni un scolastico di AM, fr. Paul Tiragalo Ntwe, che aveva appena emesso i suoi voti perpetui e che in dicembre doveva essere ordinato diacono.

Sono morti confratelli che svolgevano servizi di molta responsabilità (per es. p. Jerome Schaad, economo provinciale US che era anche membro della Commissione Economica Generale - GFC), ed anche un missionario del Mozambico, p. Pietro De Franceschi, mentre trasportava d'urgenza all'ospedale una donna che soffriva per un parto difficile. E tutti gli altri che hanno concluso la loro vita dehoniana di oblazione, dopo avere servito il Signore e la Chiesa come SCJ.

In uno sguardo retrospettivo, abbiamo molto da ringraziare il Signore; mentre rimangono molti punti interrogativi e sfide che ci stimolano ad un impegno totale e generoso e a vivere la fraternità. Guardando al futuro, senza perdere la coscienza della nostra fragilità, ma anche senza drammatizzarla troppo, constatiamo che continua a crescere in noi la speranza che non delude (cfr. Rom 5,5), perché si appoggia sulla stessa persona di Gesù.

Questa dovrà illuminare la nostra strada e sostenere la nostra fedeltà creativa come membri della Famiglia Dehoniana.

Come Congregazione vogliamo segnalare i seguenti avvenimenti dell'anno 2002:

Con la visione di quello che lasciamo dietro, di quello che viviamo al presente, e di quello che aspettiamo per il futuro... ci sforziamo di assumere la nostra fragilità e di servire la causa della fraternità universale con speranza.

Lasciamoci ispirare dal mistero di Betlemme. Nella reale fragilità e piccolezza del Bambino che Maria e Giuseppe depositano nelle braccia dei pastori, Dio abbraccia l'intera umanità e la colma di speranza.

Che questa sia l'esperienza del Natale e dell'Anno Nuovo per tutti i Dehoniani!

Prendendo Gesù nelle nostre braccia, ci facciamo carico di tutti i nostri fratelli e sorelle del mondo. I poveri di questo mondo, segni vivi della presenza di Cristo, trovino in noi atteggiamenti, parole e gesti di speranza del Dio della vita e della storia. Il nostro impegno per la riconciliazione e la pace contribuisca a rimediare le ingiustizie che generano ed alimentano l'odio, il terrorismo e le guerre.

Questo è l'augurio del Direttivo Generale della nostra Congregazione. Vi benediciamo ed vi auguriamo con affetto un Natale felice, ed un Anno Nuovo pieno di prosperità.
 


P. Virginio D. Bressanelli, scj
Superiore generale

NATAL E ANO NOVO
SOB A SIGNO DA FRAGILIDADE, DA FRATERNIDADE E DA ESPERANÇA

Roma, 03.12.2001
Prot. 226/2001

A todos os membros da Família Dehoniana
(SCJ, consagrados, leigos)

Queridos irmãos e irmãs:

Novamente nossa Família Dehoniana, em sintonia com toda a Igreja e com todas as denominações cristãs, está por celebrar o grande mistério da Encarnação e do Natal do Senhor. É uma celebração que repete-se ano após ano. É um mistério velho que encerra em si uma assombrosa novidade de vida.

Já lhes disse outras vezes que nasci no úmido pampa argentino: uma planície verde cujo único limite ou fronteira é o horizonte infinito. Ali cresci até aos seis anos, relacionando-me quase só com minha família e com outras quatro famílias vizinhas. Éramos os únicos moradores de uma vasta área, uma imensa solidão. Por sorte, éramos famílias numerosas. Tive a ventura de ver nascer vários irmãos e vizinhos.

Cada vez que numa dessas famílias nascia um bebê cumpria-se uma espécie de rito. Mesmo sendo pequenos, depois de ver o bebê no berço e beijá-lo, algum dos grandes o pegava com cuidado e o colocava em meus braços, dizendo: "Pega-o, é teu irmão. Não tenhas medo!" O mesmo fazia-se com os outros que estivessem por ali. Um calafrio percorria meu corpo e sentia, ao mesmo tempo, uma doce sensação de sua fragilidade e da minha, e uma profunda alegria.

Hoje, interpreto estes sentimentos para que voltem a repetir-se a cada bebê que tomo em meus braços. Temo que me caia das mãos ou que não se sinta bem acomodado em meus braços. Ecoa ainda a voz que diz: "Pega-o, é teu irmão. Não tenhas medo!".

Este episódio me enseja motivo para propor a celebração deste Natal dentro da idéia da "fragilidade, da fraternidade e da esperança". Sob estas bandeiras podemos re-ler nossa história e projetar nosso futuro.

Nas mensagem de Natal destes últimos anos, habituamo-nos a recordar fatos importantes do ano que passou e a sondar o novo ano que se aproxima. O início deste terceiro milênio foi cheio de fatos marcantes. Basta lembrar os acontecimentos de 11 de setembro e a guerra no Afeganistão, o seqüestro do P. Giuseppe Pierantoni, uma longa lista de confrades falecidos, os grandes encontros dehonianos internacionais (Educadores, Superiores Maiores, Missionários), minha participação no Sínodo dos Bispos, etc.. 2002 será caracterizado pelos capítulos provinciais e por outros acontecimentos importantes.

Passo a abordar, um a um, estes eventos.

Os fatos de 11 de setembro nos feriram profundamente e expuseram nossa fragilidade e inconsistência apesar dos avanços tecnológicos que caracterizam nossa época. Condenamos o terrorismo sob todas as formas. Não existe qualquer razão que o justifique. Nos sentimos solidários com as famílias das vítimas e com todos os que sofrem as conseqüências físicas, psicológicas, espirituais, familiares, sociais, econômicas, políticas e religiosas deste selvagem ataque. Sentimo-nos solidários com nossos coirmãos da província dos Estados Unidos, com os membros da Família Dehoniana que está naquele país e com todos os homens e mulheres daquele povo.

Muitos de nós sentimo-nos também feridos pela guerra no Afeganistão. A dor de tantos inocentes, a movimentação dos refugiados, as condições desumanas de tanta gente, a violência e a vingança que se desataram nos interpelam. Nossa consciência não pode abafar o grito de Deus, na aurora de nossa história: "O que fizeste de teu irmão?" (cf Gn 4, 9-10). Temos a sensação de que existe muito afã em tolher a cizânia pela força do poder militar (cf Mt 13, 24-30) e que esta atitude venha a fazer crescer o câncer do terrorismo.

Como dehonianos devemos caminhar para um serviço de reconciliação bem diferente, que faz apelo pelo diálogo inter-religioso e cultural, pela globalização da solidariedade, pela luta contra a pobreza e contra os grandes dramas de nossa época (a desigualdade criada pelo modelo econômico liberal, a exploração das pessoas e dos povos, a corrupção generalizada em muitas estruturas de poder, e outros males endêmicos). Longe de nos arvorarmos em juízes dos outros, devemos sentir-nos responsáveis de seus efeitos e mesmo de suas raízes.

Os fatos de 11 de setembro e todos os que os seguiram demonstram a fragilidade de nossos sistemas de segurança, das relações humanas entre povos, culturas, raças e religiões; a fragilidade da ordem civil estabelecida em todo o mundo; a fragilidade do conceito vital de fraternidade no seio da família humana.

Convido a família Dehoniana, em especial a Congregação SCJ, a acolher com generosidade a dupla proposta do Santo Padre de celebrar um dia de oração e jejum a 14 de dezembro, último dia do Ramadã, e fazer de 24 de janeiro um dia de encontro inter-religioso pela paz e pela justiça. Segundo as palavras do Santo Padre, todos estamos convidados, "especialmente os cristãos e muçulmanos, a proclamar ao mundo que a religião jamais deve converter-se em motivo de conflito, de ódio e de violência". Será, pelo menos, uma forma comunitária de nossa família "assumir em nossos braços" o irmão que Deus nos deu, compartilhando a sorte de todo os que sofrem, de uma forma ou outra.

