KISANGANI A FERRO E FUOCO |
Sono bloccato qui a Goma, preso nell'inferno che sta vivendo la popolazione e i nostri confratelli a Kisangani. La cattedrale di Kisangani è in fiamme, colpita da una cannonata. La chiesa di S. Giuseppe Artigiano è stata pure colpita, come pure la canonica, ma i nostri padri sono sani e salvi.
La chiesa di Mangobo, dei padri gesuiti, ha ricevuto anch'essa diverse cannonate; anche la canonica è stata colpita, ma anche qui nessun ferito.
La casa "Sacro Cuore" è stata colpita quattro volte: il garage e una vettura sono stati distrutti. Il magazzino e la stanza degli autisti sono molto danneggiati. La stanza di P. Nicolas è stata nuovamente colpita, ma la parte centrale della casa, dove P. Nicolas si era rifugiato con Anastasia, la guardarobiera, il giardiniere e due padri domenicani, che sono venuti qui martedì dopo che la loro casa era stata saccheggiata, non è stata ancora colpita direttamente. È quasi un miracolo! Invece tutte le case intorno al provincialato sono sventrate.
Il Centro Handicappati "SIMAMA" è stata anch'esso devastata dagli obici dei mortai e p. Martin, bloccato in città da martedì, ha potuto giungere questa mattina sano e salvo a St. Gabriel. La scuola Maele non è stata risparmiata, anche se non si conoscono esattamente i danni. I padri sono indenni, anche se con molta paura.
Tutta la città è senz'acqua e senza luce da lunedì e non c'è la possibilità di uscire fuori a prendere acqua. Non si può preparare un pasto decente per mancanza di acqua!
Ecco il calvario e l'inferno in cui si trovano i nostri padri e tutta la popolazione di Kisangani. Impossibile stabilire un bilancio dei morti e dei feriti. Non si può fare altro che pregare e sperare che la follia cessi al più presto. Cercherò di rientrare a Kisangani con il primo aereo che parte, senza dubbio un aereo della MONUC, cioè ONU.
P. Hansen Matthias
KISANGANI: NUOVAMENTE COLPITA DALLE BOMBE CASA COMBONIANA |
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Tre colpi di artiglieria pesante hanno investito stamane la casa delle missionarie combo-niane a Kisangani (nordest della Repubblica Democratica del Congo). Ne ha dato notizia alla MISNA la direzione generale dell'istituto fondato dal Beato Daniele Comboni. L'edificio situato a Limo Tshopo, nella periferia della città congolese, era già stato bersagliato ieri dal fuoco dei cannoni. Al momento le 4 suore della comunità: due italiane, una messicana e una spagnola sono incolumi. Nel bombardamento odierno è stato distrutto il refettorio, colpiti l'abitazione delle aspiranti suore e il giardino antistante |
CONGO-DEM.REPUBLIC, 9 GIU 2000 (9:40)
MISSIONARI INDIGNATI PER IL GENOCIDIO DI KISANGANI
"La notte è trascorsa abbastanza
tranquillamente a Kisangani, ma alle prime luci dell’alba sono ripresi
i bombardamenti". Lo ha dichiarato alla MISNA padre Venanzio Milani, Vicario
Generale dei Missionari Comboniani. "Per quanto riguarda la nostra Congregazione
&emdash; ha aggiunto &emdash; abbiamo perso contatto con due comunità
presenti nella città congolese". Padre Milani ha poi precisato che
la popolazione locale, ed in particolare le comunità religiose,
sono utilizzate come autentici scudi umani. "Basti pensare che attorno
alle case religiose, come anche attorno ad altri edifici, i ruandesi hanno
allestito le loro trincee". La Vicaria Generale delle Missionarie Comboniane,
Suor Annunziata Giannotti, ha poi raccontato alla MISNA che più
di un centinaio di persone asserragliate nella Procura Diocesana, non lontano
dalla Cattedrale, stanno letteralmente morendo di fame e di sete. "Sono
rinchiusi nell’edificio &emdash; ha detto la religiosa &emdash;
e rischiano di soccombere da un momento all’altro". "Ci chiediamo &emdash;
ha aggiunto padre Milani &emdash; cosa stia facendo la comunità
internazionale, visto e considerato che secondo alcune ambasciate presenti
nel Paese, a Kisangani sarebbe in atto la tregua. Questo conferma quanto
denunciato in più di una circostanza dai missionari: la grande disinformazione".
