Cari fratelli e sorelle,
Quest'anno la nostra festa titolare coincide con il centenario della Consacrazione del mondo al Sacro Cuore, compiuta da Leone XIII l'11 giugno 1899, in seguito all'Enciclica "Annum Sacrum" pubblicata il 25.05.1899. Ancora una volta siamo interpellati dal mistero dell'amore di Dio manifestato in Cristo Gesù. Mistero che tocca la nostra vita personale, l'Istituzione Dehoniana, e tutta la famiglia umana. Infatti, "con l'incarnazione, il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo" (Gaudium et Spes, 22), diventando "la nostra via alla casa del Padre", e "la via a ciascun uomo" (Redemptor Hominis, 13).
In Cristo, che condivide la condizione umana e si inserisce nella nostra storia, Dio ci riconcilia con se stesso e tra noi, ci rivela il suo vero volto e illumina il senso autentico della nostra esistenza. Lui è la Buona Novella che il Padre dice e ripete ininterrottamente al nostro mondo per condurlo alla salvezza e alla sua realizzazione piena. È la "Notizia" che riempie l'universo di gioia e speranza, di pace e amore, di giustizia e misericordia, di dignità e vita nuova secondo lo Spirito, di cui i poveri sono i primi destinatari.
Clamore dell'umanità
Riconciliazione, amore, vita nuova, acquistano un significato speciale in questo tempo di fine millennio, scosso dai dolorosi eventi di guerra, di pulizia etnica, di emarginazioni, di migliaia di profughi e immigrati, di disoccupazione, di impoverimento crescente, di divisione e di affermazioni individuali, tribali e nazionalistiche al margine dell'interesse comune...
Il clamore di chi soffre è oggi incontenibile. Lo ascoltiamo in molti luoghi dove viviamo e lavoriamo e perfino alle porte di casa del benestante mondo occidentale. È un clamore a cui non possiamo sottrarci, né ritenerci immuni o totalmente innocenti, né chiudere le orecchie.
In questo contesto, l'imminente celebrazione del Grande Giubileo ravviva in noi la necessità di una conversione radicale e di un rinnovato impegno nella nostra missione, particolarmente nel servizio "della riconciliazione degli uomini e del mondo in Cristo" (Cst 7).
Già il XX° Capitolo Generale ha voluto esprimere ripetutamente la ricchezza della nostra missione in questi termini. A partire da quest'insistenza, in sintonia con quanto ci viene indicato dal Magistero della Chiesa, alle soglie del terzo millennio, nello scorso novembre ho proposto ai Superiori Maggiori SCJ, radunati a Roma, di fare di questo e del prossimo anno un tempo di approfondimento della spiritualità e della prassi della Riconciliazione: una riconciliazione sperimentata, testimoniata e servita ministerialmente.
Una sfida attuale
La Riconciliazione è un tema necessario, attuale, ampio, impegnativo e difficile. Costituisce una sfida che, da sé stessa, ci impone grossi interrogativi. Difatti ci domandiamo: in tutti i paesi del mondo attualmente in guerra, come in Europa, Africa e Asia, cosa resterà nel cuore della gente e dei popoli coinvolti, dopo questi atroci conflitti? Chi sanerà le loro più profonde ferite? Che cosa può ridare pace a tante coscienze sconvolte? Come potranno trovare di nuovo la gioia e il senso della vita molte persone e nazioni la cui storia è oggi stravolta, i cui sogni sono stati spezzati e a cui molte possibilità di sviluppo vengono arrestate per sempre? Chi c'è dietro questo scenario di dolore e di morte, e quali sono le nostre responsabilità e il nostro compito in questi fatti?
Il problema della riconciliazione non ha solo a che fare con i grandi avvenimenti mondiali; viene posto anche all'interno della nostra Congregazione, nelle nostre singole comunità, e perfino nel segreto del nostro cuore e della nostra storia personale; ci coinvolge nella nostra quotidianità.
Da p. Dehon abbiamo ereditato una sensibilità speciale circa la dimensione sociale del Regno, l'attenzione agli appelli del mondo (cf. Cst 35-39), e il richiamo a un'intimità con il Signore che ci permetta di trovare i segni della sua presenza nella vita degli uomini (cf. Cst 28). Quindi tutta la realtà descritta, nella sua complessità ed esigenza, non può lasciarci indifferenti.
Un dono di Dio
La Riconciliazione è però un dono di Dio, irraggiungibile con i soli sforzi umani. Tutti abbiamo coscienza della nostra inadeguatezza per risolvere a fondo i drammi dell'umanità e i nostri drammi.
Difatti essa implica il perdono e il superamento del peccato, causa d'ogni male. Comporta di ridare alla persona umana la sua dignità originale di figlio di Dio, dovuta all'inabitazione dello Spirito Santo; di riallacciare il dialogo, l'intesa reciproca e l'amicizia spezzata; di fare cadere le mura di divisione e di separazione tra persone e popoli, di radunare i dispersi; di suscitare una coscienza di fratellanza e solidarietà; di riportare l'equilibrio nel creato, che condivide la stessa sorte dell'uomo.
L'iniziativa della riconciliazione viene da Dio, che ci ha amati per primo (cf. 1 Gv 4,10.19), mentre noi eravamo ancora peccatori, riconciliandoci, per mezzo della morte e risurrezione del suo Figlio, con sé stesso, con gli altri esseri umani e con l'intera creazione (cf. Rm 5,8-11; 8,19-21; Ef 2,13-17; Col 1,19-22).
È un dono che supera largamente il male che l'uomo ha prodotto e il bene che può fare. Riconciliazione, liberazione, salvezza... si equivalgono e mettono in luce quanto avviene nel mistero della redenzione offerta in Cristo.
Si tratta quindi di un bene che va impetrato, ricercato, accolto attivamente e custodito con riconoscenza e amore. Fin dall'inizio della nostra formazione siamo stati educati a trovarlo nel Cuore di Cristo, invocato come "Pace e Riconciliazione nostra".
Progetto di Cristo, cammino per il cristiano
Gesù, iniziando la sua missione con l'annuncio della Buona Novella ai poveri, della liberazione degli oppressi e dei sofferenti e la proclamazione di un anno di grazia del Signore (cf. Lc 4,18-19; 7,21.23), offre il perdono del Padre e stabilisce un progetto di riconciliazione per tutta l'umanità.
Progetto che egli realizza nella sua propria persona: nel mistero dell'incarnazione, nella prassi del suo apostolato, nella sua morte e risurrezione pasquale, e nell'effusione dello Spirito. Fa così il dono gratuito di sé stesso fino a dare, con la propria morte, la prova del maggior amore, in adesione alla volontà del Padre, per condurre all'unità i figli di Dio che erano dispersi (cf. Gv 11,52).
Noi come credenti, inseriti con il battesimo in questo progetto, lo celebriamo nell'Eucaristia e nella Riconciliazione sacramentale. La riconciliazione diviene così per noi cammino di vita e impegno d'amore a Dio e ai fratelli, seguendo il nesso obbligatorio tra la riconciliazione offerta e i rapporti di carità, giustizia, misericordia e perdono verso i fratelli. E' il rapporto inscindibile tra la coscienza della paternità di Dio e quella della fratellanza umana; tra il perdono e la remissione dei debiti, da parte di Dio, e la nostra disponibilità a perdonare e a condonare, a nostra volta, le offese e debiti altrui; tra culto di Dio e vita sociale; tra amore di Dio e amore del prossimo; tra la professione della fede e la pratica della carità.
Già nell'Antico Testamento i profeti erano araldi di quest'unità di vita, respingendo con sdegno un culto, vuoto di atti di riconciliazione. Al Signore era gradito il sacrificio del cuore, l'obbedienza della fede, la misericordia e il perdono, l'assistenza del bisognoso, la difesa e sostegno dell'orfano, della vedova e dello straniero.
La novità del Vangelo sarà quella di scoprire nei piccoli, nei poveri e negli ultimi, l'immagine viva del Signore; di andare alla radice del male, sradicando dal cuore umano i sentimenti di egoismo e d'ipocrisia, di odio e di vendetta. Punto di riferimento è la perfezione del Padre, la cui misericordia siamo invitati a imitare, assumendo il precetto dell'amore, costituendo con Cristo il suo corpo mistico e la comunità d'amore che è la Chiesa.
La riconciliazione dell'umanità è già stata realizzata e compiuta in Cristo, ma essa va completata lungo il corso della storia con la nostra partecipazione (cf Col 1, 24). Ciò avviene attraverso il ministero di riconciliazione, affidatoci dal Signore stesso (cf 2Cor 5, 18-20), che ha avuto piena fiducia in noi e ha usato gratuitamente la sua misericordia verso di noi (cf 1Tm, 1, 12-14).
Sotto questa prospettiva va inteso quanto ci viene richiesto dalle nostra Costituzioni di essere "Profeti dell'amore e servitori della riconciliazione degli uomini e del mondo in Cristo", nella linea di quanto Padre Dehon aspetta dai suoi religiosi (Cst 7).
Esigenze morali ed espressioni concrete della Riconciliazione
Il cammino della riconciliazione ha esigenze etiche ed espressioni concrete che ci toccano da vicino, qualunque sia la nostra vocazione. Riassumendole schematicamente, esse sono la fraternità e la solidarietà, la giustizia e la carità, il perdono e la misericordia, il dialogo e la tolleranza, fino a portare con gioia il peso e le debolezze dei nostri fratelli. Fra tutte queste espressioni, noi SCJ diamo un significato particolare e peso alla "misericordia". Siamo chiamati a privilegiare questo atteggiamento di chinarci con compassione sulla miseria degli altri. Chinarci fino a impegnare il nostro cuore, oltrepassando i limiti della legge e della stretta giustizia. "L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di sé stessa, se non si consente a quella forza più profonda che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni" (Dives in Misericordia, 12).
La nostra Regola di Vita dedica ampi spazi a questi temi, quando ci propone il modo dehoniano della sequela di Cristo, nel servizio del Regno e nella comunità dei discepoli (cf. n. 9-85).
È un tema molto ricorrente negli suoi scritti di Padre Dehon. E' particolarmente vivo nelle Notes Quotidiennes e nelle sue lettere, quando deve affrontare problemi particolari di giustizia e carità verso i poveri, di carità fraterna tra i singoli, di rapporti tra comunità e province che ostacolano la realizzazione piena e cordiale del Sint Unum.
All'alba del nostro secolo, a Roma, Padre Dehon dà conferenze, seguite attentamente da un folto pubblico, per diffondere gli orientamenti sociali e politici di Leone XIII, cercando di promuovere una nuova società, improntata sul Vangelo. "Qual è la politica del Vangelo?", diceva. "Quali sono le mire sociali del Salvatore? È venuto a risollevare i piccoli... La vita intera di Nostro Signore, tutti i suoi esempi, tutti i suoi insegnamenti mirano verso lo stesso scopo: il sollievo dei piccoli mediante la carità cristiana, che è come un flusso della carità divina, e mediante la giustizia cristiana, che non fa accezione di persone... Alle esigenze della giustizia e della filantropia aggiunge gli impulsi della carità cristiana" (Oeuvres Sociales, vol. III, pag. 316).
In un conflitto tra Province, il 02.12.1911, scrive: "Mi appello al vostro buon cuore. Dobbiamo a tutti i costi finire la disputa tra le due Province. Altrimenti roviniamo tutto: la carità, la pace e l'onore della Congregazione... Io credo veramente che il Sacro Cuore vi domanda di promuovere la pace nelle circostanze attuali. Per me, preferirei morire piuttosto di vedere sparire tra di noi la pace e la carità".
E ai novizi: "Preghiamo molto gli uni per gli altri. Amiamoci gli uni gli altri. Evitiamo le critiche, le divisioni, il cattivo spirito: come la peste!" (8 May 1910).
