"Cosa sono le COMUNITA' PROFETICHE ?"

Roma, festa del S. Cuore di Gesù del 1998
Prot. N. 125/98

Cari confratelli,

La festa del Sacro Cuore ci riporta sempre a Colui che è la Fonte, il Centro e il Termine del "Noi Congregazione"; risveglia in noi l'esperienza fondante della nostra vocazione e della nostra missione; ci fa ritrovare in famiglia, prendendo coscienza dei nostri risultati, problematiche, sfide e prospettive.

In quest'occasione vorrei riproporvi un tema, ricorrente nell'ultimo Capitolo Generale (Mozione 3), ma il cui contenuto non è stato né definito, né sufficientemente approfondito, e ripreso nel Progetto "Noi Congregazione" (nn 14 e 15). Mi riferisco alla costituzione di "comunità profetiche", come frutto della collaborazione internazionale.

Con "timore e tremore" mi accingo a trattare questo tema, che ritengo mi sorpassi. Più che una riflessione articolata, propongo anche a voi le domande che mi sono posto. La risposta sarà frutto di una maturazione comune. Alcuni di questi interrogativi provengono da un approccio del tema, fatto in Consiglio Generale. Altre questioni rispondono di più alla mia riflessione personale.

Il Profetismo della Vita Consacrata

Il profetismo della vita consacrata deve essere visto nel contesto della partecipazione di tutti i battezzati al profetismo di Cristo (cf. LG 12 e 31). Tuttavia il carattere profetico della vita consacrata, ha preso corpo nella riflessione teologica e spirituale postconciliare, e anche nella prassi della vita religiosa attuale.

Il Documento VC 84 spiega questo profetismo con la "funzione di segno", per esprimere la "testimonianza del primato di Dio e dei valori del Vangelo..., quindi nulla può essere anteposto all'amore personale per Cristo e per i poveri in cui egli vive".

"La vera profezia nasce da Dio, dall'amicizia con lui, dall'ascolto attento della sua Parola nelle diverse circostanze della storia"... "richiede la costante e appassionata ricerca della volontà di Dio... la comunione ecclesiale, l'esercizio del discernimento spirituale, l'amore per la verità... si esprime anche con la denuncia... e con l'esplorazione di vie nuove per attuare il Vangelo nella storia, in vista del Regno di Dio" (n 84).

La Bibbia, infatti, con il modello dei profeti, evidenzia le note caratteristiche della profezia. La vocazione profetica si fonda su un'esperienza profonda di Dio; è legata alla storia del Popolo di Dio; comporta la denuncia delle situazioni di peccato del popolo e dei suoi capi (ingiustizia, idolatria, falso culto religioso); comporta l'annuncio del disegno di Dio sulla vita degli uomini e sulla storia; trasforma il profeta in un testimone della verità che proclama, spesso fino a farlo diventare oggetto di conflitti, persecuzioni e martirio. Il profeta è un uomo sedotto da Dio (cf. Ger 20,7) che l'ha attirato a sé pieno di compassione (cf. Ger 31,3).

In breve, si potrebbe affermare che la funzione profetica ha tre dimensioni, operanti simultaneamente.

Una dimensione critica, in quanto proferisce un giudizio sulla realtà e sulla storia. Stabilisce un chiaro discernimento e perfino una condanna degli atti, strutture e progetti di peccato.

Una dimensione utopica, perché rivela le intenzioni di Dio sull'uomo e sulla storia, il suo disegno d'amore, l'offerta della salvezza in Cristo, l'opera dello Spirito. Costituisce un vero annuncio di gioia e di speranza per l'umanità. Scopre le vie di Dio e le sue preferenze. Fa intravedere l'utopia del Regno.

E, finalmente, una dimensione testimoniale: il profeta denuncia e annuncia, con la sua vita impegnata e coerente, con parole incarnate, con gesti e scelte concrete, il primato di Dio, unico assoluto; testimonia il coinvolgimento di Dio con il popolo, soprattutto con piccoli, gli oppressi, i poveri e gli ultimi: come suoi prediletti.