Padre Milani ha proseguito, dichiarando che i civili di Kisangani sono
indignati per il comportamento del personale delle Nazioni Unite presente
nella città congolese, che da troppo tempo era al corrente del mancato
rispetto del ‘cessate il fuoco’ tra forze militari ugandesi e ruandesi.
Padre Milani ha concluso ricordando che a Kisangani almeno un milione di
persone rischia la morte da un momento all’altro, precisando che il bilancio
delle vittime è molto più elevato di quanto annunciato da
fonti ufficiali.
CONGO-DEM.REPUBLIC, 9 GIU 2000 (12:36)
KISANGANI: MISSIONARI, "AIUTATECI"
"Qui a Kisangani siamo disperati!" A parlare
è un religioso del quale la MISNA mantiene l'anonimato. "I morti
sono tantissimi e quasi tutti intrappolati sotto le macerie. E' impossibile
avere una cifra esatta delle vittime perché uscire per strada è
rischiosissimo. Se non crepiamo per le bombe prima o poi moriremo di fame
e di sete. E' da lunedì che siamo praticamente senza acqua e le
scorte alimentari scarseggiano. Stiamo consumando le ultime bevande in
lattina nel magazzino di casa che finora non è stato centrato dalle
bombe. Lavarsi è impossibile perché la pompa dell'acqua è
fuori uso. Una scheggia ha spazzato via la tubatura. Non sappiamo dove
nasconderci e sentiamo urlare e piangere tanta gente. Non abbiamo notizie
dei nostri confratelli e degli altri religiosi presenti in città.
Nel giardino, qui fuori, ci sono alcune trincee militari ruandesi. Gli
ugandesi sparando contro di loro rischiano di farci fuori. Pregate per
noi".
KISANGANI: IN SERATA ANCORA SPARATORIE (BRIEF, GENERAL) |
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Alle 20:00 ora italiana, a Kisangani (nordest della Repubblica Democratica del Congo) perduravano gli scontri fra le truppe ruandesi e ugandesi che occupano la città. Come rilevato da fonti della MISNA, molti civili rimanevano pertanto intrappolati dal fuoco degli opposti schieramenti, in attesa dell’entrata in vigore del nuovo accordo di cessate il fuoco, raggiunto qualche ora prima con la mediazione dell’Onu. I contingenti di Kampala e di Kigali, alleati nell’ambito dello schieramento anti Presidente congolese Kabila, sono tornati a scontrarsi, a Kisangani, lunedì scorso. |
TRAGICA TESTIMONIANZA SU KASANGANI
Dal giornale "Le Soir" di giovedì, 8 giugno 2000
È alla clinica universitaria che si rivela il vero volto della guerra tra Ruandesi e Ugandesi che si disputano il centro di Kisangani. Nelle vicinanze di questi vasto edificio, già da anni senza nessuno, regna una calma strana. Le erbe sono alte, le donne raccolgono le foglie di manioca e i tuberi di amaranto, l'unico cibo delle famiglie da diversi giorni.
Ogni tanto una jeep vi conduce un militare ferito che viene deposto in una barella di legno e messo in fila con i suoi colleghi nella piccola stanza riservata ai soldati.
I feriti Congolesi sono allineati nel corridoio. Dal momento che l'acqua manca, ci si accontenta di pulire il sangue secco. Nessuno piange o geme; i feriti fissano il vuoto con abbandono e rassegnazione.
Una giovane, ricoverata da ieri, mostra il suo piede maciullato ed un odore di carne morta esce dal panno che lei stessa ha fissato sulla ferita. Una bambina mostra la sua guancia gonfiata da una scheggia e indica che la sua carne incomincia a imputridire. Una mamma ha avuto il torace trapassato da una pallottola e respira a singhiozzo.
L'infermiera sospira: "Questa notte stessa, nel corridoio, tre pazienti sono morti per mancanza di antibiotici per bloccare l'infezione". Ci conduce in una stanza dove riposa una donna dal viso sereno. Le mani congiunte sul "pagne" colorato, sembra un volto di cera.