All'inizio dell'anno 1910: "Sento il bisogno di scambiare con voi tutti qualche pensiero. Figli del Sacro Cuore, noi dobbiamo avere più di tutti l'ideale di formare tra noi un cuore solo e un'anima sola, in unione al Cuore di Gesù...".
E nel 1912: "Noi siamo una famiglia di fratelli... Amatevi gli uni gli altri. Vi supplico come faceva San Giovanni: non ci siano divisioni tra voi. Passiamo sopra ogni cosa, pur di restare uniti. Sopportiamo con pazienza le offese e gli attriti. Amiamo tutte le nazioni. In cielo non ci sono più le nazioni...".
Il servizio della riconciliazione: "Lasciatevi riconciliare con Dio" (2 Cor 5,20)
Questa ammonizione di Paolo era diretta alla comunità di Corinto che, pur nel fervore cristiano iniziale, era lacerata da tensioni e divisioni interne. Colta però nel suo senso teologale, si traduce per noi in un invito a fare esperienza profonda di riconciliazione. Le cose che ora dirò, anche se valgono per tutta la Famiglia Dehoniana, sono riferite più direttamente ai membri della Congregazione SCJ.
Come persone, come comunità, come Provincie e come Congregazione SCJ abbiamo bisogno di riconciliarci. Anche noi siamo chiamati a quella conversione proposta a tutta la Chiesa per l'Anno Giubilare; alla riconciliazione intesa come liberazione dal peccato e come scelta dei valori evangelici (cf. Tertio Millennio Adveniente, 33-36.50). La bolla "Incarnationis Mysterium", n. 11, ci invita inoltre alla "purificazione della memoria", ad accogliere l'appello di un serio esame di coscienza.
È doveroso riconoscere le nostre piaghe, le ferite non rimarginate, le nostre controtestimonianze, quei nostri peccati che, come persone e istituzione, oscurano il volto della Chiesa e inaridiscono il nostro servizio del Regno.
- Come persone, molti fra noi abbiamo bisogno di riconciliarci con noi stessi e con la nostra storia personale, con alcuni confratelli o con certi superiori, con la nostra comunità o con la Provincia, con alcune persone del popolo di Dio o con la stessa Chiesa, della quale ci inquietano molte cose e che non sempre trattiamo come madre.
Ognuno di noi ha debiti da scontare e debiti da condonare; debiti contratti a livello personale oppure frutto di una gestione istituzionale, ma non per questo meno importanti o che diminuiscano le nostre responsabilità.
- Così dobbiamo rispettare la dignità delle persone e instaurare corretti rapporti con i nostri impiegati e dipendenti, dando loro il giusto salario e garantendo loro i dovuti benefici sociali: e questo anche nello spirito del Giubileo.
- Abbiamo bisogno di guardarci in faccia e sfogliare la storia delle nostre Province alla luce dell'amore misericordioso di Dio, anche se siamo un Istituto giovane ed operiamo nell'umiltà, lontani dei grandi centri di potere ecclesiale, politico o civile.
È senz'altro un servizio di riconciliazione la testimonianza della nostra internazionalità in comunità fraterne e gioiose; come pure la nostra comunione di persone, la collaborazione nei progetti e la condivisione dei beni, superando le barriere di province e nazioni, di razze e tribù.
- Gli stessi rapporti tra le diverse componenti della Famiglia Dehoniana dovrebbero essere impostati su questo appello alla riconciliazione.
- Sempre come esigenza di riconciliazione, alcune Province stanno compiendo gesti di avvicinamento e di perdono con ex-membri della Congregazione, con i quali si sono avuti dei conflitti e che ci hanno lasciato con rotture.
- Non possiamo rimanere indifferenti né sentirci del tutto innocenti circa certi mali ecclesiali, sociali e strutturali, che pregiudicano l'accoglienza del Regno. Poco impegnati nel dialogo ecumenico e interreligioso e nell'inculturazione del Vangelo, ci succede anche di alimentare risentimenti e divisioni, di sostenere una mentalità borghese, che sfrutta il povero; di condividere una cultura di morte e della guerra, perché carenti di senso critico della storia, o perché allineati più dalla parte del potente che del debole…
- La nostra Regola di Vita ci fa oltrepassare i limiti della Congregazione e della Chiesa, "ci rende attenti agli appelli che ci fa giungere attraverso gli avvenimenti piccoli e grandi, e nelle attese e realizzazioni umane" (Cst 35). Ci sentiamo coinvolti nello sforzo di "liberazione da tutto ciò che ferisce la dignità dell'uomo e minaccia la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde: la verità, la giustizia, l'amore, la libertà (cf. GS 26-27)" (Cst 36).
Vogliamo essere quindi solidali con quanti lavorano per costruire un ordine giuridico, sociale, economico e politico più giusto, più solidale e più umano; più attento ai bisogni dei poveri, degli emarginati e degli esclusi dai beni della terra e dell'annuncio del Vangelo. Solidali con quanti lottano per le grandi cause umane: Giustizia e Pace, Movimenti per i Diritti umani, Lotta per la Riduzione e condono del Debito estero dei paesi più poveri, Salvaguardia del Creato. Siamo chiamati a collaborare con tutti i costruttori di pace, nella difesa della cultura della vita, nel rispetto dei pluralismi, e nella valorizzazione critica delle diverse culture.
I segni della Riconciliazione
- Le nostre Costituzioni ci chiedono: "Secondo l'invito costante del Signore alla conversione saremo attenti a discernere il peccato nella nostra vita; e avremo a cuore di celebrare frequentemente il suo perdono nel sacramento della riconciliazione" (Cst 79).
A un esame di coscienza serio e sincero, sul nostro dovere di "lasciarci riconciliare con Dio", dovrebbe seguire una solenne celebrazione del Sacramento della Riconciliazione, come espressione di rinnovamento della nostra condizione battesimale e di edificazione della comunione ecclesiale. Avremo il coraggio di fare questo gesto solenne nelle nostre comunità?
- Come segno di riconciliazione con la Chiesa, le diverse parti della Congregazione (Province, Regioni e Distretti) sono chiamate a ripensare il loro inserimento e il loro stile di presenza e di testimonianza sul territorio (Cst 34.144); a rivedere il nostro modo di essere "oggi" in missione, con scelte apostoliche più specifiche e carismaticamente incisive. Si tratta cioè di ridefinire il progetto locale delle singole comunità e quello particolare delle Province, Regioni e Distretti, mettendoli in linea con il progetto generale "Noi Congregazione a servizio della Missione". E' questo un alto impegno del "lasciarsi riconciliare", uscendo da situazioni generiche o insignificanti, che non fanno bene alle persone (cf. Cst 70.73.74; DG 59).
In questa ridefinizione dei progetti particolari, si dovrà accentuare la dimensione riparatrice e la dimensione sociale del nostro carisma con opere significative, che rispondano a qualcuna delle grandi sfide che si registrano nel territorio.
- Nelle comunità locali sono espressioni di riconciliazione, la revisione di vita e altre forme di confronto che, secondo le indicazioni delle Cst 60-75, ci aiutano "a ravvivare in tutti una vera disponibilità, per una crescita reale nell'unità e per l'autenticità di testimonianza che dobbiamo dare mediante il nostro vivere insieme" (Ratio Formationis Generalis, 4.2.3.c).
- Infine sempre nel contesto di "lasciarci riconciliare con Dio", la prossima Conferenza Generale sull'economia e Regno di Dio, dovrebbe iscriversi come un evento di riconciliazione, capace di produrre un vero rinnovamento nella Congregazione e nell'espletamento della nostra missione.
Sensibili come il buon Samaritano
Per qualunque istituzione, che ha alle sue spalle 122 anni di vita come la nostra, non è facile fare dei passi concreti che segnino una novità di vita. È più facile sognare e fare dei piccoli adattamenti, che produrre dei cambiamenti significativi. Ma se questi non avvengono, allora nemmeno si può parlare di vera conversione.
La Congregazione ha però delle risorse spirituali, eredità del carisma specifico, che sono in grado di provocare quel salto di qualità, che oggi il mondo si aspetta da noi.
Con un cuore sensibile alle necessità altrui, come quello del Buon Samaritano, noi saremo capaci di accogliere l'oggi di Dio. La solidarietà effettiva impone molte volte il cambiamento di rotta, la modifica dei propri progetti, la disponibilità alla novità dello Spirito. Anche noi, chinandoci con compassione sulla miseria umana, possiamo proclamare la Buona Novella ai poveri e l'anno di grazia del Signore, facendo della nostra vita un cammino di riconciliazione in Cristo.
Così noi riveliamo l'amore misericordioso di Gesù e ci manifestiamo figli fedeli del P. Dehon.
Con la speranza che ciò avvenga in tutta la Famiglia Dehoniana, auguro a tutti, a nome del Consiglio Generale e mio, una gioiosa festa del Sacro Cuore.
Caros irmãos e irmãs,
Este ano nossa festa principal coincide com o centenário da consagração do mundo ao Sagrado Coração, feita por Leão XIII a 11 de junho de 1899, logo depois da encíclica Annum Sacrum publicada a 25 de maio do mesmo ano. Mais uma vez somos interpelados pelo mistério do amor de Deus manifestado em Jesus Cristo. É um mistério que afeta nossa vida pessoal, a Instituição Dehoniana, bem como toda a família humana. De fato, "com a encarnação, o Filho de Deus, de certo modo, uniu-se a cada ser humano" (Gaudium et Spes, 22), tornando-se "nosso caminho para a casa do Pai", e "o caminho de cada homem" (Redemptor Hominis, 13).
Em Cristo, que partilha a condição humana e se insere em nossa história, Deus nos reconcilia consigo mesmo e entre nós, nos revela seu rosto e ilumina o autêntico sentido de nosso existir. Ele é a Boa Nova que o Pai pronuncia e repete sem interrupção ao mundo para conduzi-lo à salvação e à sua plena realização. Ele é a notícia que enche o universo de alegria e esperança. de paz e de amor, de justiça e de misericórdia, de dignidade e vida nova segundo o Espírito, da qual os pobres são os primeiros destinatários.
Clamor da humanidade
Reconciliação, amor, vida nova, ganham novo significado neste tempo de fim de milênio, atingido pela guerra, pela faxina étnica, pela marginalização, por milhares de refugiados e migrantes, pelo desemprego, pela pobreza crescente, pelas divisões e individualismo, pelo tribalismo e nacionalismo.
O clamor de quem sofre não pode mais ser contido. Nós o ouvimos em diversos lugares nos quais vivemos e trabalhamos e até bem perto de nossa casa, no mundo ocidental rico. Trata-se de um clamor ao qual não podemos esquivar-nos, nem nos considerar alheios ou inocentes, nem fechar os ouvidos.
Neste contexto a iminente celebração do Grande Jubileu reaviva em nós a necessidade de uma conversão radical e de um compromisso renovado pela nossa missão neste campo. Em sintonia com o que nos pede o Magistério da Igreja, no limiar do terceiro milênio, propus em novembro passado aos Superiores Maiores, reunidos em Roma, fazermos deste e do próximo ano um tempo de aprofundamento da espiritualidade e da práxis da reconciliação, uma reconciliação vivida, testemunhada e administrada no ministério.
Um desafio atual
A reconciliação é um tema necessário, atual, amplo, comprometedor e difícil. Constitui um desafio que por si mesmo nos impõe questionamentos fortes. Nós nos perguntamos: O que vai ficar nos corações dos povos envolvidos atualmente em guerra na Europa, na Ásia e na África? Quem haverá de sanar sua feridas profundas? O que poderá restituir a paz a tantas consciências perturbadas? Como haverão de encontrar de novo a alegria e o sentido da vida tantas pessoas e nações cuja história foi abalada, cujos sonhos foram desfeitos e muitas possibilidades de desenvolvimento foram tolhidas para sempre? O que há por detrás deste cenário trágico de dor e de morte e quais são nossas responsabilidades diante de tais fatos?