Queste tre dimensioni si coniugano e si sostengono a vicenda, in quanto sono il risultato di un'unica esperienza di fede. Privilegiare una dimensione sulle altre, provoca squilibri che generano delle esperienze handicappate e contraddittorie.

L'intuizione del Capitolo

Il Capitolo Generale a più riprese ha avuto dei flash e delle accentuazioni felici e profonde, che vanno sviluppate. Le tre dimensioni della funzione profetica hanno trovato la loro espressione visuale nel "logo" scelto.

Una visione realista del mondo attuale ci ha fatto identificare e giudicare i fenomeni, oggi strutturalmente più determinanti: quali il processo della globalizzazione e della secolarizzazione. Un mondo nel quale, e la Chiesa e la Congregazione, ne subiscono gli effetti, spesse volte in modo inconscio; un mondo su cui bisogna fare un giudizio per discernere i semi di Regno o di anti-Regno in esso presenti.

Semi dell'anti-Regno sono: la divisione, la disintegrazione, l'isolamento, l'individualismo l'esclusione, l'alienazione, la polarizzazione, la massificazione, l'oppressione, l'egoismo... della persona umana nei suoi rapporti essenziali con se stessa, con gli altri, con la creazione e con Dio.

Tutto questo indica un mondo in crisi, quasi eclissato, con molte forze oscure e opposte, coinvolte in una lotta di potere istintiva o pianificata.

L'utopia del Regno è ben altro. È la riconduzione all'unità, alla comunione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla condivisione dei beni materiali e di quelli dello spirito. È il rispetto per i valori, i diritti e i doni di ogni persona e di ogni popolo, nazione e cultura, che fanno esperienza di famiglia, di fraternità e di comunità organizzate dall'amore.

È la riconciliazione dei nemici, la caduta dei muri di separazione e di discriminazione, la convocazione al servizio altrui. È impegno per la giustizia, costruzione della pace, trionfo del perdono e della misericordia. È l'evangelizzazione dei poveri, che Cristo consola e libera (cf. Lc 4,18-19) ed ai quali il Padre rivela i suoi più profondi segreti (cf. Mt 11,25).

Tutto ciò non è un sogno, è già una realtà in atto, anche se non ha raggiunto la sua pienezza definitiva. Da quando Cristo è stato innalzato in croce, con il suo Cuore trafitto, egli sormonta il mondo, irrorando nuova vita, gioia e speranza, "attira tutti a sé" (cf. Gv 12,32) e riconduce all'unità i figli dispersi di Dio (cf. Gv 11,52).

La nostra vocazione e missione da SCJ ci chiede di entrare nella dinamica del Cuore di Cristo, di associarci a lui per divenire "profeti di amore e servitori della riconciliazione del mondo in Cristo" (Cst 7). Si tratta di fare un'autentica esperienza di Comunione in Cristo (cf. Gv 15,4), per essere ministri di questa stessa comunione in mezzo agli uomini, vivendo tra noi il "Sint Unum", perché il mondo creda (cf. Gv 17,21-23).

Il "Noi Congregazione" non è altro che la forma di realizzare la missione avuta nella Chiesa e di impegnarci "oggi" profeticamente nel mondo.

In questa prospettiva, non è un progetto opzionale, ma è la grazia offertaci e l'opportunità dataci per il momento presente. Il suo compenso, la sua "paga", traboccherà in salvezza per il mondo e in più vitalità per la Congregazione.

Le comunità profetiche internazionali

Come attualizzazione del profetismo della vita consacrata dehoniana, il Capitolo ha chiesto la costituzione di "nuove comunità profetiche, aperte alla collaborazione internazionale, tanto nel mondo secolarizzato, come nei territori di Missio ad gentes" (cf IN 2/97, pg 28).