O seqüestro do P. Giuseppe Pierantoni, que se prolonga para mais de 47 dias, nos preocupa a todos. Tanto gostaríamos de estar celebrando sua libertação, por vezes tão próxima! O Senhor, porém, nos está pedindo a continuação deste 'advento' de esperança e de abandono a seus desígnios.

Para nós são dias de insegurança e de dor. Experimentamos nossa impotência para buscar uma solução, nossa fragilidade como missionários, o que põe à prova nossa capacidade de crer, de esperar e de amar para além dos resultados que possam obter as manobras por sua libertação.

Trata-se do dedo de Deus em nossa história. Como congregação estamos vivendo um momento especial do "Nós, Congregação a serviço da missão", unidos como nunca na oração, na reflexão, no diálogo pela sorte do P. Beppe. Todos aprofundamos nosso sentido de consagração ao Senhor, à causa do Reino nas "missões longínquas", como desejava P. Dehon. Apreciamos a estima que o P. Beppe goza entre os cristãos e muçulmanos de Dimataling. Constatamos como a força da oração de todos e a solidariedade humana estão influenciando sua família. Seus pais idosos e sua irmã demonstram uma serenidade excepcional.

Todos estamos aprendendo a valorizar o diálogo inter-religioso. Apreciamos que uma parte do mundo muçulmano reza em suas mesquitas pela libertação de nosso confrade, testemunhando seu desejo de paz e dando sua colaboração pelo respeito das pessoas e da justiça. Dificilmente descobriríamos tantas coisas sem passar por esta dolorosa cruz.

A ampla difusão que este seqüestro teve nos meios de comunicação faz com que sua família e a congregação estejamos no centro das atenções de muita gente. Em Roma, temos sentido a proximidade do Santo Padre, informado pessoalmente por mim e pelo P. Osnildo Klann, de muitas Congregações religiosas e muitos Bispos do mundo todo. Durante o último Sínodo, a cada dia, bispos dos cinco continentes me procuravam para saber notícias e garantir sua oração. Fiquei impressionado pela fraternidade demonstrada por alguns, como o cardeal Martinez Somalo, o bispo cubano D. Marcelo González Amador, que sofria em sua própria carne, D. Ovídio Pérez Morales, da Venezuela, que prometeu celebrar a missa por nosso confrade. Papel importante teve a União dos Superiores Gerais.

Continuemos a afiançar nossa união fraterna pedindo ao Senhor que nos presenteie com sua libertação. Pedimos que o Senhor sustente com sua força o P. Beppe, sua família, nossos irmãos das Filipinas, particularmente atingidos por esta situação. Rezemos também para Deus ilumine a mente de quem é responsável por esta injustiça, a fim de que tais fatos não se repitam jamais.

Urge um agradecimento a D. Zacarias Jiménez, bispo de Pagadian, ao Embaixador italiano em Manila, e a quantos estão a dedicar-se por um desenlace positivo. Muito obrigado a nossos irmãos das Filipinas que vivem em primeira fila este tempo de angústia e esperança.

Minha participação no 10º Sínodo Ordinário dos Bispos tem sido uma graça pessoal e desejaria que fosse a benefício de todos. Para além do trabalho e da fadiga, foi uma experiência de catolicidade, de sentir com a Igreja, uma experiência de fraternidade eclesial. Me impressionou a presença silenciosa e constante de nosso Santo Padre em todas as reuniões plenárias, bem como suas ousadas homilias de abertura e de encerramento do Sínodo. Percebi a preocupação do nossos pastores em face aos eventos da história atual e sua compaixão pelos tantos dramas que desenrolam-se em suas dioceses e no mundo. Não escondiam seus sentimentos de fragilidade diante dos desafios de nossa época. Convivemos com alguns "padres", verdadeiros mártires da fé e da justiça, que sofreram sequestros, torturas, perseguições. Os testemunhos eloquentes das igrejas que cultivam sua fé em meio à dor foram eloqüentes. Foi edificante e discreta a presença e a palavra dos delegados das Igrejas Ortodoxas, Anglicana e Luterana.

As Igrejas Católicas Orientais mostraram sua originalidade, seu modo particular de sentir, sua sabedoria milenar, da qual muito temos a aprender no Ocidente. A atenção e o respeito com que foram ouvidos e a qualidade de suas afirmações nos fazem esperar grandes frutos para a Igreja Universal.

Pessoalmente recebi muitos convites, especialmente da Ásia (Bangladesh, Vietnã, Sri Lanka, Líbano) e da América Latina (México, América Central e Caribe) para que a Congregação se faça presente nestas áreas.

No encontro (almoço) dos 10 Superiores gerais com o Papa dei-me conta de sua capacidade de ouvir. Quando o Cardeal Lubomyr Husar, da Ucrânia, ousou propor a repetição do encontro inter-religioso celebrado em Assis, em 1986, o Santo Padre escutou com vivo interesse. Uma mês depois, na hora do Ângelus, fez a convocação.

Os Encontros Internacionais SCJ de Educadores, de Superiores Maiores e de Animadores Missionários forram acontecimentos marcantes deste ano.

Espero que as conclusões cheguem ao conhecimento de todos, através dos participantes e dos comunicados oficiais feitos ou que o Governo geral fará em breve.

O importante é que o próximo Capítulo geral foi encaminhado e que muitos têm constatado que o espírito do "Nós Congregação" tem crescido de forma geral.

Até agora, neste ano, temos tido muitas mortes de confrades: 54 ao todo. Algumas províncias foram severamente penalizadas: IS, US, MZ, AM, etc.

Nosso confrade mais idoso, P. Beniamino Zambetti (IS), faleceu aos 101 anos. Na mesma época morria o escolástico Paul Tiragalo Ntwe, da África do Sul, que recém tinha emitido os votos perpétuos e aguardava ser ordenado diácono.

Morreram diversos confrades que desempenharam serviços relevantes em suas vidas. Cito, entre outros, o P. Jerome Schaad (US), por muitos anos membro da Comissão Geral de Finanças, e o P. Pietro de Franceschi, que morreu tragicamente enquanto transportava uma senhora grávida e enferma ao hospital. Há ainda muitos outros que viveram a oblação dehoniana a fundo, no serviço ao Senhor e à Igreja.

Olhando para trás, temos muito a agradecer ao Senhor e ficam muitas interrogações e desafios que exigem uma entrega total e generosa na fraternidade. Olhando para o futuro, sem perder a noção da fragilidade, e sem todavia dramatizá-la, cresce em nós a esperança que não engana (cf. Rom 5,5) pois ampara-se na própria pessoa de Jesus.

Esta esperança deverá iluminar nossa caminhada e sustentar nossa fidelidade criativa, como membros da Família Dehoniana.

Como congregação, queremos assinalar os seguintes acontecimentos previstos para o ano 2002:

Levando em consideração o que deixamos para trás, o que estamos vivendo e o que aguardamos, tentemos assumir nossa fragilidade e servir a causa da fraternidade universal com esperança.

Inspiremo-nos no mistério de Belém. Na fragilidade e pequenez do Menino que Maria e José depositam nos braços dos pastores, Deus abraça a humanidade e enche-a de esperança.

Que esta seja a experiência de Natal e de Ano Novo de todos os dehonianos.

Tomando Jesus em nossos braços, assumamos o destino de todos os nossos irmãos e irmãs do mundo. Os pobres deste mundo, sinais vivos de presença de Cristo, encontrem em nossas atitudes, palavras e gestos de esperança do Deus da vida e da história. Nosso compromisso pela reconciliação e pela paz contribua para remediar as injustiças que geram e alimentam o ódio, o terrorismo e as guerras.