Un chirurgo mi avvicina, con gli occhi umidi. "Lei aveva l'addome forato, l'ho operata questa notte. Per due ore, con strumenti non sterilizzati, alla luce di una torcia. In principio l'operazione era riuscita, era salva… ma poi è morta per mancanza di sangue. Per la trasfusione non abbiamo riserve".
Se i corridoi della clinica, dove arrivano i feriti che le persone trasportano sulla loro schiena, sembrano l'anticamera della morte, il sottosuolo dell'edificio sembra l'inferno.
Qui, da tre giorni, le persone sono bloccate, senza acqua, senza luce, senza viveri. Il caldo è soffocante, manca l'aria. Si geme dolcemente al tremito dei muri per ogni bomba, che scoppia lontana.
Il terrore è palpabile, e i civili, stanchi, non danno nessun segno di rivolta. La maggioranza sono del quartiere popolare della Tshopo, dove erano intrappolati tra i due fuochi delle due armate.
Morti a decine
Come contare i morti, i feriti? Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, che finora non ha avuto alcuna possibilità di spostarsi nei diversi ospedali della città, calcola 50 morti e un centinaio di feriti tra i civili, ma ascoltando le persone che provengono dalla zona Tshopo, il bilancio reale è molto più elevato, soprattutto alla 5a e alla 7a strada dove si combatte metro per metro.
Dalle notizie si ricava che un'intera famiglia è stata completamente sepolta sotto le macerie della propria abitazione, distrutta da una bomba; in una scuola, colpita in pieno il primo giorno sono morti 19 bambini. Ognuno parla del suo vicino, che ha avuto la casa distrutta, di bambini dispersi nella città.
Tutte le persone che noi incontriamo all'interno della clinica o nei quartieri dove i civili si spostano come dei fantasmi, tra le case bombardate, assicurano che i morti si contano a decine e che il bilancio delle vittime aumenta sempre più.
Come potrebbe essere diversamente? Ruandesi e Ugandesi si combattono strada per strada. Le cannonate annullano tutte le promesse di "cessate il fuoco" e soprattutto i feriti non hanno alcuna possibilità di essere curati. "Noi manchiamo di tutto - ripete il dott. Vornando Cikukho, un ginecologo riconvertito in chirurgo di guerra - medicine, anestetici, bende, ma anche acqua per la pulizia, luce per operare con facilità e correttamente".
La cattedrale in fiamme
I Congolesi, che non sono lontani dal credere di essere stati abbandonati da Dio e dagli uomini, e che non cessano di domandare: che cosa fanno le comunità internazionale, l'Onu, il presidente Clinton, il Belgio, hanno creduto di vedere in tutto questo la conferma della maledizione che pesa su di loro in questo momento.
A mezzogiorno, una bomba volutamente regolata è piombata sul tetto della cattedrale di Kisangani, vicino alla Procura. In pochi minuti la capriata in legno è stata preda delle fiamme e uno spesso fumo scuro è salito tra le lamiere del tetto. Questo incendio della cattedrale è apparso come il simbolo della distruzione di Kisangani; le campane, immediatamente, sono suonate per chiamare tutti gli uomini di buona volontà. La popolazione è accorso da tutte le direzioni con bidoni, secchi, taniche in plastica…
Gli ufficiali della "MONUC" si sono arrampicati sul tetto e hanno tentato di gettare acqua sul tetto in fiamme; i pochi estintori della Procura non funzionavano; i secchi d'acqua, gettati sull'incendio, erano come niente per la furia delle fiamme….
Nello stesso momento un "cessate il fuoco" provvisorio è stato decretato e si sono visti militari ruandesi e ugandesi lasciare immeditamente i loro walky-talky per preciparsi anche loro verso l'edificio in fiamme a fianco dei soldati dell'Onu.