E il Direttivo Generale, tra le scelte di questo sessennio, propone di "erigere, in ogni zona geografica, una comunità profetica a carattere internazionale". Primo tentativo, vuole essere la nostra presenza a La Capelle (cf. "Noi Congregazione" 15).

Sono questioni, che anch'io mi pongo. Cominciando dalla seconda, avrei proprio paura che tutto si riduca a belle parole, che il nostro progetto si esaurisca in ripetizioni di modalità già esistenti; modalità che dicono poco alla Chiesa e al Mondo, in quanto realtà adagiate nella comodità, stanche, avulse dal mondo e con una bassa carica evangelizzatrice e spirituale.

Si è detto, e ne sono convinto, che la vita religiosa entra in crisi e muore quando non è aperta alle missioni lontane e ad gentes; quando non è nel deserto, né nella periferia, né nelle frontiere dell'umanità.

Spingere la Congregazione a impegnarsi in questi ambiti, almeno in una giusta percentuale, è uno dei servizi più importanti e rischiosi, che sento come Superiore generale.

Non si tratta di andare alla ricerca di "avventure", ma di impostare un discorso formativo (fin dall'inizio); uno stile di vita e di governo coerenti, in piena corrispondenza con il nostro carisma. Si tratta di fare nostri gli incoraggiamenti del P. Fondatore di andare al popolo, di uscire dalle sagrestie, di preferire i posti difficili, aridi, dove altri non vogliono andare e dove le gratificazioni sono poche. Bisogna preparare i giovani per queste scelte. Bisogna anche che i superiori abbiano il coraggio di proporre tali impegni.

P. Dehon è stato coerente con questi principi, perché vedeva in essi la realizzazione concreta della nostra spiritualità oblativa e riparatrice.

Il Capitolo non le ha definite, neppure troviamo definizioni esplicite nei documenti della Chiesa o nelle nostre Costituzioni. Queste, però, (parte II B, nn. 59.60.63.65) ci fanno intravedere la portata profetica di una vita comunitaria fraterna. VC 85 dice che la stessa vita fraterna è una profezia in atto, nella misura in cui propone una fraternità senza frontiere.

La domanda rimane, quindi, aperta. E' un compito a cui rispondere ora, tutti insieme, non soltanto per impostare le nuove presenze, ma anche per qualificare tutte le comunità della Congregazione; queste, pur nella debolezza umana, si costruiscono sotto l'azione dello Spirito alla luce del Sint Unum.

Caratteristiche della comunità profetiche, credo siano: la gioia, il dialogo, una grande dose di speranza e ottimismo, l'amore alla vita e ai poveri, l'impegno fino al sacrificio, la visibilità immediata della nostra fede teologale; caratteristiche visibili all'interno che al di fuori della comunità.

A questo punto, oserei dire che una vita quotidiana, vissuta con coerenza, profondità, semplicità e fedeltà gioiosa, è oggi una grande profezia, sempre che si sappiano rendere esplicite le ragioni della propria speranza (cf. 1 Pt 3,15).

In questo senso tutte le comunità, anche quelle di anziani e di ammalati, possono e devono sviluppare il loro carattere profetico. Esistono momenti e stili di profetismo diversi, a seconda delle situazioni concrete, le età e i contesti in cui si vive e ci si impegna.

Lo stesso Gesù passò per diverse modalità profetiche, nella sua vita occulta a Nazareth e negli anni del suo ministero apostolico e nel momento decisivo della sua Pasqua.

Ciò rivaluta le molteplici possibilità del nostro carisma e della spiritualità: ad esempio gli atteggiamenti attualizzanti l'Ecce Venio, il Sint Unum e l'Adveniat Regnum tuum.

La scelta operata in Capitolo non squalifica le comunità esistenti in Congregazione; anzi anche esse sono interpellate a vivere il proprio profetismo, ricordando che "la profezia dell'amore e il servizio della riconciliazione" è un compito ed un ministero di ogni SCJ.