Estes são os votos do governo Geral da Congregação. Nós os abençoamos e lhes desejamos de coração um Natal feliz e um Ano Novo próspero.



P. Virginio Bressanelli, scj
Superior geral


 
 

NAVIDAD Y AÑO NUEVO: BAJO EL SIGNO DE LA FRAGILIDAD,
DE LA FRATERNIDAD Y DE LA ESPERANZA

Roma, 03.12.2001
Prot. N. 226/2001

A todos los Miembros de la Familia Dehoniana
(SCJ, Consagrados y laicos)

Queridos hermanos y hermanas:

Nuevamente nuestra Familia Dehoniana, en sintonía con toda la Iglesia y con todas las denominaciones cristianas, está por celebrar el gran misterio de la Encarnación y de la Navidad del Señor. Es una celebración que se repite año tras año. Es un misterio viejo que encierra en sí una asombrosa novedad de vida.

Les he confiado otras veces que nací en la Pampa húmeda argentina: una llanura verde cuyo único límite o frontera es la línea inalcanzable del horizonte. Allí he crecido hasta los 6 años, relacionándome casi sólo con mi familia y con las otras cuatro familias vecinas. Éramos los únicos que poblábamos, por varios kilómetros, esa inmensa soledad. Por suerte éramos familias numerosas. Tuve por eso la gracia de ver nacer a varios de mis hermanitos/as y vecinos.

Cada vez que en cualquiera de esas familias nacía un bebé, existía una especie de rito. Aunque fuésemos pequeños, después de contemplarlo en la cuna y de besarlo, alguna persona mayor lo recogía con cuidado en sus manos y, luego, lo depositaba con extrema delicadeza en mis brazos, al mismo tiempo que me animaba diciendo: "¡Tómalo, es tu hermano, no tengas miedo!". Lo mismo ocurría con los demás niños que compartíamos ese acontecimiento. Un escalofrío recorría mi cuerpo y sentía como una doble sensación: la de la fragilidad suya y mía, y la de una profunda alegría.

Hoy interpreto estos sentimientos porque se vuelven a repetir ante cada bebé que tomo en mis brazos. Temo que se me escape de las manos, o que no encuentre en mí su justa acomodación. Pero resuena también el eco de la voz mayor que dice: "¡Tómalo, es tu hermano, no tengas miedo!", y cunde la alegría, que es esperanza y vida.

Tal anécdota me da la ocasión para proponerles la celebración de la próxima Navidad en la clave "de la fragilidad, de la fraternidad y de la esperanza". Bajo este signo podemos releer nuestra historia y proyectar nuestro futuro.

En el Mensaje de Navidad de estos años nos hemos habituado a recapitular los acontecimientos vividos a lo largo del año que termina y a sondear en el Nuevo Año lo que Dios nos quiere dar. El inicio de este tercer milenio ha estado para nosotros cargado de eventos impactantes, como pueden ser: los hechos del 11 de septiembre y la guerra de Afganistán, el secuestro del p. Giuseppe Pierantoni, una larga lista de cohermanos fallecidos, la celebración de tres grandes encuentros SCJ de carácter internacional (de Educadores en Salamanca, de Superiores Mayores y de los Animadores de las Misiones en Roma), mi participación en el Sínodo de Obispos, etc. El año 2002, por su parte, será un año particular caracterizado por la celebración de los Capítulos Provinciales en vista del Capítulo General del 2003, y por otros importantes acontecimientos.

Me permito retornarlos de a uno.

Los hechos del 11 de septiembre nos han herido profundamente y han puesto al descubierto nuestra fragilidad e inconsistencia a pesar de los grandes adelantos tecnológicos que marcan nuestra época. Condenamos firmemente el terrorismo en todas sus formas. No existe razón alguna que pueda justificarlo. Nos sentimos muy solidarios con las familias de las víctimas y con todos los que hoy sufren las consecuencias físicas, psicológicas, espirituales, familiares, sociales, económicas, políticas y religiosas de este salvaje atropello. Nos sentimos solidarios con nuestros cohermanos de la provincia US, con los miembros de la Familia Dehoniana que está en USA, y con todos los hombres y mujeres de ese pueblo.

Pero muchos nos interrogamos y nos sentimos heridos también por la guerra de Afganistán. El dolor de tantos inocentes, el movimiento de prófugos, las condiciones inhumanas a las que están sometidos tantos seres humanos; las violencias y venganzas que se han desatado internamente nos interpelan. Nuestra conciencia no puede acallar el grito de Dios en el albor de la historia humana: "¿Qué has hecho de tu hermano?" (cf. Gn 4,9-10). Cunde sobre muchos la sensación de que existe demasiado afán por arrancar la cizaña con la fuerza del poder militar (cf. Mt 13,24-30) y esto amplíe el cáncer del terrorismo.

Como dehonianos creo que debemos apuntar a un servicio de la Reconciliación muy distinto, que pasa por el diálogo interreligioso y cultural, por la globalización de la solidaridad, por la lucha contra la pobreza y los grandes dramas colectivos de nuestra época (las desigualdades creadas por el modelo económico liberal, la explotación de personas y de pueblos, la corrupción generalizada en muchas estructuras de poder, algunos otros males endémicos, etc.). Lejos de constituirnos en jueces de los demás, debemos responsabilizarnos, según nuestros medios, por sanar los males y las injusticias de nuestra época no solo en sus efectos, sino en sus mismas causas y raíces.

Los hechos del 11 de septiembre y todos los que les siguieron ponen de manifiesto no solo la fragilidad de los sistemas de seguridad, sino la fragilidad de las relaciones humanas entre pueblos, culturas, razas y religiones. Fragilidad del ordenamiento civil, político-social, legal y moral en el mundo. Fragilidad del concepto vital de fraternidad en la familia humana.

Invito a la Familia Dehoniana, sobre todo a la Congregación SCJ, a acoger con generosidad la doble propuesta del Santo Padre de celebrar un día de oración y ayuno el próximo 14 de diciembre, último día del Ramadán, y hacer del 24 de enero de 2002 una jornada de encuentro interreligioso por la paz y la justicia. Según las palabras del Santo Padre, todos estamos invitados, "especialmente los cristianos y musulmanes, a proclamar ante el mundo que la religión jamás debe convertirse en motivo de conflicto, de odio y de violencia". Será por lo menos una forma comunitaria de toda nuestra familia de "tomar en nuestros brazos" al hermano que Dios nos ha dado, cargando con la suerte de todos los que, de una u otra manera, hoy sufren.

El secuestro del p. Giuseppe Pierantoni, que se prolonga desde hace 47 días, sigue preocupándonos a todos. Hubiésemos querido ya celebrar su liberación, y por momentos la hemos sentido muy próxima; pero el Señor nos está pidiendo continuar en este "adviento" de esperanza y de abandono total en Él.

Para nosotros son días de inseguridad y de dolor. Experimentamos hondamente nuestra impotencia para aportar la debida solución, y nuestra fragilidad como misioneros, lo que pone a prueba nuestra capacidad de creer, de esperar y de amar más allá del resultado que puedan lograr las muchas gestiones en marcha para obtener su libertad.

Es también un paso de Dios por nuestra historia. Como Instituto SCJ estamos viviendo y expresando el "Nosotros Congregación al servicio de la misión" unidos como nunca por la oración, la reflexión, el diálogo y nuestra asociación en la suerte de p. Beppe. Todos ahondamos en el sentido de nuestra consagración al Señor y a la causa del Reino de Dios en las "misiones lejanas", como quería el p. Dehon. Apreciamos la estima que el p. Beppe tiene entre los cristianos y los musulmanes de Dimataling. Constatamos la fuerza que la oración de todos y la solidaridad humana están infundiendo en su familia. Sus ancianos padres y su hermana demuestran una entereza excepcional.