Ma non si è potuto fare niente e dopo qualche minuto, la catena di solidarietà è ripartita in senso invreso perché si è dovuto vuotare la cattedrale di tutti gli oggetti di culto. Si è visto allora le statue dei santi, i quadri, i paramenti e gli stessi banchi e la cattedra del vescovo ammucchiarsi sul prato antistante, mentre il fumo saliva alto nel cielo, più in alto della traiettoria delle bombe…
Allontanare i testimoni
Alla fine della giornata, gli ufficiali della MONUC tentano ancora l'impossibile: fare accettare dalle due parti di mettere fine ai loro insensati combattimenti, aprire una zona smilitarizzata in cui gli osservatori possano prendere posizione con la loro bandiera blu e le loro vetture con il simbolo ONU e trovare una soluzione per il ritiro delle truppe. Ma i loro sforzi sembrano perfino ridicoli, come il salvataggio di una cattedrale che celebra tra poco il centenario della sua fondazione, come l'appello ai principi del diritto internazionale…
In effetti gli osservatori militari hanno la sensazione sempre più netta di essere presi come cavie dalle due armate che attendono solo la partenza degli osservatori esterni.
Effettivamente, l'incendio della cattedrale, le bombe che distruggono sistematicamente gli edifici della Procura, le cannonate che hanno completamente distrutto il secondo edificio che ospita la MONUC e che per miracolo non hanno fatto vittime, non possono essere interpretati come fatti casuali.
Tutto avviene come se l'ONU fosse in procinto di essere cacciata da una città dove Dio e gli uomini di buona volontà hanno da molto tempo distolto lo sguardo.
Kisangani à feu et à sang! |
Goma, jeudi, le 8.6.2000
Je suis bloqué ici à Goma, pris pas l'enfer qu'est en train de vivre la population et nos confrères à Kisangani. La cathédrale de Kisangani est au feu, fortement endommagée par un obus de canon. L'église de St Joseph Artisan a été touchée elle aussi, ainsi que le couvent, mais nos pères sont sains et saufs. L'église de Mangobo, des pères Jésuites, a reçu elle aussi plusieurs obus, le presbytère est atteint, mais ici aussi personne n'est blessé! La Maison Sacré-Cœur a été, elle aussi, atteinte par 4 fois: le garage et un véhicule sont démolis, le hangar-magasin et la chambre des chauffeurs sont fortement endommagés. La chambre de Nicolas a été frappée une fois de plus. Mais la maison centrale, dans laquelle Nicolas s'est réfugié avec Anastasie, la lingère, avec le jardinier, ainsi que deux pères dominicains, qui l'ont rejoint mardi, après que leur maison a été pillée, n'a pas encore été atteinte directement jusqu'à maintenant. C'est presque un miracle! Par contre toutes les maisons alentour du provincialat sont éventrées.
Le centre des handicapés "SIMAMA" est lui aussi dévasté par les obus de mortier, et le père Martin, bloqué en ville jusqu'à mardi, a pu arriver ce matin sain et sauf à St Gabriel. l'école Maele n'a pas été épargnée, sans qu'on sache exactement les dégâts. Ici aussi les pères sont indemnes et se tirent avec la peur.
Toute la ville est sans eau et électricité depuis lundi et il n'existe pas de possibilité de s'aventurer dehors pour puiser l'eau à une source. Pas moyen de préparer un repas, faute d'eau!
Voilà le calvaire et l'enfer dans lequel se trouvent pris nos pères et toute la population de Kisangani. Impossible de donner un bilan de morts et de blessés. On ne peut que prier et espérer que cette folie cesse au plus vite. J'essaie de rentrer à Kisangani avec le premier avion qui part, sans doute un avion de la MINUC, c.à.d. ONV.
Père Hansen Matthias
(TESTO ORIGINALE IN FRANCESE
del brano preso da "LE SOIR")
KISANGANI DANS UNE GUERRE QUI N'EST PAS LA SIENNE
"Le Soir" - jeudi 08.06.2000 - Kisangani, de notre envoyée spéciale, Colette Braeckman
C'est à la Clinique universitaire que se révèle le véritable visage de la guerre entre Rwandais et Ougandais, qui se disputent toujours le coeur de Kisangani. Autour de ce vaste bâtiment, déjà délabré par des années d'incurie, règne un calme étrange. Les herbes sont hautes, des femmes cueillent des feuilles de manioc et des bottes d'amarante, la seule nourriture des familles depuis plusieurs jours.