O problema da reconciliação não tem apenas a ver com estes grandes eventos mundiais. Ele se situa também no interior de nossa vida de Congregação, de nossas comunidades, e até, no segredo de nosso corações e de nossa história pessoal. Ele nos envolve em nosso cotidiano.
De Pe. Dehon herdamos uma sensibilidade especial pela dimensão social do Reino, a atenção aos clamores do mundo (cf. Const. 35-39) e um apelo à intimidade com o Senhor que nos permite encontrar os sinais de sua presença na vida dos homens (cf. Const. 28). Portanto, toda esta realidade descrita, em sua complexidade, não pode deixar-nos indiferentes.
Um dom de Deus
A reconciliação é um dom de Deus fora do alcance dos recursos humanos. Todos temos consciência de nossa incapacidade de resolver os problemas e dramas da humanidade e os nossos.
De fato, a reconciliação exige o perdão e a superação do pecado, causa de todos os males. É necessário restituir à pessoa humana sua dignidade original de filho de Deus; restabelecer o diálogo, a mútua compreensão e a amizade destruída; destruir os muros da divisão e da separação entre pessoas e povos; reunir os dispersos; suscitar uma consciência de fraternidade e solidariedade; restabelecer o equilíbrio na criação que partilha a sorte da espécie humana.
A iniciativa da reconciliação vem de Deus que nos amou por primeiro (cf. 1Jo 4, 10.19), enquanto éramos ainda pecadores, reconciliando-nos, por meio da morte e ressurreição de seu Filho, consigo mesmo, com os outros e com a criação inteira (cf Rm 5, 8-11; 8, 19-21; Ef 2, 13-17; Col 1, 19-22).
É um dom que supera amplamente o mal que o homem produziu e o bem que pode fazer. Reconciliação, libertação, salvação se equivalem e evidenciam tudo o que acontece no mistério da redenção oferecida por Cristo.
Trata-se de um bem que deve ser pedido, acolhido e guardado com reconhecimento e amor. Desde o início de nosa formação fomos educados a encontrá-lo no Coração de Cristo invocado como "nossa paz e reconciliação".
Projeto de Cristo, caminho para o cristão
Jesus, ao iniciar sua missão anunciando a Boa Nova aos pobres, a libertação dos oprimidos e sofredores e a proclamação de um ano de graça do Senhor (cf. Lc 4, 18-19; 7, 21.23), oferece o perdão do Pai e estabelece um projeto de reconciliação para toda a humanidade. É um projeto que ele realiza em sua própria pessoa: no mistério da encarnação, em sua práxis apostólica, em sua morte e ressurreição, na efusão do Espírito. Ele faz assim o dom gratuito de si mesmo até dar, através de sua morte, a maior prova de amor, em conformidade à vontade do Pai, para conduzir à unidade os filhos de Deus dispersos (cf. Jo 11, 52).
Nós, enquanto crentes, inseridos neste projeto pelo batismo, o celebramos na Eucaristia e na Reconciliação sacramental. A reconciliação torna-se, para nós, um caminho de vida e um compromisso de amor aos irmãos, seguindo o nexo obrigatório entre a reconciliação oferecida e a caridade, a justiça, a misericórdia e o perdão dos irmãos. Há uma relação indissolúvel entre a consciência de paternidade de Deus e a fraternidade humana, entre o perdão e a remissão das dívidas, por parte de Deus e nossa disposição de perdoar as ofensas dos outros, entre o culto de Deus e a vida social, entre o amor de Deus e do próximo, entre a profissão de fé e a prática da caridade.
Já no Antigo Testamento os profetas eram arautos desta unidade de vida refuntando o culto vazio de reconciliação. Ao Senhor agradava o sacrifício do coração, a obediência da fé, a misericórdia e o perdão, a assistência ao necessitado, a defesa e o sustento do órfão, da viúva e do estrangeiro. A novidade do evangelho será sempre a de descobrir a imagem viva do Senhor nos pequenos, nos pobres e nos últimos, de ir à raiz do mal arrancando do coração o homem os sentimentos de egoísmo e de hipocrisia, de ódio e de vingança. Um ponto de referência é a perfeição do Pai cuja misericórdia somos convidados a imitar, assumindo o preceito do amor e constituindo com Cristo seu corpo místico e a comunidade de amor que é a Igreja.
A reconciliação da humanidade já foi amplamente realizada em Cristo mas se completa no curso da história com a nossa participação (Cf Col 1, 24). Isto acontece através do ministério da reconciliação a nós confiado pelo próprio Senhor (cf IICor 5, 18-20), que em nós confiou plenamente e usou de misericórdia para conosco (cf ITim 1, 12-14).
Sob esta perspectiva entende-se o que rezam nossas Constituições quando dizem que somos "profetas do amor e servidores da reconciliação dos homens e do mundo em Cristo", seguindo o que Pe. Dehon espera de seus religiosos (Const. 7).
Exigência morais e expressões concretas da reconciliação
O caminho da reconciliação tem exigências éticas e expressões concretas que nos tocam de perto não importa qual seja nossa vocação. Resumidamente, tais exigências são a fraternidade, a solidariedade, a tolerância, a justiça, a caridade, o perdão e a misericórdia, o diálogo e, inclusive, o carregar com alegria o fardo de nossos irmãos. Somos chamados a privilegiar esta atitude de nos inclinar-nos com compaixão diante das misérias alheias. Inclinar-nos até comprometer nosso coração indo para além dos limites da lei e da justiça estrita. "A experiência do passado e do nosso tempo demonstra que a justiça não basta por si só e pode até levar à negação de si mesma se não ceder espaço àquela força mais profunda que é o amor, de modo a plasmar a vida humana em suas várias dimensões" (Dives in Misericórdia, 12).
Nossa Regra de Vida dedica amplo espaço a este temas ao nos propor um modo dehoniano de seguimento de Cristo, no serviço ao Reino e na comunidade dos discípulos (cf. n. 9-85).
É um tema recorrente nos escritos do Fundador. Aparece muito nas Notes Quotidiennes e em suas cartas, quando trata da justiça e da caridade para com o pobres, da relações entre comunidades e províncias que criam obstáculos para a realização plena do Sint Unum.
Na aurora deste século, em Roma, Pe. Dehon pronuncia conferências, acompanhadas de um público numeroso, para difundir as orientações sociais e políticas de Leão XIII, tentando promover uma sociedade nova, fundada no Evangelho. "Qual é a política do Evangelho?", perguntava. "Quais são os alvos sociais do Salvador? Ele veio em socorro dos pequenos... A vida de Nosso Senhor, todos os seus exemplos, todos os seus ensinamentos têm o mesmo escopo: o alívio dos pequenos através da caridade cristã, que é como o eflúvio da caridade divina, e através da justiça cristã que não faz acepção de pessoa. Às exigências da justiça e da filantropia ele acrescenta os impulsos da caridade cristã" (Ouvres Sociales, vol. III, p. 316).
Num conflito entre províncias ele escreve a 02.12.1911: "Apelo ao vosso bom coração. Devemos encerrar este disputa entre províncias a qualquer custo, caso contrário, arruinamos tudo: a caridade, a paz, a honra da Congregação. Creio firmemente que o Sagrado Coração nos pede a promoção da paz nas circunstâncias atuais. Para mim, preferiria morrer a ver desaparecer a paz e a caridade de nosso meio".
Aos noviços ele escreve: "Rezemos muito uns pelos outros. Amemo-nos. Evitemos as críticas, as divisões, o mau espírito que é como uma peste" (8 May 1910).
No início de 1910 ele escreve: "Sinto a necessidade de trocar algumas idéias convosco. Filhos do Sagrado Coração, devemos ter, antes de tudo, o ideal de formar entre nós um só coração e uma só alma em união ao Coração de Jesus...".
Em 1912: "Somos uma família de irmãos. Amai-vos uns aos outros. Eu vos peço como São João: não haja divisões entre vós. Passemos por cima de tudo para permanecermos unidos. Suportemos com paciência as ofensas e os atritos. Amemos todas as nações. No céu não haverá mais nações.
O serviço da reconciliação: "Deixai-vos reconciliar comDeus" (IICor 5, 20).
Esta admoestação de Paulo estava dirigida à comunidade de Corinto que, no fervor do cristianismo inicial, vivia entre tensões e divisões internas. Tomada em seu sentido teologal, a expressão se traduz num convite a fazer a experiência profunda da reconciliação. O que vos digo agora, mesmo valendo para toda a família dehoniana, referem-se especialmente aos membros da Congregação SCJ.
Enquanto pessoas, comunidades, Províncias e Congregação temos necessidade de reconciliar-nos. Também nós somos chamados àquela conversão proposta à toda a Igreja neste Ano Jubilar, a uma reconciliação entendida como libertação do pecado e escolha dos valores evangélicos (cf. Tertio Millennio Adveniente, 33-36.50). A bula "Incarnationis Mysterium", n. 11, nos convida à "purificação da memória", a acolher o apelo a um sério exame de consciência.
É dever nosso reconhecer nossas feridas, nossos contratestemunhos, aqueles pecados que, como pessoas e instituições, obscurecem o rosto da Igreja e esterilizam o serviço ao Reino.
-Como pessoas, muitos de nós temos necessidade de reconciliar-nos conosco mesmos e com nossa história pessoal, com alguns confrades e superiores, com nossa comunidade e com a Província, com alguns membros do povo de Deus e com a Igreja, da qual muitas coisas nos inquietam e a deixamos de tratar como nossa mãe.
Cada um de nós tem dívidas a pagar e a perdoar, dívidas pessoais ou na administração de instituições.
- Assim devemos respeitar a dignidade das pessoas e estabelecer relações corretas com nossos funcionários e dependentes, dando-lhes o salário justo e garantindo-lhes os devidos benefícios sociais, isto também no espírito do Jubileu.
- Temos necessidade de nos olharmos no rosto e olhar a páginas da história de nossas províncias sob a luz do amor misericordioso de Deus, mesmo sendo um Instituto novo e agindo na humildade, distantes dos grandes centros do poder eclesial, político e civil.
É, sem dúvida, um serviço de reconciliação o testemunho de nossa internacionalidade em comunidades alegres e fraternas, como também é a nossa comunhão de pessoas, a colaboração nos projetos e a partilha dos bens, superando as barreiras das Províncias e nações, das raças e tribos.
- As próprias relações entre os vários componentes da família dehoniana deveriam estar baseadas nestes apelos de reconciliação.
- Ainda como exigência de reconciliação, algumas Províncias estão tendo gestos de aproximação e de perdão com ex-membros da Congregação, com os quais tiveram conflitos que deixaram sequências.
Não podemos permanecer indiferentes nem sentirmo-nos inocentes com respeito a certos males eclesiais, sociais e estruturais de hoje. Pouco comprometidos no diálogo ecumênico e inter-religioso e na inculturação do evangelho, acontece-nos alimentar ressentimentos e divisões, sustentar uma mentalidade burguesa, de exploração dos pobres, partilhar uma cultura de morte e de guerra, porque somos carentes de espírito crítico da história ou alienados pelos poderosos.
-Nossa Regra de Vida nos faz ultrapassar os limites da Congregação e da Igreja, "chama nossa atenção aos apelos que nos chegam através dos acontecimentos pequenos e grandes, das expectativas e realizações humanas" (Const. 35). Sentimo-nos envolvidos no esforço de "libertação de tudo quanto fira a dignidade do homem e ameace a realização de suas mais profundas aspirações: a verdade, a justiça, o amor, a liberdade (cf. GS 26-27)" (Const. 36).
Queremos, portanto, ser solidários com aqueles que trabalham para construir uma ordem jurídica, social, econômica e política mais justa, solidária e humana; mais atentos às necessidades dos pobres, dos marginalizados e doa excluídos dos bens da terra e do anúncio do Evangelho. Solidários com os que lutam pelas grandes causas humanas: Justiça e Paz, Movimentos pelos Direitos Humanos, Luta pela Redução e Perdão da Dívida externa dos países pobres, Salvaguarda da Criação. Somos chamados a colaborar com todos os construtores da paz, na defesa da cultura da vida, no respeito ao pluralismo e na valorização da crítica das diversas culturas.