Todos estamos aprendiendo a valorar el diálogo interreligioso. Apreciamos esa parte del mundo musulmán que, según nos han informado, reza en sus mezquitas por nuestro cohermano, testimoniando su voluntad de paz y de colaboración por los caminos del respeto mutuo y de la justicia. Difícilmente descubriríamos tantas cosas sin sobrellevar esta dolorosa cruz.

La amplia difusión que el hecho tiene a través de los medios de comunicación social hace que su familia y la Congregación estemos al centro de la atención solidaria de mucha gente. En Roma hemos probado la cercanía particular del Santo Padre, informado personalmente por mí y por el p. Osnildo Klann, la de muchas Congregaciones Religiosas y la de muchos Obispos del mundo. Cada día en el Sínodo, obispos de los 5 continentes se acercaban para pedir noticias y asegurar su oración. Quedé impresionado por la hermandad expresada por algunos, como la del Cardenal Martínez Somalo, el Obispo cubano Mons. Marcelo A. González Amador, que parecía sufrirlo en la propia carne, y Mons. Ovidio Pérez Morales, de Venezuela, que enseguida prometió celebrar la Eucaristía por nuestro hermano. Jugó un papel sensibilizador muy importante la USA (Unión de Superiores Generales).

Continuemos afianzando nuestra unión fraterna pidiendo al Señor que nos regale pronto la liberación del p. Beppe. Pidámosle también que sostenga con su fuerza y con la ternura de su Corazón al p. Beppe, a su familia y a nuestros cohermanos de Filipinas, particularmente afectados por esta situación. Recemos además para que ilumine la mente y mueva a conversión la voluntad de quienes son responsables de esta injusticia, para que tales hechos desaparezcan de la faz de la tierra, y no vuelvan a ser instrumentalizados para ningún fin.

Llegue nuestro agradecimiento a Mons. Zacarías Jiménez, obispo de Pagadian, al Embajador Italiano en Manila, y a cuantos están dedicando tiempo y esfuerzo para lograr un desenlace positivo. Gracias especiales a nuestros cohermanos de Filipinas, que viven en primera fila este tiempo de angustia y esperanza.

Mi participación en el X Sínodo Ordinario de Obispos ha sido una gracia personal que desearía fuese en beneficio de todos. Más allá del trabajo y la fatiga que me exigió, fue una gran experiencia de catolicidad, de sentir con la Iglesia, de fraternidad eclesial. Me impactaron la presencia silenciosa y constante de nuestro anciano Papa en todas las reuniones plenarias, y también sus valientes homilías de inicio y de conclusión del Sínodo. He palpado la preocupación de nuestros pastores ante todos los eventos de la historia actual y su compasión frente a los dramas humanos de sus diócesis y del mundo. No ocultaban sus sentimientos de fragilidad ante los desafíos de nuestra época. Hemos convivido con algunos "padres" verdaderos mártires de la fe y de la justicia, que sufrieron secuestros, torturas, persecuciones. Los testimonios elocuentes de las Iglesias que cultivan su fe en el dolor y la prueba nos han estremecido. Ha sido edificante y discreta la presencia y la palabra de los "Delegados Hermanos" de las Iglesias Ortodoxas, Anglicana y Luterana.

Las Iglesias Católicas Orientales han puesto en luz su originalidad, su sensibilidad particular y su sabiduría milenaria de la que tenemos mucho que aprender en Occidente. La atención y el respeto con que fueron escuchados y la calidad de sus aportes hace esperar que traigan grandes frutos a la Iglesia Universal.

A nivel personal recibí muchas invitaciones, sobre todo de Asia (Bangladesh, Viet-Nam, Sri Lanka, Líbano) y de América latina (México, Centro América y Caribe) para que la Congregación extienda en esos lugares su presencia carismática y misionera.

En el encuentro-almuerzo de los 10 Superiores Generales miembros del Sínodo con el Santo Padre, caí en la cuenta de la capacidad de escucha que tiene el Papa. Cuando el Cardenal Lubomyr Husar (Ucraina), que se había unido a nuestro grupo, osó proponerle la idea de repetir en este particular momento de la historia el Encuentro Interreligioso celebrado en Asís en 1986, el Santo Padre prestó una extraordinaria atención. Guardó un minuto de silencio, y luego asintió con la cabeza y con un "sí" que le salía del alma. Un mes después, el domingo 18 de noviembre, en el Ángelus, lanzó la convocación.

- Los Encuentros Internacionales SCJ de Educadores, de Superiores Mayores y de Animadores Misioneros fueron otros acontecimientos fuertes de este año.

Espero que a todos les lleguen las conclusiones a través de los participantes en dichos encuentros y de las comunicaciones oficiales que se han producido, o que el Gobierno General producirá en breve tiempo.

Lo importante es saber que se ha puesto en marcha la preparación de nuestro próximo Capítulo General, y que muchos han constatado con satisfacción que crece en todas partes la conciencia de "Nosotros Congregación al servicio de la Misión".

En lo que va del año hemos tenido el fallecimiento de muchos cohermanos: 54 en total. Algunas Provincias fueron particularmente golpeadas: IS, US, MZ, AM, etc.

Ha muerto el más anciano de la Congregación, el p. Beniamino Zambetti con los 101 años cumplidos; y en los mismos días un escolástico de AM, fr. Paul Tiragalo Ntwe, que acababa de emitir sus votos perpetuos y que en diciembre debía ser ordenado diácono.

Han muerto cohermanos que desempeñaban servicios de mucha responsabilidad (por ej. p. Jerome Schaad, ecónomo provincial US, que era también miembro de la Comisión General de Finanzas- GFC), y también un misionero de Mozambique, p. Pietro De Franceschi, mientras trasladaba de urgencia a una mujer que sufría un parto difícil. Y todos los demás que concluyeron su vida de oblación dehoniana después de haber servido al Señor y a la Iglesia como SCJ.

- Mirando hacia atrás tenemos mucho que agradecer al Señor; y quedan muchos interrogantes y desafíos que nos empeñan a una entrega total y generosa y a vivir la fraternidad. Mirando hacia el futuro, sin perder noción de nuestra fragilidad, pero sin tampoco dramatizarla, va creciendo en nosotros la esperanza que no defrauda (cf. Rom 5,5), pues se apoya en la misma persona de Jesús.

Esta deberá iluminar nuestro camino y sostener nuestra fidelidad creativa como miembros de la Familia Dehoniana.

Como Congregación queremos señalar los siguientes acontecimientos del año 2002:

Con el pantallazo de lo que dejamos atrás, de lo que vivimos en el presente, y de lo que aguardamos para el futuro... tratemos de asumir nuestra fragilidad y servir a la causa de la fraternidad universal con esperanza.

Inspirémonos en el misterio de Belén. En la real fragilidad y pequeñez del Niño que María y José depositan en los brazos de los pastores Dios abraza a la humanidad y la llena de esperanza.

¡Que esta sea la experiencia de la Navidad y del Año Nuevo para todos los Dehonianos!

Tomando a Jesús en nuestros brazos, carguemos con la suerte de todos nuestros hermanos y hermanas del mundo. Los pobres de este mundo, signos vivos de la presencia de Cristo, encuentren en nosotros actitudes, palabras y gestos de esperanza del Dios de la vida y de la historia. Nuestro empeño por la reconciliación y la paz contribuya a remediar las injusticias que generan y alimentan el odio, el terrorismo y las guerras.