De temps en temps, une jeep amène un militare blessé, débarqué sur un brancard de bois et qui sera aligné avec ses collègues dans la petite chambre réservée aux soldats.
Les blessés congolais, eux, sont allongés dans le couloir. Comme l'eau manque, on se contente de balaver le sang séché, en contournant les silhouttes recroquevillées, tournées vers le mur. Personne ne pleure ou ne gémit, les gens fixent le vide avec abattement et résignation.
Une fillette amenée la veille désige son pied broyé et une odeur de chair morte se dégage déjà du tissu qu'elle a serré sur sa blessure. Une autre gamine montre sa joue enflée par un éclat d'obus et indique que sa chair commence déjà a s'inteler. Une maman a eu le thorax traversé par une balle et elle respire en sifflant.
L'infirmier soupire: Cette nuit même, dans le couloir, trois patients sont décédés car nous n'avions pas d'antibiotiques pour stopper les infections. Il nous amène vers une petite pièce où repose une femme au visage serein. Les mains jointes sur son pagne coloré, elle semble figée dans le cire.
Un chirurgien s'approche, les yeux embués: Elle avait l'abdomen perforé, j'ai opérée cette nuit durant deux heures, avec des instruments non stérilisés à la lumière d'une lampe torche. En principe, l'opération avait réussie, elle était sauvée. Mais elle est morte quand même, vidée de son sang, car nous n'avons pas de perfusion, pas de réserves de sang.
Si le couloirs de la clinique, où affluent les blessés que les gens transportent sur leur dos, paraissent l'antichambre de la mort, les caves de l'établissement ressemblent à l'enfer.
Ici, depuis trois jours, les gens sont terrés, sans eau, sans lumière, sans nourriture. La chaleur est étouffante, on manque d'air, on gémit doucement lorsque les murs tremblent à chaque obus tiré au loin. La terreur est palpable, et les civils épuisés ne se révoltent même plus. La plupart d'entre eux sont venus du quartier populaire de la Tschopo, où ils étaient pris au piège des combats acharnés entre led deux armées.
Des morts par dizaines
Comment évaluer les morts, les blessés? Le Comité international de la Croix-Rouge, qui n'a pas encore pu se déplacer vers les hôpitaux de la ville, évalue à 50 morts et une centaine de blessés les victimes civiles, mais, à écouter les gens venus de la Tshopo, le bilan réel serait bien plus élevé, surtout au niveau de la 5e et de la 7e rue où les combats se déroulent presque mètre par mètre.
Des récits évoquent une famille entière anéantie sous les décombres de sa maison frappée par un obus, une école touchée de plein fouet le premier jour, où périrent 19 enfants. Chacun parle de son voisin touché dans sa parcelle par un éclat, de ses enfants égarés dans la ville…
Tous les Congolais que nous interrogeons dans l'enceinte de la clinique ou dans la cité où des civils errent comme des fantômes entre les maisons trouées, assurent que les morts se comptent par dizaines, que le bilan des victimes ne cese de s'alourdir.
Comment pourrait-il en être autrement? Rwandais et Ougandais se battent pratiquement rue par rue, les tirs de mortier dirigés sur la ville défient toutes les promesses de cessez-le-feu, et surtout les blessés n'ont pratiquement aucune chance de s'en sortir.
Nous manquons de tout, répète le docteur Komando Cikukho, un gynécologue reconverti en chirurgien de guerre, de médicaments, d'anesthésiques, de pansements, mais aussi d'eau pour nettoyer les lieux, de lumière pour opérer correctement.
La cathédrale en feu
Le Congolais qui n'étaient pas loin de croire qu'ils étaient abandonnés de Dieu et des hommes, et qui ne cessent de demander ce que font la communauté nternationale, la Belgique, l'ONU, le président Clinton, ont cru voir la confirmation de la malédiction dont ils estiment être l'objet lorsque, sur le coup de midi, un obus soigneusement ajusté est tombé sur le toit de la cathédrale de Kisangani, à côté de la Procure.