Os sinais da reconciliação
-Nossas Constituições nos dizem: "Segundo o convite constante do Senhor à conversão estaremos atentos a discernir o pecado na nossa vida;
A um sério e sincero exame de consciência sobre nosso dever de "deixar-nos reconciliar com Deus" deveria seguir uma solene celebração do Sacramento da Reconciliação, como expressão da renovação de nossa condição batismal e da eficaz construção da comunhão eclesial. Teremos nós a coragem de fazer este gesto solene em nossas comunidades?
- Como sinal da reconciliação com a Igreja, as diversas partes da Congregação (Províncias, Regiões e Distritos) são chamadas a rever sua inserção e seu estilo de presença e de testemunho nas áreas de atuação (Const 34.111); a rever o estilo de estar em missão, nossas opções apostólicas. Trata-se de redefinir um projeto local, mediante opções pastorais mais específicas, reformulando o projeto da comunidade local e da Província, alinhando-o com o projeto geral "Nós Congregação, a serviço da missão". Este é um compromisso de deixar-se reconciliar, saindo de situações genéricas e insignificantes que não fazem bem às pessoas (cf. Const. 70.73.74; DG 59).
Nesta redifinição dos projetos pastorais deve-se acentuar a dimensão reparadora e social de nosso carisma através de opções concretas significativas que venham a responder a alguns dos grandes desafios do território onde atuamos.
- Nas comunidades locais são expressão de reconciliação a revisão de vida e outras formas de confronto que nos ajudam a "reavivar em todos uma verdadeira disponibilidade para um crescimento real na unidade e para um autêntico testemunho que devemos dar através de nossa vida comum" (Ratio Formationis Generalis, 4.2.3.c).
- Enfim, sempre no contexto do "deixar-se reconciliar com Deus", a próxima Conferência Geral sobre a Economia e o Reino de Deus deveria tornar-se um acontecimento reconciliador, capaz de produzir uma verdadeira renovação na Congregação e no cumprimento de nossa missão.
Sensíveis como o bom samaritano
Para uma instituição que tem 122 anos de vida como a nossa não é fácil encontrar um modo novo de sinalizar. É mais fácil sonhar e fazer pequenos ajustes que mudanças significativas. Se eles não acontecem não se pode falar de verdadeira conversão.
A Congregação detém reservas espirituais, herdadas junto com o carisma, que têm condições de provocar o salto de qualidade que se espera hoje de nós.
Com o coração sensível às necessidades alheias, como o bom samaritano, seremos capazes de acolher o hoje de Deus. A solidariedade efetiva impõe muitas mudanças de rota, de projetos na disponibilidade ao Espírito. Nós também, dobrando-nos com compaixão diante das misérias humanas, possamos proclamar a Boa Nova aos pobres e um ano de graça do Senhor, fazendo de nossa vida um caminho de reconciliação em Cristo.
Desta forma revelaremos o amor misericordioso de Jesus e nos manifestaremos filhos fiéis a Pe. Dehon.
Na esperança que isto venha a acontecer no âmbito de toda a Família Dehoniana, desejo a todos, em nome do Conselho geral e de meu próprio, uma alegre festa do Sagrado Coração de Jesus.
Chers frères et soeurs,
Cette année, notre fête patronale coïncide avec le centenaire de la Consécration du monde au Sacré-Coeur, faite par Léon XIII le 11 juin 1899, à la suite de l'encyclique "Annum Sacrum" publiée le 25.05.1899. Une fois encore, nous sommes interpellés par le mystère de l'amour de Dieu manifesté en Jésus-Christ, mystère qui touche notre vie personnelle, l'institution Dehonienne et toute la famille humaine. En effet, "par son incarnation, le Fils de Dieu s'est en quelque sorte uni lui-même à tout homme" (Gaudium et Spes, 22), en devenant "notre route vers la maison du Père", et "le chemin pour chaque homme" (Redemptor Hominis, 13).
Dans le Christ, qui partage la condition humaine et s'insère dans notre histoire, Dieu nous réconcilie avec lui-même et entre nous, il nous révèle son vrai visage et éclaire le sens authentique de notre existence. Il est la Bonne Nouvelle que le Père annonce et répète sans cesse à notre monde pour le conduire au salut et à sa réalisation complète. Il est la "Nouvelle" qui comble l'univers de joie et d'espoir, de paix et d'amour, de justice et de miséricorde, de dignité et de vie nouvelle selon l'Esprit, et ce sont les pauvres qui en sont les premiers destinataires.
Cri de l'humanité
Réconciliation, amour, vie nouvelle acquièrent une signification particulière en cette fin de millénaire, agitée par les événements douloureux de la guerre, de la purification ethnique, des exclusions, des milliers de réfugiés et d'immigrés, par le chômage et l'appauvrissement croissant, par des divisions et des revendications individuelles, tribales ou nationalistes allant à l'encontre de l'intérêt commun...
Le cri de ceux qui souffrent aujourd'hui est insoutenable. Nous l'écoutons en bien des endroits où nous vivons et travaillons, y compris aux portes du riche monde occidental. C'est un cri auquel nous ne pouvons ni nous soustraire, ni nous déclarer étrangers ou totalement innocents, auquel nous ne pouvons fermer nos oreilles.
Dans ce contexte, la célébration imminente du Grand Jubilé ravive en nous la nécessité d'une conversion radicale et d'un engagement renouvelé dans notre mission, particulièrement dans le service "de la réconciliation des hommes et du monde dans le Christ" (Cst 7).
Déjà le XX° Chapitre Général a voulu exprimer à plusieurs reprises la richesse de notre mission dans ces termes. À partir de cette insistance, en accord avec ce qui nous est indiqué par le Magistère de l'Église, au seuil du troisième millénaire, en novembre dernier j'ai proposé aux Supérieurs Majeurs SCJ, réunis à Rome, de faire de cette année et de l'année prochaine un temps d'approfondissement de la spiritualité et de la pratique de la Réconciliation: une réconciliation vécue, témoignée et servie dans le ministère.
Un défi actuel
La Réconciliation est un sujet nécessaire, actuel, vaste, important et difficile. Il constitue un défi qui, par lui-même, nous pose d'importantes questions. En effet nous nous demandons: dans tous les pays du monde actuellement en guerre, comme en l'Europe, en Afrique et en Asie, que restera-t-il dans le coeur des gens et des peuples qui y sont impliqués après ces conflits atroces? Qui guérira leurs blessures les plus profondes? Qu'est-ce qui peut rendre la paix à tant de consciences bouleversées? Comment pourront-elles retrouver la joie et le sens de la vie toutes ces nombreuses personnes, ces nations dont l'histoire est aujourd'hui démolie, dont les rêves ont été brisés et pour qui beaucoup de possibilités de développement ont été bloquées pour toujours? Qui se cache derrière ce décor de douleur et de mort, et quelles sont nos responsabilités et nos obligations dans ces faits?
La question de la réconciliation ne concerne pas uniquement les grands événements mondiaux; elle se pose aussi à l'intérieur de notre Congrégation, dans chacune de nos communautés et même dans l'intimité de notre coeur et de notre histoire personnelle; elle nous engage dans notre vie de tous les jours.
Nous avons hérité du P. Dehon une sensibilité particulière à la dimension sociale du Royaume, une attention aux appels du monde (cf. Cst 35-39), et un rappel à une intimité avec le Seigneur qui nous permet de trouver les signes de sa présence dans la vie des hommes (cf. Cst 28). Par conséquent, toute la réalité que l'on vient de décrire, en sa complexité et en ses exigences, ne peut pas nous laisser indifférents.
Un don de Dieu
Cependant, la Réconciliation est un don de Dieu, inaccessible aux seuls efforts humains. Nous sommes tous conscients de notre incapacité à résoudre totalement les drames de l'humanité et nos propres drames.
En effet, elle implique le pardon et le dépassement du péché, cause de tout mal. Elle comporte de rendre à la personne humaine sa dignité originelle de fils de Dieu, grâce à l'Esprit-Saint qui y établit sa demeure; de rétablir le dialogue, l'entente réciproque et l'amitié brisée; d'abattre les murs de division et de séparation entre les personnes et les peuples, de rassembler les dispersés; de susciter une conscience de fraternité et de solidarité; de rétablir l'équilibre dans la création qui partage le sort de l'homme.
L'initiative de la réconciliation vient de Dieu qui nous a aimé le premier (cf. 1 Jn 4,10.19), quand nous étions encore des pécheurs, en nous réconciliant, par la mort et la résurrection de son Fils, avec lui-même, avec les autres êtres humains et avec la création toute entière (cf. Rm 5,8-11; 8,19-21; Ep 2,13-17; Col 1,19-22).
C'est un don qui dépasse largement le mal que l'homme a produit et le bien qu'il peut faire. Réconciliation, libération, salut... signifient la même chose et mettent en évidence tout ce qui se produit dans le mystère de la rédemption offerte dans le Christ.
Il s'agit donc d'un bien qui doit être imploré, recherché, activement accueilli et gardé avec reconnaissance et amour. Depuis le début de notre formation, nous avons été éduqués à le trouver dans le Coeur de Christ, invoqué comme "notre Paix et notre Réconciliation".
Projet de Christ, chemin pour le chrétien
Jésus, en commençant sa mission par l'annonce de la Bonne Nouvelle aux pauvres, de la libération des opprimés et des souffrants et par la proclamation d'une année de grâce du Seigneur (cf. Lc 4,18-19; 7,21.23), offre le pardon du Père et définit un projet de réconciliation pour toute l'humanité.
C'est un projet qu'il réalise dans sa propre personne: dans le mystère de l'incarnation, dans la pratique de son apostolat, dans sa mort et résurrection pascale et dans l'effusion de l'Esprit. Il fait ainsi le don gratuit de lui-même jusqu'à donner, par sa propre mort, la preuve du plus grand amour, en adhérant à la volonté du Père, pour mener à l'unité les fils de Dieu qui étaient dispersés (cf. Jn 11,52).
En tant que croyants, insérés par le baptême dans ce projet, nous le célébrons dans l'eucharistie et dans la Réconciliation sacramentelle. La réconciliation devient ainsi pour nous chemin de vie et engagement d'amour pour Dieu et pour les frères, en raison du lien indissoluble entre la réconciliation offerte et les rapports de charité, de justice, de miséricorde et de pardon avec les frères. C'est une relation inséparable entre la conscience de la paternité de Dieu et celle de la fraternité humaine; entre le pardon et la rémission des péchés, de la part de Dieu et notre disponibilité à pardonner et à remettre, à notre tour, les offenses et les dettes d'autrui; entre le culte de Dieu et la vie sociale; entre l'amour de Dieu et l'amour du prochain; entre la profession de foi et la pratique de la charité.
Déjà dans l'ancien Testament les prophètes étaient les hérauts de cette unité de vie, en repoussant avec dédain un culte, privé d'actes de réconciliation. Le Seigneur appréciait le sacrifice du coeur, l'obéissance de la foi, la miséricorde et le pardon, l'assistance de l'indigent, la défense et le soutien de l'orphelin, de la veuve et de l'étranger.
La nouveauté de l'Évangile c'est de découvrir dans les petits, les pauvres, les derniers, une image vivante du Seigneur; d'aller à la racine du mal, en déracinant du coeur humain les sentiments d'égoïsme et d'hypocrisie, de haine et de vengeance. Le point de référence c'est la perfection du Père, dont nous sommes invités à imiter la miséricorde, en assumant le commandement de l'amour, en formant avec le Christ son corps mystique et la communauté d'amour qu'est l'Église.