Este es el deseo de la Dirección General de nuestra Congregación. Los bendecimos y les deseamos con afecto una Navidad feliz, y un Año Nuevo muy próspero.



P. Virginio D. Bressanelli, scj
Superior general

CHRISTMAS AND NEW YEAR'S:
UNDER A SIGN OF FRAGILITY, FRATERNITY AND HOPE

Rome, 03.12.2001
Prot. N. 226/200`

To all Members of the Dehonian Family
(SCJ,Consecrated, and lay members)

Dear Sisters and Brothers,

Once again, our Dehonian family, in rhythm with the entire Church and all the Christian denominations, prepares to celebrate the great mystery of the Incarnation and Nativity of the Lord. It is a celebration that is repeated every year. It is an ancient mystery that wraps within itself the wondrous novelties of life.

I have shared with you before that I was born in the humid, Argentine Pampas, a green plain whose limits or frontier is the endless horizon. I lived there until I was 6 years old, with my family and the other four neighboring families. We were the only ones living there in great solitude and kilometers away from anything else. Fortunately, our families were large. I had the privilege of seeing the births of my siblings and neighbors.

Each time that a baby was born to our families, we celebrated a certain ritual. Even though we were very young, after seeing the baby and kissing it, one of the older members took the child with great care in their arms. Then, with great tenderness, they placed the baby in my arms, while at the same time telling me, "Here, this is your brother/sister! Don't be afraid." The same would happen with each of the children with whom we shared this moment. A chill would run through my body and I felt a double sensation-one of fragility, both the child's and mine, and a feeling of deep joy.

Today I reflect on these feelings because they are repeated each time that I take a baby into my arms. I fear that the baby will fall from my arms or will not find adequate comfort. But then those familiar words resound from the voice of an elder who says "Here is your brother/sister. Don't be afraid." Here again, is joy, hope, and life.

Such an anecdote gives me the opportunity to place our upcoming celebration of Christmas in a framework "of fragility, fraternity, and hope". Under these signs, we can re-read our history and project ourselves into the future.

In the Christmas Message of the past years, we remembered special events that were experienced during the year that was about to end and the New Year that God would give us. The beginning of this third millenium has been filled with horrifying moments. There were the tragic events of September 11th and the War in Afghanistan, the kidnapping of Fr. Giuseppe Pierantoni, and the long list of confreres who have died. We also celebrated three grand SCJ international events (the Educators in Salamanca, the Major Superiors and Mission Animators in Rome) and my participation in the Synod of Bishops as examples. The year 2002, for its part, will be a year particularly characterized by the gatherings of the Provincial Chapters in preparation for the General Chapter of 2003, and for other important events.

Permit me to reflect on each of these events:

The events of September 11th have hurt us deeply and have revealed our fragile nature and inconsistent attitudes in light of the great technological wonders that mark our era. We strongly condemn terrorism in all forms. No reason exists for it to be justified. We feel solidarity with the families of the victims and for all who suffer the consequences that are physical, psychological, spiritual, familial, social, economic, political and religious due to this savage atrocity. We are in solidarity with our confreres in the US province, with the members of the Dehonian Family in the USA, as well as with all of the women and men who live there.

Still, many of us question and feel hurt as well by the war in Afghanistan. We need to address why there is pain for many innocent people, the movement of refugees, the inhuman conditions experienced by so many, violence and vengeance!! Our conscience can not stop hearing the cries of God in our history: "Where is your brother?" (cf. Gen 4:9-10). Many people want to put an end to the discord sown by military power (cf. Mat. 13:24-30). This causes the cancer of terrorism to grow.

As Dehonians, I believe we can point to a service of Reconciliation that is very distinctive. This service comes through a dialogue that is inter-religious and multi-cultural. There can be a global solidarity for the fight against poverty and the great collective dramas of our era (differences created by a liberal economic model, the exploitation of people and nations, the corruption of many power structures, other chronic evils, etc.). We do not make ourselves the judges for the others. Instead, we must take the responsibility, according to our means, to heal the evils and injustices of our own era not only in their effects but in their causes and roots, as well.

The events of September 11th and all that followed reveal not only the fragility of our security systems but also the fragility of human relations between people, cultures, races, and religions. This reveals the fragility of civil, socio-political, legal, and moral issues of the world. They reveal the fragile concept of a vital brotherhood within the human family.

I invite the Dehonian Family, above all, the entire SCJ Congregation, to generously accept the double proposal of the Holy Father. That is, to celebrate a day of prayer and fasting on December 14th, the final day of Ramadan, and to make January 24th, 2002 a day of inter-faith meetings for peace and justice. According to the words of the Holy Father, all of us are invited, especially Moslems and Christians, to proclaim before the world that religion never converts others through motives of conflict, hate, or violence. It will at least serve as a communal form of our family to take into our arms the brother that God has given us and a means of helping to care for the outcome of those who suffer in one form or another.

The kidnapping of Fr. Giuseppe Pierantoni, which has lasted 47 days already, continues to concern all of us. We would have liked to already celebrated his release. For a few moments we thought it would be sooner; but the Lord is asking us to continue with this "advent" of hope and surrender to Him.

These are days filled with pain and insecurity. We feel very deeply our impotence to find the right solution. Our fragility as missionaries puts to the test our capacity to believe, hope, and love beyond the results that might be achieved in this march to obtain his freedom.

It is also a footprint of God in our history. As an SCJ institute, we are living and expressing the notion "We, the Congregation, in service to the mission". We feel united, more than ever before, in our prayer, reflection, dialogue, and support for Fr. Beppe's release. We feel a deeper consecration to the Lord and the cause of God's Reign as Fr. Dehon wanted. We appreciate the esteem that Fr. Beppe has among Christians and Moslems from Dimitalang. We see how everyone's prayer and human solidarity give strength to his family. His elderly parents and sister show exceptional integrity.

We are all learning the value of inter-faith dialogue. We appreciate that part of the Moslem world where, according to what we have heard, many people pray in their mosques for our confrere. This is a testimony to their collaborative effort that puts all of us on the road to mutual respect and justice. We would only discover such painful things by carrying the Cross.

The broad spreading of this event through the media puts this family and our Congregation at the center of supportive attention from many people. In Rome, we have felt the close contact of the Holy Father, receiving updates from myself and Fr. Osnildo Klann, from the many religious congregations and bishops around the world. Each day at the Synod, bishops from five continents came forward to ask about new developments and assure us of their prayers. I was impressed by the brotherhood expressed by some, such as Cardinal Martinez Somalo, the Cuban bishop, Monsignor Marcelo A. Gonzalez Armador, who seemed to suffer in his own way, and Moses Ovidio Perez Morales of Venezuela, who immediately promised to celebrate Mass for the intentions of our brother. The USG (Union of Superior Generals) also played a very supportive role.

Let us continue offering our fraternal unity asking the Lord to grant freedom for Fr. Beppe. Let us also ask God to grant strength and tenderness of His heart to Fr. Beppe, his family, and to our confreres in the Philippines, particularly to those most affected by this situation. Also, let us pray that He might enlighten the minds and change the hearts of those who are responsible for this injustice so that such acts would disappear from the face of the earth and not return as instruments without a purpose.

We express gratitude to Monsignor Zachariah Jimenez, bishop of Pagadan, to the Italian ambassador in Manila, and to those giving time and effort to achieve a positive ending. Special thanks to our confreres in the Philippines who live on the front lines of anguish and hope.