En quelques instants, la charpente de bois a été la proie des flammes et une lourde fumée brune est montée entre les tôles du toit. Cet incendie de la cathédrale est apparu comme le symbole de la destruction de Kisangani: les cloches, immédiatement, ont sonné le rappel de toutes les bonnes volontés, les gens ont afflué de partout, avec des bidons, des seaux, des jerrycans de plastique.
Les officiers de la MONUC sont grimpés sur le toit de l'édifice en essayant de jeter de l'eau sur les boiseries on flammes. Mais les quelques extincteurs de la Procure ne fonctionnaient pas, les seaux d'eau jetés sur l'incendie étaient dérisoires devant la fureur tenace des flammes…
Alors qu'un cessez-le-feu provisoire était soudain décrété, on vit des militaires rwandais et ougandais rapidement délaisser leurs talkies-walkies pour se précipiter eux aussi vers le bâtiment en flammes, aux côtés des soldats onusiens. Mais rien n'y a fait: après quelques instants, la chaîne de solidarité repartit en sense inverse, lorsqu'il fallut vider la cathédrale de tous les objets du culte. On vit alors les saints, les tableaux, les chasubles, et même les bancs et la chaire de vérité s'entasser sur la pelouse tandis que la fumée montait haut dans le ciel, bien au-delà de la trajectoire des obus…
Chasser les témoins
En fin de journée, les officiers de la MONUC tentaient toujours l'impossible: faire accepter, par les deux parties, de mettre fin à leurs combats insensés, d'ouvrir une zone démilitarisée au milieu de laquelle les observateurs prendraient position avec leurs drapeux bleus et leurs véhicules frappés de sigle onusien, et d'entamer enfin le retrait des troupes. Mais leurs efforts semblaient aussi dérisoires que le sauvetage d'une cathédrale qui célébrait voici peu le centième anniversaire de sa fondation, aussi dérisoires que le rappel des principes du droit international… En effet, les observateurs militaires ont le sentiment de plus an plus net d'être pris pour cibles par deux armées qui souhaitent également le départ d'observateurs extérieurs.
Car l'incendie de la cathédrale, les obus qui détruisent systématiquement les bâtiments de la Procure, les tirs, qui ont complètement détruit le deuxième bâtiment qui abrite la MONUC et qui par miracle n'a pas fait de victimes, ne peuvent pas être intérprétés comme le fait du hasard.
Tout se passe comme si lONU était en passe d'être congediée d'une ville d'où Dieu et les hommes de bonne volonté auraient depuis longtemps détourné le regard…
Kisangani: devastation in fire and blood! |
Goma, Thursday June, 6,2000
I am blocked in Goma, anxious about the perverse situation that the people and our confreres are going through in Kisangani. The cathedral in Kisangani is burning, heavily damaged by a bomb. St. Joseph the Worker church has also been damaged, so is the convent, but our confreres have been spared. The Jesuit church in Mangobo had its share of bombs and rockets: the rectory has been damaged but, thank God, nobody was hurt! Sacred Heart House was also a target: four times the rockets hit, destroying the garage, a vehicle; the shed/stockroom and the "chauffeurs'" bedroom were severely damaged. Nicolas's bedroom was once more hit. But the house where Nicolas (Fr. Hansen) found refuge, together with Anastasia, the laundry mistress and the gardener, and two Dominican Fathers who joined them last Tuesday after their house had been plundered, this house has not been directly hit so far. Almost a miracle! On the other hand, all the houses surrounding the Provincialate have been ripped open.
The SIMAMA Center for handicapped persons has also been destroyed by rockets and Fr. Martin Konings who was blocked in the city till Tuesday, made it safely to St. Gabriel Mission. Maele Institute has not been spared but we don't know to what extent. Once again, here and there, our confreres are unharmed and they live under the pressure of fear.
The whole city has neither water nor electricity since last Monday and there is no way of trying to go outside to draw water from a spring. Impossible to cook a meal without water!
This is our actual Calvary and the perverse situation with which our confreres and the whole people of Kisangani have to cope. Impossible to number the casualties, dead and injured. All we can do is PRAY and HOPE that this madness will come to an end as swift as possible. I am trying to get back to Kisangani by the next plane, probably a plane from the UNO-Congolese-Mission (MONUC).
Fr. Matthias Hansen, scj
provincial superior