La réconciliation de l'humanité a déjà été réalisée et achevée dans le Christ, mais elle doit être complétée tout au long de l'histoire par notre participation (cf Col 1, 24). Cela se produit à travers le ministère de réconciliation, qui nous a été confié par le Seigneur lui-même(cf 2Co 5, 18-20) qui a eu pleine confiance en nous et qui a usé de sa miséricorde gratuite à notre égard (cf 1Tm, 1, 12-14).
C'est dans cette perspective, que l'on doit comprendre ce qu'exigent nos Constitutions lorsqu'elles nous demandent d'être "des Prophètes de l'amour et des serviteurs de la réconciliation des hommes et du monde dans le Christ", dans la ligne de ce que le Père Dehon attend de ses religieux (Cst 7).
Exigences morales et expressions concrètes de la Réconciliation
Le chemin de la réconciliation a des exigences éthiques et des expressions concrètes qui nous touchent de près, quelle que soit notre vocation. En les résumant schématiquement, ce sont la fraternité et la solidarité, la justice et la charité, le pardon et la miséricorde, le dialogue et la tolérance allant jusqu'à porter avec joie le poids et les faiblesses de nos frères. Parmi toutes ces expressions, nous dehoniens, nous donnons une signification et une importance particulières à la "miséricorde". Nous sommes appelés à privilégier l'attitude qui consiste à nous pencher avec compassion sur la misère des autres, nous pencher jusqu'à y engager notre coeur, en dépassant les limites de la loi et de la stricte justice. "L'expérience du passé et de notre temps démontre que la justice ne se suffit pas à elle seule, et même qu'elle peut conduire à sa propre négation et à sa propre ruine, si on ne permet pas à cette force plus profonde qu'est l'amour de façonner la vie humaine dans ses diverses dimensions" (Riches en Miséricorde, 12).
Notre Règle de Vie consacre d'amples passages à ces sujets lorsqu'elle nous propose la manière dehonienne de suivre le Christ, dans le service du Royaume et dans la communauté des disciples (cf. n. 9-85).
C'est un sujet qui revient très souvent dans les écrits du Père Dehon. Il est particulièrement vivant dans ses Notes Quotidiennes et dans ses lettres, quand il doit affronter des questions particulières de la justice et de la charité envers les pauvres, de la charité fraternelle entre les personnes, des relations entre les communautés et les provinces qui entravent la réalisation parfaite et cordiale du Sint Unum.
À l'aube de notre siècle, à Rome, le Père Dehon donne des conférences, suivies par un public nombreux et attentif, pour répandre les orientations sociales et politiques de Léon XIII, en essayant de promouvoir une nouvelle société, empreinte de l'Évangile. "Quelle est la politique de l'Évangile"?, disait-il. "Quelles ont été les visées sociales du Sauveur? Il est venu pour relever les petits... Toute la vie de Notre Seigneur, tous ses exemples, tous ses enseignements tendent au même but: le relèvement des petits par la charité chrétienne qui est comme un écoulement de la charité divine et par la justice chrétienne qui ne fait pas acception de personnes... Aux règles de la justice et de la philanthropie, il ajoute les impulsions de la charité chrétienne"(Oeuvres Sociales, vol. III, p. 316).
Dans un conflit entre Provinces, le 02.12.1911, il écrit: "Je fais appel à votre bon coeur. Il faut à tout prix terminer la différence entre les deux Provinces. Autrement nous gâtons tout: la charité, l'union, la paix et l'honneur de la Congrégation,…..Je croix bien que le S. Coeur demande de vous que vous aidiez à la paix dans les circonstances actuelles. Pour moi, j'aimerais mieux mourir que de voir la paix et la charité se perdre parmi vous ".
Et aux novices: "Prions bien les uns pour les autres. Aimons-nous les uns les autres. Fuyons les critiques, les divisions, le mauvais esprit, comme la peste " (8 May 1910).
Au début de l'année 1910, il écrit: "J'éprouve le besoin d'échanger avec tous quelques pensées. Enfants du Sacré-Coeur, nous devons avoir plus que personne cet idéal de ne former entre nous qu1un coeur et un âme, en union avec le Coeur de Jésus."
Et en 1912 (il dit): "Nous sommes une famille de frères…Aimez-vous les uns les autres. Je vous en supplie, comme faisait saint Jean : pas de divisions entre vous. Passons par-dessus tout pour rester unis. Supportons patiemment les offenses ou les froissements. Aimons toutes les nations. Il n'y aura plus de nations au ciel"
Le service de la réconciliation: "Laissez-vous réconcilier avec Dieu" (2 Co 5,20)
Cette avertissement de St Paul était adressé à la communauté de Corinthe qui, tout en vivant dans une ferveur chrétienne initiale, était déchirée par des tensions et des divisions internes. Entendue cependant dans son sens théologal, elle devient pour nous une invitation à faire une expérience profonde de réconciliation. Ce que je vais dire maintenant, même si cela s'adresse à toute la Famille Dehonienne, concerne plus directement les membres de la Congrégation SCJ.
En tant que personnes, communautés, Province et Congrégation SCJ, nous avons besoin de nous réconcilier. Nous aussi, nous sommes appelés à cette conversion qui est proposée à toute l'Église pour l'Année Jubilaire; à la réconciliation entendue comme libération du péché et comme choix des valeurs évangéliques (cf. Tertio Millennio Adveniente, 33-36.50). La bulle "Incarnationis Mysterium", n. 11 nous invite en outre à la "purification de la mémoire", à accueillir l'appel à un sérieux examen de conscience.
Nous devons reconnaître nos plaies, nos blessures non cicatrisées, nos contre-témoignages, nos péchés qui, aussi bien en tant que personnes qu'en tant qu'Institution, obscurcissent le visage de l'Église et rendent stérile notre service du Royaume.
- En tant que personnes, nous sommes nombreux à avoir besoin de nous réconcilier avec nous-mêmes et avec notre histoire personnelle, avec quelques confrères ou avec certains supérieurs, avec notre communauté ou avec notre Province, avec quelques personnes du peuple de Dieu ou avec l'Église elle-même dont certaines choses nous inquiètent et que nous ne traitons pas toujours comme notre mère.
Chacun de nous a des dettes dont il doit s'acquitter et des dettes à remettre, des dettes encourues personnellement ou fruit d'une gestion institutionnelle, mais qui, pour autant, n'en sont pas moins importantes et ne diminuent pas nos responsabilités.
- Nous devons ainsi respecter la dignité des personnes et instaurer des rapports corrects avec nos employés et dépendants, en leur donnant un salaire juste et en garantissant leurs droits sociaux, et ceci aussi dans l'esprit du Jubilé.
- Nous avons besoin de nous regarder en face et de relire l'histoire de nos Provinces à la lumière de l'amour miséricordieux de Dieu, même si nous sommes un Institut jeune et si nous oeuvrons dans l'humilité, loin des grands centres du pouvoir ecclésial, politique ou civil.
Le témoignage de notre internationalité en communautés fraternelles et joyeuses est, sans doute, un service de réconciliation; comme aussi notre communion de personnes, la collaboration dans des projets et le partage des biens, en dépassant les barrières des provinces et des nations, des races et des tribus.
- Même les rapports entre les différents composants de la Famille Dehonienne devraient être fondés sur cet appel à la réconciliation.
- Toujours pour répondre à l'exigence de réconciliation, quelques Provinces sont en train d'accomplir des gestes d'approche et de pardon envers des anciens membres de la Congrégation avec lesquels il y a eu des conflits et qui nous ont quitté avec des ruptures.
- Nous ne pouvons pas rester indifférents ni nous sentir complètement innocents par rapport à certains maux ecclésiaux, sociaux ou structurels, qui portent préjudice à l'accueil du Royaume. Peu engagés dans le dialogue oecuménique et inter-religieux, et dans l'inculturation de l'Évangile, il nous arrive même d'alimenter des ressentiments et des divisions, d'entretenir une mentalité bourgeoise qui exploite le pauvre; de partager une culture de la mort et de la guerre parce que nous manquons de sens critique de l'histoire ou parce que nous sommes plus du côté du puissant que du côté du faible...
- Notre Règle de Vie nous fait dépasser les limites de la Congrégation et de l'Eglise, elle "nous rend attentifs aux appels qu'il nous adresse à travers les événements petits et grands et dans les attentes et réalisations humaines" (Cst 35). Nous nous sentons engagés dans l'effort de "libération de tout ce qui blesse la dignité de l'homme et menace la réalisation de ses aspirations les plus profondes: la vérité, la justice, l'amour, la liberté (cf GS 26-27)" (Cst 36)
Nous voulons donc être solidaires de ceux qui travaillent pour construire un ordre juridique, social, économique et politique plus juste, plus solidaire et plus humain; plus attentifs aux besoins des pauvres, de ceux qui vivent en marge de la société et de ceux qui sont exclus des biens de la terre et de l'annonce de l'Evangile. Nous voulons être solidaires avec ceux qui luttent pour les grandes causes humaines: la Justice et la Paix, les Mouvements pour les droits de l'homme, la Lutte pour la Réduction et la remise de la dette étrangère des pays les plus pauvres, la Sauvegarde de la Création. Nous sommes appelés à collaborer avec tous ceux qui construisent la paix, à la défense de la culture de la vie, au respect des pluralismes, et à la valorisation critique des différentes cultures.
Les signes de la Réconciliation
- Nos Constitutions nous demandent: "Selon l'appel constant du Seigneur à la conversion, nous serons attentifs à discerner le péché dans nos vies; nous aurons à coeur de célébrer fréquemment son pardon dans le sacrement de la réconciliation" (Cst 79).
Un sérieux et sincère examen de conscience sur notre devoir de nous "laisser réconcilier avec Dieu", devrait être suivi d'une célébration solennelle du Sacrement de la Réconciliation comme expression du renouvellement de notre condition baptismale et de la construction de la communion ecclésiale. Aurons-nous le courage de faire ce geste solennel dans nos communautés?
- Comme signe de réconciliation avec l'Église, les différentes parties de la Congrégation (Provinces, Régions et Districts) sont appelées à repenser leur insertion et leur style de présence et de témoignage sur le terrain (Cst 34.144); à revoir notre manière d'être en mission "aujourd'hui", avec des choix apostoliques plus spécifiques et charismatiquement incisifs. Il s'agit de redéfinir le projet local de chacune des communautés et le projet particulier des Provinces, Régions et Districts c'est-à-dire, de le mettre en harmonie avec le projet général "Nous Congrégation au service de la Mission". C'est cela le haut engagement de "se laisser réconcilier", en sortant des situations vagues ou insignifiantes, qui ne font de bien à personne (cf. Cst 70.73.74; DG 59).
Dans cette redéfinition des projets particuliers, on devra accentuer la dimension réparatrice et la dimension sociale de notre charisme par des oeuvres significatives qui doivent répondre à quelques-uns des grands défis que l'on décèle sur le terrain.
- Dans les communautés locales, les expressions de réconciliation sont la révision de vie et d'autres formes de confrontation qui, selon les indications des Cst 60-75 nous aident "à raviver en tous une vraie disponibilité, pour une croissance réelle dans l'unité et pour l'authenticité de témoignage que, par là, nous devons donner" (Ratio Formationis Generalis, 4.2.3.c).
- Enfin, toujours dans le contexte de "nous laisser réconcilier avec Dieu", la prochaine Conférence Générale sur l'économie et le Royaume de Dieu devrait s'inscrire comme un événement de réconciliation, capable de produire un vrai renouvellement dans la Congrégation et dans l'accomplissement de notre mission.
Sensibles comme le bon Samaritain
Pour toute institution qui, comme la nôtre, a derrière elle 122 ans de vie, il n'est pas facile de faire des pas concrets qui marquent une nouveauté de vie. Il est plus facile de rêver et de faire de petites adaptations que de produire des changements significatifs. Mais si ces derniers ne se produisent pas, on ne peut parler d'une vraie conversion.
La Congrégation a cependant des ressources spirituelles, héritage d'un charisme spécifique, qui sont en mesure de provoquer ce saut de qualité que le monde, aujourd'hui, attend de nous.