My participation in the 10th Synod of Bishops was a personal satisfaction that can benefit everyone. Beyond the work and fatigue demanded of me, it was a great experience of catholicity, a sense of Church, and ecclesial fraternity. I was impressed by the silent, constant presence of our elderly Pope at all the plenary sessions and by his brave homilies given at the opening and conclusion of the Synod. I felt a sense of preoccupation that of all our leaders felt in dealing with the events of our present history as well as their compassion to face the human dramas of their dioceses and the world. They did not hide their feelings of fragility as they face the challenges of our times. We shared with the assembly news about the true martyrs of faith and justice who suffered kidnappings, tortures, and persecutions. The eloquent testimony of the Churches cultivating faith in times of trial and pain makes us tremble. Discreet and uplifting words came from our "Brother Delegates" of the Orthodox, Anglican, and Lutheran Churches.

The Oriental Catholic Church displayed their originality, sensibility, and millenia of wisdom that we have yet to learn from the East. The attention and respect with which they were heard and the quality of their contribution gives hope that will benefit the universal Church with many gifts.

On a personal level, I received many invitations, mostly from Asia (Bangladesh, Vietnam, Sri Lanka, and Lebanon) and from Latin America (Mexico, Central America, and the Carribean), for the Congregation to consider going to these parts of the world with our charismatic and missionary presence.

During the luncheon meeting of the 10 Superior Generals who were invited to the Synod by the Holy Father, I realized the capacity for listening that the Pope has. When Cardinal Lubomyr Husar (Ukraine), who joined our group, proposed the idea of repeating in this moment of history an Inter-faith Meeting like the one celebrated in Assisi back in 1986, the Holy Father paid extraordinary attention. He took a moment of silence and with his head showed a "YES" that rose up from his very soul. A month later, on Sunday, November 18th, at the Angelus, he promoted this convocation.

The international gatherings of Educators, Major Superiors and Mission Animators were other positive events of this year.

I hope that everyone receives the conclusions through those who participated in these events as well as through the official communications that are published or what the General Council will publish very soon.

The important thing to know is that preparations for the next General Chapter have begun. Many have expressed satisfaction for continuing the effort to deepen our awareness of the theme "We, the Congregation, in service to the mission".

As the year went by, we lost many confreres to death: 54 in total. Some provinces were particularly struck hard: IS, US, MZ, AM.

The oldest member of the Congregation, Fr. Benjamin Zambetti, died at the age of 101 years. At the same time came the death of a scholastic from South Africa, Fra. Paul Tiraglo Ntwe, who had just made Final Vows and in December would have been ordained a deacon.

Confreres have died who contributed services of great responsibility (e.g. Fr. Jerome Schaad, US provincial treasurer and member of the General Finance Commission). A missionary from Mozambique, Fr. Pietro Di Franceschi, also died while he was driving in an emergency as he attended to the needs of a woman having a difficult labor and birthing process. There were those who finished their lives of Dehonian oblation after serving the Lord and the Church as SCJ's.

Looking back, we have much to thank our Lord. Many questions and challenges remain that ask of us for a total and generous surrender and call us to live in fraternity. Looking towards the future, without losing the notion of our fragility nor wanting to make it more dramatic, the sense of hope grows in us that is not deceptive (cf. Rom. 5:5) but is sustained in the person of Jesus.

This must lighten our path and uphold our creative fidelity as members of the Dehonian family.

As a Congregation, we want to highlight the following events of 2002:

With what we have left behind, what we live in the present, and what we see in the future…let us try to be aware of our fragility and to serve the cause of universal brotherhood with hope.

Let us be inspired by the mystery of Bethlehem, by that fragile, small Child that Mary and Joseph placed in the arms of the Shepherds. This is how God touches humanity and fills us with hope.

May this be the experience of Christmas and New Years' for all Dehonians.

Taking Jesus into our arms, let us also carry the fortune of our brothers and sisters in the world. Let the poor of this world, who are the living signs of Christ's presence, find in our values, words, and actions, a sense of hope from the God of life and history. May our efforts for reconciliation and peace remove the injustices that are generated and fueled by hatred, terrorism, and wars.

This is the wish of our Congregation's General Council. We wish you blessings and our affection for a Merry Christmas and a prosperous New Year.



Fr. Virginio D. Bressanelli SCJ
Superior General

Noël et la Nouvelle Année: sous le signe de la fragilité, 
de la fraternité et de l'espérance

Rome, 03.12.2001
Prot. N. 226/2001

A tous les Membres de la Famille Dehonienne
(SCJ, Consacrés et laïques)



Chers frères et soeurs:

Une fois encore, notre Famille Dehonienne, à l'unisson avec toute l'Eglise et avec toutes les dénominations chrétiennes, va célébrer le grand mystère de l'Incarnation et de la Nativité du Seigneur. C'est une célébration qui revient d'année en année. C'est un mystère ancien qui renferme une surprenante nouveauté de vie.

Autrefois, je vous ai confié que je suis né dans la pampa humide d'Argentine: une plaine verte dont la seule limite ou frontière est la ligne inaccessible de l'horizon. J'ai grandi là jusqu'à l'âge de 6 ans et mes relations se limitaient presque entièrement aux personnes de ma famille et aux personnes des quatre autres familles voisines. Nous étions les seuls qui peuplions, sur une étendue de plusieurs kilomètres cette immense solitude. Par chance, nous étions des familles nombreuses. C'est pourquoi j'ai eu la grâce de voir naître plusieurs de mes frères et soeurs.

Chaque fois que, dans l'une de ces familles, naissait un bébé, on assistait à une sorte de rite. Même quand nous étions petits, après l'avoir contemplé dans le berceau et après l'avoir embrassé, une personne plus grande le prenait avec attention et le remettait, avec une extrême délicatesse, dans mes bras, m'encourageait en même temps en disant: "Prends-le, c'est ton frère, n'aie pas peur!". On faisait la même chose avec les autres enfants qui participaient à l'événement. Un frisson parcourait mon corps et je percevais une double sensation: celle de sa fragilité et de la mienne, unie à une joie profonde.

Aujourd'hui, j'éprouve de nouveau ces sentiments parce qu'ils reviennent chaque fois que je prends un enfant dans mes bras. Je crains toujours qu'il m'échappe ou qu'il ne trouve pas sur moi la position qu'il faut. Mais j'entends aussi l'écho de la voix de quelqu'un de plus grand: "Prends-le, c'est ton frère, n'aie pas peur!", et tout de suite vient la joie qui est espérance et vie.

Cette histoire me donne l'occasion de vous présenter la célébration prochaine de Noël selon la clé "de la fragilité, de la fraternité et de l'espérance". Sous ce signe, nous pourrons relire notre histoire et projeter notre avenir.

Dans le Message de Noël de ces dernières années, nous nous sommes habitués à résumer les événénements de l'année qui se termine et à chercher à comprendre ce que Dieu nous prépare pour la Nouvelle Année. Le début de ce troisième millénaire a été pour nous chargé d'événements qui nous ont profondément touchés: les faits du 11 septembre et la guerre en Afghanistan, l'enlèvement du P. Giuseppe Pierantoni, une longue liste des confrères décédés, la tenue de trois grandes rencontres SCJ à caractère international (des Educateurs à Salamanque, des Supérieurs Majeurs et des Animateurs Missionnaires à Rome), ma participation au Synode des Evêques, etc.

L'année 2002 sera, d'autre part, une année particulière, marquée par la tenue des Chapitres provinciaux en vue du Chapitre général de 2003, et par d'autres événements importants.

Je me permets de les reprendre un par un:

- Les faits du 11 septembre nous ont profondément blessés et ont découvert notre fragilité et notre inconsistance, en dépit des grands succès techonologiques qui marquent notre époque. Nous condamnons fermement le terrorisme sous toutes ses formes. Il n'y a aucune raison qui puisse le justifier. Nous nous sentons très solidaires des familles des victimes et de tous ceux qui aujourd'hui souffrent des suites physiques, psychologiques, spirituelles, familiales, sociales, économiques, politiques et religieuses de cet horrible massacre. Nous nous sentons solidaires de nos confrères de la Province US, des membres de la Famille Dehonienne aux USA et de tous les hommes et femmes de ce pays.