Non possiamo negare che la situazione attuale mette in difficoltà le autosufficienze provinciali; ma la ragione profonda è ben altra.

Fin dagli inizi della Congregazione esiste una tradizione di internazionalità; essa ancora oggi continua in diverse iniziative. Questa tradizione è stata ininterrotta in Congo; si è resa presente in varie altre missioni, fondazioni e opere.

P. Dehon, proprio per il suo spirito aperto e i suoi grandi orizzonti, è l'anima di quest'impostazione. Tanto che quando la Congregazione, dovuta alla sua crescita accelerata, ha avuto bisogno di organizzarsi in Province e Regioni, P. Dehon ha esitato.

Pur comprendendo i vantaggi delle autonomie (più responsabilità locali, più creatività, maggiore possibilità di esprimere le varietà culturali, ecc.), egli avrebbe preferito riaffermare i principi di unità e di comunione intorno ai valori fondanti.

Oggi non pretendiamo fare dei passi indietro, ma dare una risposta alle sfide della mondializzazione, per servire meglio la Chiesa e la nostra missione nel mondo.

Lo facciamo a partire dai capisaldi della nostra spiritualità dehoniana: il Sint Unum, mettendo in luce i valori evangelici dell'unità, della comunione, della condivisione, della solidarietà.

Proprio attraverso il carattere internazionale delle nostre comunità, nelle tante tensioni del mondo attuale, vogliamo proclamare il Vangelo della libertà personale e della comunione fraterna (cf. VFC 42). Ci impegniamo così ad affrontare creativamente la sfida dell'inculturazione e denunciamo gli idoli dei nazionalismi, dei tribalismi e di tutti i sistemi egemonici (cf. VC 51).

Rimane però vero che mettere in piedi delle autentiche fraternità internazionali non è facile. Il cammino naturale resta sempre quello della croce. Tuttavia l'esperienza mi dice che i problemi comunitari più gravi non sono nelle comunità internazionali, non sono originati dalle diversità di nazione, di cultura o di razza. I problemi più gravi si trovano in comunità nazionali e hanno le loro radici in problemi personali, spesso imponderabili, negli atteggiamenti individualistici e in una certa durezza di tratto e mancanza di cordialità, non certamente dehoniani.

Non nego però che certe forme di condivisione nella fede avvengono più frequentemente nelle comunità in cui i membri hanno una sensibilità affine, che di solito sono comunità nazionali.

L'internazionalità, quindi, intesa come un'espressione della nostra comunione in Cristo, è già un richiamo profetico ed è una Buona Novella per gli uomini e donne del nostro tempo. La dimensione internazionale del nostro sguardo, del nostro cuore e del nostro impegno, costituisce una nota essenziale, perché possiamo sentirci e dirci "Noi Congregazione".

Sotto la croce

Profezia e Comunione, in questa festa del S. Cuore, ci riportano al Calvario, sotto la croce di Cristo. È qui che, con P. Dehon, vogliamo fare l'esperienza profetica "di vivere nella fede del Figlio di Dio che (ci) ha amato e ha dato se stesso per (noi)" (Gal 8,20).

A partire da essa, nella contemplazione del Cuore trafitto del Salvatore, vogliamo accogliere ed esperimentare il dono e la responsabilità della Comunione e della Riconciliazione.

Cristo è la nostra pace. Egli distruggendo i muri di separazione, ci raduna in un solo corpo e ci riconcilia con Dio, in virtù della sua croce (cf. Ef 2,14-16).

Che per mezzo delle nostre comunità, impegnate profeticamente, sotto la guida dello Spirito, possiamo fare di Cristo il cuore del mondo.

È l'augurio che ci facciamo mutuamente nella festa del Sacro Cuore di quest'anno.

 

P. Virginio D. Bressanelli, scj
Superiore generale
Roma, 24/05/1998