Avec un coeur sensible aux besoins d'autrui comme le coeur du Bon Samaritain, nous serons capables d'accueillir l'aujourd'hui de Dieu. La solidarité effective impose souvent un changement de route, une modification de ses projets, une disponibilité devant la nouveauté de l'Esprit. Nous aussi, en nous penchant avec compassion sur la misère humaine, nous pouvons proclamer la Bonne Nouvelle aux pauvres et une année de grâce du Seigneur en faisant de notre vie un chemin de réconciliation dans Christ.
Ainsi nous révélons l'amour miséricordieux de Jésus et nous nous manifestons comme fils fidèles du P. Dehon.
En espérant que cela se produira dans toute la Famille Dehonienne, je vous souhaite à tous, au nom du Conseil Général et au mien, une joyeuse fête du Sacré Coeur.
Dear brothers and sisters,
This year our congregational feast falls on the centenary of the Consecration of the World to the Sacred Heart, an act performed by Leo XIII on 11 June 1899, following upon the Encyclical, "Annum Sacrum", which he published on 25 May 1899. Once again we are challenged by the mystery of the Love of God manifest in Christ Jesus, a mystery that affects our personal life, the Dehonian Institute, and the whole human family. Indeed, "through his incarnation the Son of God has in a certain way united himself to every person" (Gaudium et Spes, 22), becoming "our way to the house of the Father" and "the way for every person" (Redemptor Hominis, 13).
In Christ, who shares our human condition and is inserted into our history, God reconciles us with himself and with one another, reveals his true countenance to us and sheds light on the genuine meaning of our existence. He is the Good News that the Father says and repeats unceasingly to our world in order to lead it to salvation and its total fulfilment. He is the "News" that fills the universe with joy and hope, with peace and love, with justice and mercy, with dignity and new life according to the Spirit, and the poor are the primary recipients of it.
A cry for unity
Reconciliation, love, new life, all take on a special meaning as we approach the end of this millennium, shaken by the tragic events of war, ethnic cleansing, marginalisation, of thousands of refugees and immigrants, of unemployment, increased poverty, and of division and individualistic, tribal and nationalistic claims that sacrifice the common good.
The cry of those who suffer today cannot be contained. We hear it in the many places where we live and work, even at the doors of houses in the prosperous western world. It is a cry that we cannot ignore, from which we cannot consider ourselves immune or totally innocent, nor can we close our ears to it.
In this context, the imminent celebration of the Great Jubilee reawakens in us the necessity of a radical conversion and a renewed commitment to our mission, especially in service of "reconciliation of people and the world in Christ" (Const. 7).
The 20th General Chapter repeatedly expressed the richness of our mission in these terms. With this insistence as a point of departure, and in harmony with what has been indicated to us by the Church's Magisterium, last November I suggested to the SCJ Major Superiors who were gathered in Rome, to make this year and next year a time for delving deeper into the spirituality and practice of Reconciliation: a reconciliation that is experienced, witnessed to and served in ministry.
A timely challenge
Reconciliation is a theme that is necessary, timely, broad, demanding and difficult. It is a challenge that, of itself, poses many questions for us. Indeed, it asks us: in all the countries of the world currently at war, as in Europe, Africa and Asia, what will stay in the hearts of the individuals and peoples involved when these atrocious conflicts are ended? Who will heal their deepest wounds? What is capable of restoring peace to these troubled consciences? So many individuals and nations have had a troubled history, their dreams have been crushed, and their many opportunities for development have been stopped forever; how will they rediscover joy? Who is behind this scenario of suffering and death, what responsibility do we have, and what is our role in these events?
The problem of reconciliation does not only concern great events on the world scale, but also touches the internal life of our Congregation, our individual communities, and even the secret of our heart and our personal history; it involves our day-to-day living.
From Father Dehon we have inherited a special sensitivity to the social dimension of the Kingdom, an attentiveness to the world's appeals (cf. Const. 35-39), and a call to an intimacy with the Lord that allows us to find signs of his presence in the life of people (cf. Const. 28). Therefore, the situation that has been described, with all its complexity and exigencies, cannot leave us indifferent.
A gift from God
Reconciliation is, however, a gift from God, and cannot be attained by mere human efforts. We are all aware of our inadequacies in resolving the problems of humanity and our own deepest problems.
Indeed, it demands forgiveness and an overcoming of sin, the cause of all evil. It means restoring to the human person his or her original dignity as a Child of God, which is due to the indwelling of the Holy Spirit, of restoring dialogue, mutual understanding and broken relationships, of knocking down the walls of division and separation between individuals and peoples, of gathering the dispersed; it means raising the consciousness of fraternity and solidarity, of restoring the balance to creation, which shares the fate of humankind.
The initiative for reconciliation comes from God who first loved us (cf. 1 Jn 4:10,19), while we were still in sin, reconciling us, through the death and resurrection of his Son, with himself, with other human beings, and with all of creation (cf. Rom 5:8-11; 8:19-21; Eph 2:13-17; Col 1:19-22).
It is a gift that is much greater than the evil that mankind has caused or the good it can do. Reconciliation, liberation, salvation: these words are synonymous and shed light on what takes place in the mystery of the redemption gained in Christ.
Thus it is a benefit that should be requested, sought, actively received and safeguarded with gratitude and love. From the beginning of our formation we have been taught to find it in the Heart of Christ, whom we invoke as "Our Peace and Reconciliation".
Christ's plan, the way for Christians
Jesus, who begins his mission with the proclamation of the Good News to the poor, of liberation to the oppressed and suffering and the announcement of a year of favour from the Lord (cf. Lk 4:18-19; 7:21,23), offers the Father's forgiveness and establishes a plan for the reconciliation of all humanity.
A plan that he realises in his own person: in the mystery of the incarnation, in the exercise of his apostolate, in his paschal death and resurrection, and in the outpouring of the Spirit. Thus he makes a free-will offering of himself, by his own death giving proof of a greater love, fulfilling the will of the Father, in order to bring to unity the children of God who were dispersed (cf. Jn 11:52).
As believers, inserted by baptism in this plan, we celebrate it in the Eucharist and in sacramental Reconciliation. Thus reconciliation becomes our "way" of life and a commitment in love to God and our brethren, in conformity with the necessary interrelation between the reconciliation that is offered and relationships marked by charity, justice, mercy and forgiveness of one's brothers and sisters. There is an inescapable correlation between an awareness of the fatherhood of God and the fraternity of all; between forgiveness and the remission of debt by God and our own readiness to forgive and condone the offences and debts of others in turn; between worship of God and life in society; between love of God and neighbour; between the profession of faith and the practice of charity.
In the Old Testament the prophets were already the heralds of this unity of life, disdainfully rejecting any form of worship that was devoid of acts of reconciliation. The Lord was pleased with sacrifice of the heart, with obedience of faith, mercy and forgiveness, aid to the needy, the defence and support of orphans, widows and strangers.
The novelty of the Gospel was in discovering in the lowly, the poor and the least the living image of the Lord; of getting to the root of evil, uprooting from the human heart the sentiments of selfishness and hypocrisy, of hatred and revenge. The point of reference is the perfection of the Father, whose mercy we are invited to imitate, assuming the precept of love, constituting with Christ his mystical body and the community of life that is the Church.
The reconciliation of humanity has already been achieved and accomplished in Christ, but it is completed throughout the course of history through our participation (cf. Col 1:24). This comes about through the ministry of reconciliation, entrusted to us by the Lord himself (cf. 2Cor 5:18-20), who had complete trust in us and gratuitously showed his mercy to us (cf. 1Tim 1:12-14).
It is in this perspective that we should understand what our Constitutions ask of us, namely to be "Prophets of love and servants of reconciliation of people and the world in Christ", in accordance with what Father Dehon wants of his religious (Const. 7).
Moral demands and concrete expressions of Reconciliation
The path of reconciliation has ethical demands and concrete expressions that directly concern us, whatever our vocation may be. Summarizing them schematically, they are fraternity and solidarity, justice and charity, forgiveness and mercy, dialogue and tolerance, even joyfully bearing the burden and weaknesses of our brethren. Of all these expressions, we SCJs give particular meaning and weight to "mercy". We are called to give special emphasis of this by stooping with compassion to alleviate the suffering of others. Stooping, to such a degree that our heart is involved, going beyond what is required by the law and a narrow sense of justice. "The experience of the past and of our own time demonstrates that justice alone is not enough, that it can even lead to the negation and destruction of itself, if that deeper power, which is love, is not allowed to shape human life in its various dimensions" (Dives in Misericordia, 12).
Our Rule of Life devotes considerable space to these topics when it suggests to us the Dehonian way of following Christ, in serving the Kingdom and in the community of the disciples (cf. n. 9-85).
This is a theme that recurs quite often in the writings of Father Dehon. It is especially vibrant in his Notes Quotidiennes and his letters, when he has to face particular problems of justice and charity towards the poor, of fraternal charity among individuals, of relationships between communities and provinces that hinder the full and cordial realisation of the Sint Unum.
At the beginning of our century, at Rome Father Dehon gave some conferences that were attended by many people, teaching the social guidelines and policies of Leo XIII, seeking to promote a new society, one bearing the stamp of the Gospel. "What is the Gospel's political stance?" he asked. "What are the Saviour's social goals? He came to raise up the lowly. The whole life of Our Lord, all his example and all his teaching have the same purpose: raising up the lowly through Christian charity, which is like an outpouring of divine charity, and through Christian justice, which makes exception of no one. To the demands of justice and philanthropy it adds the impulses of Christian charity" (Oeuvres Sociales, vol. III, page. 316).
In the context of an interprovincial dispute, on 2 December 1911, he writes: "I appeal to your good heart. We must at all costs end the dispute between the two Provinces. If not, we will ruin everything: charity, peace and the honour of the Congregation... I truly believe that the Sacred Heart is asking us to promote peace in the present circumstances. I would rather die than see peace and charity banished from our midst".
And to the novices, "Let us pray much for one another. Let us love one another. Let us avoid criticism, divisions and rotten spirits: like the plague!" (8 May 1910).
Early in 1910: "I feel a need to exchange some ideas with all of you. Sons of the Sacred Heart, we, more than all others, should have the ideal of being of one heart and mind, in union with the Heart of Jesus...".
And in 1912: "We are a family of brothers… Love one another. I beg of you, as St. John did, that there should be no divisions among you. Let us overcome everything in order to stay united. Let us patiently bear with offences and friction. Let us love all nations. In heaven there are no more nations…".
The service of reconciliation: "Be reconciled to God" (2 Cor 5:20)
This admonition of St. Paul was addressed to the community in Corinth which, although in their first Christian fervour, was torn apart by tensions and internal divisions. Understood, however, in its theological sense, it becomes an invitation for us to have a deep experience of reconciliation. Although the things that I am about to say apply to the whole Dehonian Family, they are more directly addressed to the members of the Congregation itself.
As individuals, as communities, as provinces and as a Congregation, we need to be reconciled. We too are called to that conversion that has been proposed to the whole Church for the Jubilee Year; to reconciliation understood as liberation from sin and as a choice of the Gospel values (cf. Tertio Millennio Adveniente, 33-36,50). The Bull of Indiction of the Holy Year, "Incarnationis Mysterium", n. 11, invites us furthermore to a "purification of memory", to heed the challenge to make a serious examination of conscience.
It is necessary to recognise our wounds, our unhealed injuries, our bad example, those sins that, as individuals and institutions, cloud the Church's countenance and make less fruitful our service of the Kingdom.
- As individuals, many of us need to be reconciled with ourselves and with our personal history, with some of our confreres or some of our superiors, with our community or our Province, with some members of the People of God and even with the Church, many of whose traits disturb us, and which we do not always treat as our mother.
Each of us has debts to pay and debts to forgive; debts we have contracted at a personal level, or debts that are the fruit of institutional decisions but which are no less important, and do not diminish our responsibility.