Mais nous sommes plusieurs à nous interroger et nous nous sentons blessés aussi par la guerre de l'Afghanistan. La douleur de tant d'innocents, le calvaire des réfugiés, les conditions inhumaines auxquelles sont soumis de nombreux êtres humains, les violences et les actes de vengeance qui se sont déchaînés à l'intérieur nous interpellent. Notre conscience ne peut pas ne pas entendre le cri de Dieu au commencement de l'histoire de l'humanité: "Qu'as-tu fait de ton frère?" (cfr. Gn 4,9-10). Nombreux ont le sentiment que l'on fait trop pour arracher l'ivraie en employant la force militaire (cfr. Mt 13,24-30) et ceci ne peut qu'amplifier le cancer du terrorisme.

Comme dehoniens, je crois que nous devons miser sur un service de la Réconciliation très particulière qui passe à travers le dialogue interreligieux et culturel, à travers la mondialisation de la solidarité, la lutte contre la pauvreté et les grands drames collectifs de notre époque (les inégalités créées par un modèle économique libéral, l'exploitation des personnes et des nations, la corruption généralisée dans de nombreuses structures de pouvoir, tant d'autres maux endémiques, etc..). Sans vouloir nous ériger en juges des autres, nous devons nous responsabiliser, selon nos moyens, pour guérir les maux et les injustices de notre époque, non seulement dans leurs effets mais aussi dans leurs causes et leurs racines mêmes.

Les faits du 11 septembre et tous ceux qui s'en sont suivis, ne révèlent pas la seule fragilité des systèmes de sécurité mais également la fragilité des relations humaines entre les pays, les cultures et les religions; fragilité de l'ordre civil, social et politique, légal et moral du monde; fragilité de la notion vitale de fraternité de la famille humaine.

J'invite la Famille Dehonienne, surtout la Congrégation SCJ, à accueillir avec générosité la double proposition du Saint-Père de célébrer une journée de prière et de jeûne le 14 décembre prochain, le dernier jour de Ramadan, et de faire du 24 janvier 2002 une journée de rencontre interreligieuse pour la paix et la justice. Selon les paroles du Saint-Père, nous sommes tous invités, "en particulier les chrétiens et les musulmans, à proclamer au monde que la religion ne doit jamais devenir motif de conflit, de haine et de violence". Ce sera donc une forme communautaire pour toute notre famille de "prendre dans nos bras" le frère que Dieu nous a donné, en nous faisant responsables de tous ceux qui, d'une façon ou d'une autre, souffrent aujourd'hui.

- L'enlèvement du P. Giuseppe Pierantoni, qui dure depuis 47 jours, continue à nous préoccuper tous. Nous aurions déjà voulu fêter sa libération et, à un certain moment, nous l'avons sentie très proche; mais le Seigneur nous demande de continuer dans cet "avent" d'espérance et d'abandon total en Lui.

Ce sont pour nous des journées d'incertitude et de douleur. Nous éprouvons profondément notre impuissance à apporter la solution qu'il faut et nous vivons notre fragilité, en tant que missionnaires, fragilité qui met à l'épreuve notre capacité de croire, d'espérer et d'aimer au-delà d'un résultat que peuvent avoir de nombreuses interventions mises en oeuvre pour obtenir sa libération.

C'est aussi un signe de Dieu dans notre histoire. Comme Institut SCJ, nous sommes en train de vivre et d'exprimer le "Nous Congrégation au service de la mission" unis plus que jamais dans la prière, dans la réflexion, dans le dialogue et dans notre participation au sort du P. Beppe. Nous éprouvons tous le sentiment de notre consécration au Seigneur et à la cause du Règne de Dieu dans les "missions lointaines", comme le souhaitait le P. Dehon. Nous apprécions l'estime que le P. Beppe a su gagner auprès des chrétiens et des musulmans de Dimataling. Nous constatons la force que la prière de tous et la solidarité humaine sont en train d'insuffler à sa famille. Ses parents âgés et sa soeur font preuve d'une fermeté exceptionnelle.

Nous sommes tous en train d'apprendre à valoriser le dialogue interreligieux. Nous apprécions cette partie du monde musulman qui, comme on nous en a informés, prie dans les mosquées pour notre confrère, en témoignant sa volonté de paix et de collaboration sur le parcours d'un respect mutuel et de la justice. Nous aurions difficilement découvert beaucoup de choses sans le poids de cette croix douloureuse.

Le retentissement important que ce fait a trouvé grâce aux média met sa famille et la Congrégation au centre d'une attention solidaire de beaucoup de gens. A Rome, nous avons reçu l'expression d'une attention particulière du Saint-Père, informé personnellement par moi et par le P. Osnildo Klann, de celle de plusieurs Congrégations religieuses et de celle de beaucoup d'Evêques du monde entier. Tous les jours, au Synode, des évêques des 5 continents venaient vers moi pour demander des nouvelles et pour m'assurer de leur prière. Je suis resté impressionné par les sentiments de fraternité que certains ont exprimés comme le Cardinal Martínez Somalo ou l'Evêque du Cuba, Mgr. Marcelo A. González Amador qui semblait souffrir ce drame dans sa propre chair ou Mgr Ovidio Pérez Morales, du Venezuela, qui m'a tout de suite promis de célébrer l'Eucharistie pour notre confrère. L'USG (l'Union des Supérieurs Généraux) a joué un rôle très important de sensibilisation.

Poursuivons dans cette union fraternelle, en demandant au Seigneur qu'il nous accorde vite la libération du P. Beppe. Demandons-lui aussi de soutenir avec sa force et avec la tendresse de son Coeur le P. Beppe, sa famille et nos confrères aux Philippines, particulièrement éprouvés par cette situation. Prions aussi pour qu'il illumine la raison et pousse à la conversion la volonté de ceux qui sont responsables de cette injustice afin que de tels faits ne se reproduisent plus sur la terre et qu'ils ne soient pas manipulés quel qu'il en soit le but.

Nous exprimons notre gratitude à Mgr Zacarías Jiménez, Evêque de Pagadian, à l'Ambassadeur d'Italie à Manille et à tous ceux qui consacrent leur temps et leurs efforts pour parvenir à une conclusion positive de cet événement. Un merci particulier à nos confrères aux Philippines qui vivent en première ligne ce temps d'angoisse et d'épreuve.

- Ma participation au Xe Synode Ordinaire des Evêques a été une grâce personnelle, je voudrais qu'elle tourne au bénéfice de tous. Il y a eu bien sûr le travail, la fatigue inhérents à cette rencontre; mais celle-ci a été en même temps une forte expérience de catholicité, expérience d'appartenance à l'Eglise, en fraternité ecclésiale. J'ai été touché par la présence silencieuse et constante de notre Pape âgé à toutes les réunions pléniaires, comme aussi ses courageuses homélies à l'ouverture et à la conclusion du Synode. J'ai perçu la préoccupation de nos pasteurs en face de tous les événements de l'histoire présente, et leur compassion pour les drames humains de leurs diocèses et du monde. Ils ne cachaient pas leurs sentiments de fragilité au regard de tous les défis de notre temps. Nous avons communiè à la vie de quelques "pères", authentiques martyrs de la foi et de la justice, qui ont subi des séquestres, des tortures, des persécutions. Les éloquents témoignages des Eglises qui ont fortifié leur foi dans la douleur et dans l'épreuve nous ont beaucoup marqués. Edifiantes et discrètes ont été la présence et la parole des "Frères Délégués" des Eglises Orthodoxes, Anglicans et Luthériens.