- Thus we must respect the dignity of individuals and establish proper relationships with our employees and others, giving them a just wage and guaranteeing their due social benefits, and doing so in the spirit of the Jubilee.
- We need to look each other in the eye and read the history of our Provinces in the light of God's merciful love, although we are a rather young Institute, and we work humbly, far from the great centres of ecclesial, political or civil power.
Certainly the witness of our fraternal, joyful international living in community is a service of reconciliation, as is our communion of persons, our working together in projects and our sharing of resources, overcoming all the barriers of province and nation, race and tribe.
- The very among the various components of the Dehonian Family should be marked by this appeal to reconciliation.
- Still in the context of the demands of reconciliation, some provinces are getting in touch with and expressing forgiveness with former members of the Congregation with whom there were conflicts in the past and who left us in bitterness.
- We cannot remain indifferent or feel totally innocent in the face of certain ecclesial, social and structural evils that work against the spread of the Kingdom. Only slightly involved in ecumenical and interreligious dialogue and the inculturation of the Gospel, we still succeed in fostering resentment and division, of supporting a bourgeois mentality that exploits the poor; of sharing a culture of death and war because we lack a critical sense of history, or because we are more aligned with the powerful than the weak.…
- Our Rule of Life makes us go beyond the limits of the Congregation and of the Church, "it makes us attentive to the appeals He makes to us through small and great events, and in human expectations and achievements" (Const. 35). We feel involved in the effort for "liberation from all that harms the dignity of people and threatens the realisation of their most profound aspirations: truth, justice, love, freedom (cf. GS 26-27)" (Const. 36).
Thus we want to be in solidarity with those who are working to build a juridical, social, economic and political order that is more just, more in solidarity, and more human, that pays greater attention to the needs of the poor, the marginalised and those who have no share in the earth's resources or in the proclamation of the Gospel. We want to be in solidarity with all those who are struggling for the great causes of mankind: justice and peace, human rights movements, the campaign for the reduction and cancellation of the external debt of the world's poorest countries; the safeguarding of creation. We are called to work with all those who are building peace, in defending the culture of life, in respect for pluralism and the critical evaluation of diverse cultures.
The signs of Reconciliation
- Our Constitutions tell us: "Following the Lord's constant call to conversion, we shall be attentive to discerning the sin in our lives; we shall deeply value the frequent celebration of his forgiveness in the sacrament of reconciliation" (Const. 79).
Our serious and sincere examination of conscience on our duty to "be reconciled to God" should be followed by a solemn celebration of the Sacrament of Reconciliation as an expression of the renewal of our baptismal condition and of the building up of ecclesial communion. Would we have the courage to have this solemn act in our communities?
- As a sign of reconciliation with the Church, the various parts of the Congregation (Provinces, Regions and Districts) are called to reconsider their insertion and their style of presence and witness in the territory (Const. 34.144); to take a look at our way of being "today" in mission, with apostolic choices that are more specific and charistmatically incisive. It is a question, therefore, of redefining the local plans for the individual communities and the particular plan of the Provinces, Regions and districts, putting them "in line" with the general plan "We the Congregation, in the service to the Mission". This is a real commitment to "be reconciled", leaving aside generic or insignificant situations that do not benefit persons (cf. Const. 70.73.74; DG 59).
In this redefinition of the particular plans it is necessary to highlight the reparative dimensions and the social dimension of our charism with meaningful works that respond to the great challenges that can be noted in the territory.
- In the local communities expressions of reconciliation are the "review of life" and other forms of sharing which, as is indicated in articles 60-75 of the Constitutions, "will help all to come to a greater openness and to grow in unity and in the authenticity of our witness of our life together." (Ratio Formationis Generalis, 4.2.3.c).
- Finally, continuing in the context of "be reconciled to God", the coming General Conference on the economy and the Reign of God, should be seen as an event of reconciliation, capable of producing a genuine renewal in the Congregation and in the conduct of our mission.
Sensitive like the Good Samaritan
For any institution that bears the weight of 122 years of existence, as ours does, it is not easy to take the concrete steps that lead to newness of life. It is easier to dream and make little adjustments rather than produce significant change. However, if this does not happen, we cannot really speak about a true conversion.
The Congregation does have, however, spiritual resources, the patrimony of a specific charism, which are capable of causing that "qualitative leap" that the world awaits from us today.
With a heart sensitive to the needs of others, like the Good Samaritan, we should be ready to accept God's "today". Effective solidarity often implies changing one's path, adapting one's plans, and being open to the newness of the Spirit. We too, bending low with compassion over human suffering, can proclaim the Good News to the poor and a year of favour from the Lord, making our life a journey of reconciliation in Christ.
Thus we reveal the merciful love of Jesus and we show that we are faithful sons and daughters of Father Dehon.
With the hope that this happens throughout the Dehonian Family, in the name of the General Council and my own name, I wish you all a happy Feast of the Sacred Heart.
¡Felicidades!
Cuando el 14 de marzo de 1899 el Padre Dehon celebraba su 56º cumpleaños y el final del siglo XIX era inminente, estoy seguro de que él también reflexionó sobre los grandes cambios a los que había asistido. Y también estoy seguro de que él intentó ver lo que el siglo XX aportaría al mundo, a la Iglesia y a su querida Congregación. En sólo 21 años su familia religiosa se había difunfido desde el norte de Francia a otras partes de Europa, a América Latina y a África. La misión de la Congregación del Congo, todavía en sus comienzos, tenía ante sí un futuro prometedor. Seguramente el Padre Dehon se acercó al siglo XX lleno de esperanza y con perspectivas luminosas para el mundo, para la Iglesia y para su Congregación.
¿Qué pensaría el Padre Dehon si estuviese hoy en la vida? ¿Cómo se acercaría al siglo XXI y al nuevo milenio? La Iglesia, tan amada por él, se encuentra en aguas inseguras y se esfuerza por proclamar el Evangelio en el mundo post-moderno. Su querido Congo - su pueblo, la Iglesia, sus SCJ - han sufrido mucho, especialmente en los últimos decenios de este siglo. En muchos países del primer mundo su querida Congregación está disminuyendo lentamente. ¿Cómo leería los signos de nuestros tiempos al comienzo del nuevo milenio? ¿Adoptaría una visión pesimista o una visión optimista?
Yo pienso que adoptaría un acercamiento realista. Precisamente igual que animó a sus sacerdores a "salir de las sacristías e ir por las calles", así hoy él nos pediría remangarnos para afrontar los desafíos del siglo XXI.
Ruego me disculpéis si dirijo mis reflexiones sobre todo a mis compañeros SCJ. Desde luego, en todo caso, pueden aplicarse perfectamente a toda la familia dehoniana, sean compañeros religiosos, sean miembros de institutos seculares, sean grupos de laicos.
Uno de los primeros desafíos del siglo XXI será el crecimiento de la Congregación y de la Familia dehoniana. Es un tema que el 14 de marzo merece ser examinado en detalle. Un acercamiento responsable al problema de las vocaciones ministeriales es ciertamente importante para nuestro futuro. Pero no es fácil indicar una dirección, encontrándonos trabajando en 36 países distintos y 5 continentes. Nuestro mundo está extremadamente diversificado. Algo que sirve para una parte de la Congregación, no siempre sirve en otras partes. Dicho esto, deseo ofrecer para vuestros momentos de oración algunos elementos que son de crucial importancia para promover las vocaciones a nuestra Congregación, mientras esperamos el amanecer del nuevo milenio.
El mejor camino para atraer a otros a abrazar nuestra vida y nuestro ministerio es el ejemplo que sepamos dar, o bien invitando activamente a unirse a nuestra familia religiosa. Un reciente estudio, realizado en EE.UU., demuestra que muchos jóvenes manifiestan interés por el sacerdocio y por la vida religiosa, pero pocos son animados, por sacerdotes o religiosos, a tomar en consideración tal elección. Según otra encuesta, solo un 33% de los sacerdotes dice haber animado explícitamente a jóvenes a entrar en el seminario. ¿Debemos invitar activamente a los jóvenes adolescentes y adultos a tomar en consideración la vida religiosa, y especialmente nuestra vida SCJ, como sacerdotes o como hermanos? Sí, debemos animar con la palabra y con el ejemplo, y sobre todo haciendo llegar también a ellos la invitación recibida de Jesús: Ven y sígueme. Sígueme en mi vida de pobreza, en mi vida de servicio, en mi vida de oración. Una invitación a la pobreza evangélica.
"Jesús mirándolo lo amó y le dijo: Sólo una cosa te falta: anda, vende lo que tienes y dalo a los pobres, y tendrás un tesoro en el cielo. Después ven y sígueme" (Mc 10, 21)
La pobreza es un elemento esencial para nuestra vida religiosa. No hay forma de esquiar el problema. Como dehonianos, estamos llamados a vivir una vida en la que los bienes materiales tienen poca importancia. Como dehonianos, estamos llamados a una vida que se desarrolla por encima del agitado mundo del comercio, de los negocios, del consumismo. Esto no es fácil, porque todos somos hijos del mundo de los mass-media y de la comunicación global. El tema está presente en nuestra Regla de Vida. Por lo menos el 14% del texto está dedicado a la pobreza y a su papel en nuestra vida. Debemos aprovechar este 14 de marzo para reflexionar, como dehonianos, sobre la sesión: Llamados a profesar las Bienaventuranzas, especialmente en el n.44: "Cristo se ha hecho pobre para enriquecernos a todos con su pobreza". El modo en que vivamos el voto de pobreza podrá servir en alguna medida de invitación y desafío a otros para hacer lo mismo. Es un camino para nosotros prolongar, con nuestro ejemplo personal, la invitación de Jesús: Ven y sígueme. Quizás esto era lo que tenía en la mente el Padre Dehon cuando escribía:
"Si queremos ser verdaderamente reparadores, si queremos consolar al Corazón de Jesús y progresar en su amor, es necesario amar la pobreza, la virtud que elevó tanto a San Francisco de Asís en el amor a Nuestro Señor. Observemos todas las prescripciones y pidamos a Nuestro Señor la gracia de comprender y gozar de la perfección. Procuremos después no ofender a Nuestro Señor con algún ataque desordenado a las cosas o a su uso. Más bien hagamos mejor: esforcémonos por practicar generosamente la pobreza para crecer en el amor del Sagrado Corazón" (Carta circular 17.10.1886,§ 16)
Una invitación de servicio al evangelio
Nuestra vocación a vivir la pobreza no significa que esto sea todo y el fin de todo. Ella nos proporciona más bien la estructura en la que se hace posible una vida de servicio al Evangelio. Cuando Jesús dirigió la invitación al joven rico: Ven y sígueme, reiteraba una invitación que ya había dirigido a sus apóstoles y discípulos. A Pedro y Juan había dicho: "Seguidme y os haré pescadores de hombres" (Mt 4,19).
Jesús asumió a la perfección, desde el principio, el papel de modelo para esta vida de servicio. Iniciando su ministerio público, él lo situó en el contexto de un pasaje de Isaías, cuando en la sinagoga de Nazaret dijo: "El Espíritu del Señor está sobre mí; por esto me ha ungido, y me ha mandado para anunciar a los pobres la buena nueva: proclamar a los presos la liberación, a los ciegos la vista, la libertad a los oprimidos, y predicar el año de gracia del Señor" (Lc 4,18-19).
Dos mil años después, el mensaje sigue siendo el mismo. Estamos llamados a proclamar la BUENA NOTICIA. Nosotros debemos hacerlo siguiendo las huellas de Jesús: usando sus palabras, sus métodos, su ejemplo de servir, es decir, una vida de servicio por amor. El Padre Dehon entendía bien esto cuando escribía:
"No perdáis de vista los modelos, Cristo y los apóstoles. Cristo iba a los hombres sin tregua y sin descanso. Escogió a algunos. Formó doce apóstoles, y después setenta y dos discípulos, que se convirtieron en sus auxiliares. La palabra clave era siempre: Id y enseñad.