Les Eglises Catholiques Orientales ont mis en lumière leur originalité, leur sensibilité particulière et leur sagesse millénaire. En Occident nous avons beaucoup à apprendre. L'attention, le respect avec lesquels elles ont été écoutées, comme la qualité de leurs apports, permettent de bien espérer que l'Eglise Universelle en soit enrichie.

Au plan personnel j'ai reçu de nombreuses invitations, venant surtout de l'Asie (Bangladesch, Vietnam, Sri Lanka, Liban) et de l'Amérique latine (Mexico, Amérique centrale, Caraïbes), pour que la Congrégation étende en ces lieux sa présence charismatique et missionnaire.

Au cours du repas de travail que les 10 Supérieurs Généraux, membres du Synode, ont pris avec le Saint Père, j'ai pu me rendre compte de la capacité d'écoute du Pape. Quand le Cardinal Lubomyr Husar (Ukraine), qui s'était joint à notre groupe, s'est permis de lui proposé l'idée de répéter, en cette phase particulière de l'histoire, la Rencontre Interreligieuse tenue à Assise en 1986, le Saint Père a manifesté une attention toute particulière. Après un instant de silence, il a donné son accord par un signe de tête et avec un "oui" qui lui venait du cœur. Un mois après, le dimanche 18 novembre, à l'Angélus, il a promulgué la convocation.

-Les Rencontres Internationales SCJ des Educateurs, des Supérieurs Majeurs et des Animateurs Missionnaires ont été d'autres événements forts de cette année.

J'espère que les conclusions ont pu parvenir à tous, par l'intermédiaire de ceux qui ont participé à ces rencontres et par les communications officielles qui en ont été données ou que le Gouvernement Général publiera d'ici peu.

Ce qu'il importe surtout de savoir, c'est qu'on a mis en route la préparation de notre prochain Chapitre Général, et que beaucoup ont constaté avec satisfaction que de toutes parts s'affermit la conscience du "Nous Congrégation au service de la Mission".

-Durant l'année écoulée de nombreux confrères sont décédés: 54 en tout. Certaines Provinces ont été particulièrement concernées: IS, US, MZ, AM, etc.

Est décédé notre confrère le plus âgé de la Congrégation, le Père Benjamin Zambetti; il avait accompli ses 101 ans. Et ces derniers jours est décédé un scolastique de AM, le frère Paul Tiragalo Ntwe, il venait d'avoir émis ses vœux perpétuels et en ce mois de décembre il devait être ordonné diacre.

Sont morts des confrères qui remplissaient des services de grande reponsabilité (par exemple le Père Jérôme Schaad, économe provincial US qui était membre de la Commission Economique Générale - GFC), et aussi un missionnaire du Mozambique, le Père Pietro De Franceschi, alors qu'il transportait en urgence une femme qui souffrait lors d'un accouchement difficile). Et tous les autres qui ont achevé leur vie dehonienne d'oblation, après avoir servi le Seigneur et l'Eglise comme SCJ.

- En jetant un regard rétrospectif, nous avons beaucoup à rendre grâces au Seigneur; en même temps nous restent de nombreux points d'interrogation et de défis qui nous poussent à un engagement complet et généreux, à la vie fraternelle. En regardant le futur, sans perdre la conscience de notre fragilité, sans non plus la dramatiser à l'excès, nous sentons bien que continue à grandir en nous cette espérance qui ne déçoit pas (cf. Rm 5, 5) parce qu'elle prend appui sur la personne même de Jésus.

Elle doit être lumière sur notre route, elle doit soutenir notre fidélité créative en tant que membres de la famille dehonienne.

En tant que Congrégation, nous voulons signaler les événéments suivants de l'année 2002:

- Le 6 janvier on célébrera le Centenaire de la fondation de notre mission de Basoko (R.D. Congo). C'est la seconde fondation SCJ au Congo, après le commencement, en 1897, de la Mission de Saint-Gabriel, en l'actuelle Kisangani. Il s'agit bien de 100 ans de travail, de courageux engagement de nos Confrères. Le 13 janvier ce sera la mission de Yanonge qui célébrera son centenaire. Maintenant ce sont les Pères Comboniens qui y travaillent.

- Le 7 janvier à Guntur (Andra Pradesh - Indes) seront inaugurés le nouveau Noviciat et un nouveau Petit Séminaire SCJ. Nos frères envisagent le futur avec espérance, pour le bien de toute l'Eglise.

- Le 14 février, il y aura 125 ans que le Père Dehon, au cours d'une célébration au Sanctuaire Marial de Loreto en Italie, reçut l'inspiration et prit la décision de fonder notre Congrégation: ce qui se concrétisa l'année suivante quand il émit ses premiers voeux (28. 06. 1878).

Ce pourrait être une bonne occasion pour commencer une Année Dehonienne, qui irait du 14 février 2002 au 28 juin 2003: une année selon l'esprit du thème choisi pour le prochain Chapitre Général: "Réaffirmer la spécificité de notre charisme apostolique devant les défis de notre temps".

- En juillet 2002 l'Eglise célébrera les XVII Journées Mondiales des Jeunes, à Toronto au Canada. Nos confrères de l'Amérique du Nord (Usa et Canada) sont déjà en train de préparer les aspects logistiques et le programme pour accueillir comme il le faut les délégations de jeunes SCJ. L'expérience de l'an dernier en Italie doit nous encourager à une participation enthousiaste.

- L'année 2002 sera aussi l'année des Chapitres Provinciaux en préparation du Chapitre général de 2003. Ce sera un moment particulier de vérification, de discernement et de nouvel élan pour chaque Province, Région et District. Comme tel, c'est un temps de grâce auquel tous nous devons prendre part, en nous ouvrant à l'Esprit en fidélité créative à notre charisme dans l'Eglise.

Ce sera aussi l'année de la fusion des deux entités SCJ Canadiennes en une seule Région nullius Provinciae. Comme aussi la division de la Province BM en deux Provinces Sœurs.

- Enfin, il nous faut rappeler que le thème de la 35ème Journée Mondiale de la Paix, et donc le thème de l'année 2002, sera: "Sans Pardon il n'y a pas de Paix". Le chemin du pardon et de la réconciliation est la route la plus directe et la plus sûre pour parvenir à la paix. C'est l'heure d'une nouvelle espérance, et d'une nouvelle fantaisie de la charité qui se déploie non tant et non seulement dans l'efficacité des secours fournis, mais dans la capacité de se rendre proches et solidaires de qui souffre (cf. NMI; 50), en manifestant l'amour, en agissant avec miséricorde.

Avec la vision de ce que nous laissons derrière nous, de ce que nous vivons dans le présent, et de ce que nous réserve l'avenir, nous nous efforçons d'assumer notre fragilité et de servir la cause de la fraternité universelle avec espérance.

Laissons-nous inspirer par le mystère de Bethléem. Dans la fragilité réelle, dans la petitesse de l'Enfant que Marie et Joseph posent dans les bras des bergers, Dieu embrasse toute notre humanité, il la comble d'espérance.

Que telle soit l'expérience de Noël et de l'An Nouveau pour tous les Dehoniens!

En prenant Jésus dans nos bras, nous nous chargeons de tous nos frères et sœurs du monde. Que les pauvres de notre terre, signes vivants de la présence du Christ, trouvent en nous des attitudes, des paroles et des gestes d'espérance du Dieu de la vie et de l'histoire! Que notre engagement pour la réconciliation et pour la paix contribue à porter remède aux injustices qui engendrent et alimentent la haine, le terrorisme et les guerres.

Ce sont les souhaits de l'Administration Générale de notre Congrégation. Nous vous bénissons et avec affection nous vous souhaitons un joyeux Noël et une Nouvelle Année très prospère!


P. Virginio D. Bressannelli scj.
Supérieur général