Ellos fueron y buscaron grupos y oyentes alejados. Su única arma era la palabra. Predicaron la doctrina, se ocuparon de los trabajos, de las necesidades del pueblo, de la organización social. En todas las ciudades opulentas de Grecia San Pablo buscaba ayuda para las comunidades cristianas de Palestina.
Así está trazada también nuestra misión: ir a los hombres, sobre todo a aquellos que no vienen a nosotros, hablarles, reunirlos, usar la nueva forma de la palabra que es el periódico, medio que ciertamente San Pablo no habría dejado de usar si hubiese estado en uso en su tiempo, y en definitiva ocuparse de los intereses económicos y sociales del pueblo (cf. "La méthode des oeuvres sociales" en O.S. I, p. 166).
Ir al Pueblo: ésta debería ser nuestra característica. Ir al pueblo, en las parroquias confiadas a nuestro servicio. Ir al pueblo, en los hospitales, en las prisiones, en nuestros colegios. Ir al pueblo, como misioneros del Evangelio. Ir al pueblo.
Como Sacerdotes del Sagrado Corazón, sabemos que el Padre Dehon no ha limitado nuestro trabajo sólo a uno o dos tipos de apostolado, sino que más bien lo ha colocado en el contexto de nuestra espiritualidad scj. La nuestra es una espiritualidad centrada en la eucaristía, y a menudo somos llevados a resumirla en el eslogan de la Regla de Vida: "Estamos llamados a ser profetas del amor y servidores de la reconciliación".
Yo creo firmemente que si verdaderamente basamos nuestro estilo de vida, nuestra oración y todo nuestro trabajo en el contexto de nuestra espiritualidad, nuestro modelo de vida constituirá un atractivo para todos los que desean seguir las huellas de Jesús y de los apóstoles. Pero ni siquiera el ejemplo dado por nuestro modelo de vida será suficiente, si nosotros no sabemos hacer llegar claramente a los demás la invitación a unirse a nuestra vida, a nuestra oración, a nuestro servicio apostólico.
Tenemos necesidad de promover nuestra identidad dehoniana y nuestro modelo de vida. Cuando un visitante venga a una de nuestras casas, debe ver muy claramente que es una casa dehoniana. De la misma forma, cuando alguien vaya a una parroquia, a un colegio, a una obra de servicio social, o cualquier otra institución gesitonada por Sacerdotes del Sagrado Corazón, debe resultarle muy claro que se trata de una obra dehoniana. En mis visitas a las casas de la Congregación, me ha impactado cómo se identifican algunas de nuestras instituciones con nuestro espíritu dehoniano, no sólo a través de una vida muy simple, de algún cuadro o alguna información sobre nuestras comunidades, etc., sino precisamente por las elecciones que caracterizan al conjunto de las actividades en las que la vida de la parroquia o de la institución se encuentra inmersa.
Si conseguimos transmitir a los jovenes adolescentes y adultos el sentido de servicio del evangelio, los ayudamos porque también ellos podrán abrirse a una vida de servicio del evangelio, como religiosos sacerdotes, o como hermanos o hermanas. Yo creo que la llamada del Padre Dehon: ir al pueblo, hoy tiene la misma carga de estímulo que tenía hace cien años. Yo creo que la llamada a ir al pueblo tendrá un eco en los jóvenes de hoy, a pesar del modelo cultural, ético y económico que los caracteriza. Yo creo que ir al pueblo es una traducción moderna de la invitación Ven y sígueme.
Un día el Padre Dehon, describiendo a un grupo de hombres a los sacerdotes de su tiempo, decía que eran vistos como pájaros de mal agüero. ¿Existe también para nosotros el peligro, ya a finales del siglo XX, de tener un apelativo similar? Su comentario pretendía convencer a los sacerdotes a salir de las sacristías y a los laicos a no permanecer sentados, sino a salir fuera de las iglesias y llevar el mensaje cristiano por las calles de las ciudades y por los caminos del mundo.
"En primer lugar todos vosotros, sacerdotes (religiosos) y laicos (hombres y mujeres), os debéis convencer de que no estáis hechos sólo para los bancos de las iglesias y para las sacristías; tenéis vuestra responsabilidad como sal de la sociedad y como luz de la vida social. Id a los vivos, id a los hombres (y a las mujeres), id al pueblo, y así no seréis considerados tristes pájaros de mal agüero. Nuestro siglo tiene sed de acción religiosa. La enfermedad más grave de la sociedad contemporánea es la ausencia de vida religiosa, y la ausencia del sacerdote" ("La méthode de l'oeuvre sociale", en O.S. I, pp. 165-166).
La llamada del Padre Dehon es actual hoy, como lo era la primera vez que fue pronunciada. Pero quizás nosotros todavía no hemos aprendido cómo ser sal de la tierra, cómo ser luz del mundo. A menudo nos escondemos tras los muros de la iglesia, pensando que nuestra levadura no es lo bastante fuerte para penetrar dentro de la piel de la sociedad moderna. Pero nuestra no disposición a esparcir la levadura nos está impidiendo cualquier posibilidad de actuar.
Una invitación a la oración evangélica
En el centro de nuestra vida, como discípulos de Jesús - es decir, como profetas del amor y servidores de la reconciliación - está la vida de oración. Igual que Jesús es para nosotros un modelo por su vida evangélica de pobreza y por su vida de servicio al Evangelio, también es modelo para nosotros con su vida de oración. En el "Directorio espiritual" escribió el Padre Dehon:
"Nuestro modelo en la oración es ante todo Jesús, especialmente en el monte de los olivos, donde reza en la soledad y en el recogimiento. Jesús reza con respeto: Exauditus est pro sua reverentia (Eb 5,); reza con ardor, con emoción, con lágrimas: Pater mi, non mea voluntas sed tua fiat (cf. Mt 26, 39). Reza con perseverancia. En Getsemaní por tres veces vuelve a comenzar la misma oración" ("Direttorio Spirituale", ed. it. 1983, § 122).
Sin duda, el verdadero sentido de la oración, y de la vida de oración es como el alma de nuestra vida de Sacerdotes del Sagrado Corazón. Cuando ella se debilita, también nosotros nos sentimos débiles. Y si dejamos de rezar, pronto también la fe viene a menos. Es la oración la que une nuestra vida al Corazón de Cristo. No debemos nunca subestimar este hecho, ni darlo por descontado. Lo reconoce también nuestra Regla de Vida cuando afirma: "Sin el espíritu de oración, la oración personal flaquea; sin la oración comunitaria, la comunidad de fe se desvanece" (RdV n. 79).
La invitación somos nosotros
Igual que Jesús invitó al joven rico, a sus discípulos y apóstoles, a seguirlo en una vida evangélica de pobreza, de servicio y oración, también hoy continúa haciéndose la misma invitación. Nosotros caminamos tras las huellas de Jesús y de sus discípulos, ofreciendo a todos la invitación Ven y sígueme. Somos nosotros la voz de Jesús hoy, con nuestro modo personal de vivir la vida cristiana.
Una joven escritora, convertida a la fe cristiana, hace esta reflexión:
"Los primeros religiosos nos han enseñado lo grande que es el ser verdaderos cristianos. Para atraer a otros a Jesús y al Reino de Dios, nosotros mismos primero debemos tener una relación auténtica y personal con el Señor. Solamente permaneciendo junto a Jesús podremos recibir la gracia de hacer todas las cosas que él nos pide hacer: cosas que nos dan en la cara con nuestro orgullo, nuestra autosuficiencia y otras tantas debilidades humanas. La realidad es que nosotros vivimos en un mundo que no aprecia en absoluto las enseñanzas de Jesús, a causa del pobre testimonio que damos nosotros, sus discípulos, con nuestra conducta cotidiana. Con el nuevo milenio en el horizonte, empeñémonos todos juntos en hacernos más coherentes con nuestra vocación cristiana. Y preguntémonos un poco más a menudo: ¿Qué haría Jesús en mi lugar?" (Patricia Takeda, en Living with Christ, enero 1999, p. 111).
Y es verdad. Podemos enviar miles de impresos, y publicar centenares de libros o folletos atractivos, pero si no sabemos invitar personalmente a los jóvenes a Cristo o a nuestra vida de servicio con discursos y gestos concretos, todo será en vano.
En conclusión
Pido disculpas por no haber invitado a todos a rezar por la conferencia congrecional sobre las vocaciones, que está en el programa en Lavras, en Brasil, desde el 1 al 20 de agosto de 1999. Animo a todas las provincias, regiones y distritos a participar. La conferencia es organizada como parte de nuestra estrategia, según se encuentra expuesta en el "Proyecto SCJ" (§ 4: las vocaciones). Os animo a revisar las distintas estrategias. Entre éstas, una es la conferencia de Lavras, para compañeros interesados en la pastoral de las vocaciones.
Y me gustaría concluir con una antigua fábula hebrea que nos hace entender lo limitada que está nuestra comprensión del plan de Dios. La vocación es precisamente un misterio, una mezcla de divino y de humano. Necesitamos paciencia y fe, porque sólo entonces comenzaremos a entender la profundidad del misterio del Espíritu de Dios que planea sobre nuestras vidas y sobre el mundo.
Había dos hermanos que habían pasado toda su vida en la ciudad, y no habían visto nunca ni un campo ni un prado. Así un día decidieron dar un paseo fuera de la ciudad. Y mientras paseaban, se encontraron con un campesino que estaba arando, pero ellos no lograban entender lo que estaba haciendo.
"¿Qué tipo de trabajo es éste?" se preguntaban. "Un individuo que va hacia adelante y hacia atrás todo el día, agitando el suelo con largos surcos. ¿Por qué destruirá un individuo un prado tan bonito?"
Después, en la tarde, pasaron los dos de nuevo por el mismo sitio, y esta vez vieron al campesino esparciendo semillas de trigo en los surcos.
"Este lugar no es para mí", dijo uno de los hermanos. "La gente aquí se comporta de un modo irracional. ¡Yo me vuelvo a casa!" Y volvió a su ciudad.
Pero el otro hermano permaneció en aquel lugar, y algunas semanas después, vio un cambio maravilloso. Una vegetación verde y tierna comenzó a cubrir el campo con una armonía de colores que no había imaginado nunca. Inmediatamente escribió a su hermano diciéndole que volviese deprisa para ver este crecimiento maravilloso. Así, el hermano volvió de la ciudad y también él quedó admirado por el cambio. Y mientras los días pasaban, veían la tierra verde transformarse en un campo dorado de grano maduro. Y fue entonces cuando comprendieron el porqué de los trabajos del campesino.
Después el grano creció, y una vez maduro, el campesino vino con una hoz y comenzó a cortarlo. Entonces el hermano que volvió de la ciudad no podía creer lo que veían sus propios ojos: "¿Qué está haciendo este imbécil?" exclamó. "Durante todo el verano ha trabajado duro para hacer crecer ese grano, ¡y ahora lo destruye con sus propias manos! Realmente está loco. Ya tengo bastante. Me vuelvo a mi ciudad."
Pero el otro hermano era más paciente. Se quedó donde estaba, siguió observando al campesino que recogía el grano y lo colocó en el granero. Vio cómo separaba con atención la cáscara y con cuánto cuidado se quedaba con el resto. Y se llenó de estupor cuando comprendió que, habiendo esparcido un saco de semillas, el campesino ahora podía cosechar todo un campo de grano. Sólo entonces comprendió plenamente que siempre había actuado con inteligencia.
"Y así pasa también con las obras de Dios", dijo el rabino. "Nosotros mortales vemos sólo los comienzos de su plan. No podemos comprender el proyecto completo y el fin último de su creación. Debemos tener fe en su Sabiduría" (The Book of Virtue, "We understand so Little", p. 774-775).
¡Nosotros comprendemos tan poco! Debemos tener fe en la sabiduría de Dios. Debemos ser pacientes, fieles y estar en una atenta escucha de su voz: ¡Ven y sígueme!