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Nel novembre del 2000, P. José Alfredo Caires de Nobrega è stato nominato vescovo della diocesi di Mananjary in Madgascar (652 600 abitanti, 96 200 cattolici, cf. http://www.scj.org/scj_homp/documents/new_bishops_12_2000.html) Ecco un’intervista con il nuovo vescovo dehoniano:
Ogni vescovo ha il suo stemma vescovile. Lei lo ha già scelto?
Più o meno sì, però finora c’è soltanto un abbozzo: appare l’albero RAVINAL che rappresenta la nostra foresta; al centro di questo albero c’è il simbolo del Sacro Cuore; sotto ci saranno strisce in blu che ricordano la nostra montagna, il mare e i nostri laghi e fiumi. Tutti e tre insieme formano un’A e una M per indicare l’Ave Maria alla quale affidiamo le nostre case, raffigurate in modo tipico per la nostra zona nel fondo dello stemma. Tutto questo troverà il suo fondamento -- non solo nello stemma -- ma anche nel motto che ho scelto: Dio è la mia forza!
Come descriverebbe la situazione della Chiesa nella diocesi di Mananjary?
In un certo senso siamo ancora nella fase della prima evangelizzazione. Soltanto 60 anni fa si è cominciato con una evangelizzazione sistematica da parte dei Gesuiti. Nel ’68 Mananjary è diventata diocesi. È stato l’ultimo vescovo, Mons. Xavier Tabao sj che ha cercato di dare strutture pastorali alla diocesi. È stato lui anche a invitare congregazioni di religiosi e religiose di venire a Mananjary.
Quale è l’idea che orienta la pastorale della diocesi di Mananjary?
Come quasi dappertutto in Africa anche da noi ci identifichiamo con l’immagine di Chiesa-Famiglia. E questa immagine orienta pure la nostra pastorale, la vita parrocchiale. Abbiamo pochissimi preti per centinaia e centinaia di comunità cristiane [7 sacerdoti secolari, 23 religiosi, fra questi 6 dehoniani]. Però ogni comunità cristiana ha il suo comité, un po’ come un consiglio di famiglia, costituito da uomini, donne, bambini che dovrebbero rappresentare tutti gli ambienti della vita parrocchiale.
Quanti sono i cattolici nella zona di Mananjary?
Arriviamo appena al 10 per cento. Però un fenomeno tipico per il nostro paese è che ci sono moltissimi per cosi-dire simpatizzanti, cioè gente che non è battezzata ma che partecipa alla vita parrocchiale, alle preghiere, che aiuta addirittura nella catechesi. Può capitare che sono proprio loro, spesso giovani, che nella messa -- senza ricevere la comunione -- fanno alla fine le più belle preghiere di ringraziamento per il dono dell’eucaristia. Penso che questi ‘simpatizzanti’ costituiscono il 60 per cento delle nostre comunità. Invece nelle statistiche e nei documenti non appaiono.
Come spiegare un tale fenomeno?
È piuttosto un fenomeno sociale, meno una questione di convinzione religiosa. Tantissima gente nella nostra zona non possiede nessun documento civile, nessun certificato di nascita. Ci sono villaggi interi dove non si trova nessuna persona con tali documenti. Lo stato non ha mai preso cura di questo, ma le conseguenze sono che questa gente non appare nelle statistiche dello stato, con gravi effetti per la distribuzione di scuole, soldi, infrastrutture sanitarie etc. Perché costruire una scuola dove ufficialmente non c’è gente? Poi questo fenomeno sociale ha creato una certa mentalità che si prolunga anche nell’ambiente della Chiesa: Cosa serve un documento di battesimo? Recentemente insistiamo molto su tali documenti, per esempio per i matrimoni (che per conseguenza sono pochi). Vogliamo fare muovere la gente, per che sia più chiara rispetto alla propria convinzione religiosa, ma anche per migliorare la programmazione delle infrastrutture nella nostra zona da parte dello stato.
Nel territorio della diocesi di Mananjary la maggioranza della popolazione aderisce a religioni tradizionali tipo animista. Com’è l’atteggiamento della chiesa di fronte a queste religioni?
Senz’altro il dialogo. È un processo di comprensione reciproca. Il cristianesimo come l’abbiamo imparato e vissuto in Europa non corrisponde sempre alla mentalità, ai valori, ai concetti di vita dei malgasci. Dobbiamo fare lo sforzo di capire la loro vita, la loro fede tradizionale, la loro mentalità, per poi parlare e testimoniare della nostra fede in un modo che possa essere compreso dalla gente.
Un esempio di questa mentalità tanto diversa?
Certo. Per noi europei e il nostro cristianesimo, il concetto di persona ha una stragrande importanza. Invece qui l’ambiente intorno a te, la natura è tanto importante per la gente che la persona a volte è relegata al secondo posto. Se piove o no, questo è più importante di una persona che piange o no.
Adesso diventato vescovo, che cosa si aspetta dai dehoniani nella diocesi?
Due cose. Prima di tutto che continuino la loro missione. La scelta di questa zona 20 anni fa non è stata arbitraria. Fra le zone, dove i vescovi (da diversi paesi e continenti) ci chiedevano di lavorare, la provincia portoghese in quell’epoca aveva scelto la più povera: Mananjary. E nella stessa diocesi abbiamo spesso rifiutato privilegi o incarichi di un più grande prestigio, sempre con l’intenzione di rimanere fedeli alla prima scelta, alla prima opzione. Mananjary è una zona trascurata dallo stato, e la chiesa è diventata una delle poche speranze della gente. Dunque mi auguro che la presenza dei dehoniani possa continuare in questo spirito. Poi insisterei molto su una buona formazione dei candidati dehoniani. Anche come vescovo direi che a lungo è più fecondo di investire molto nella formazione -- anche se significa a volte ritirare un confratello da una parrocchia.
La sua nomina data dal novembre 2000, la consacrazione invece sarà soltanto nel mese di marzo 2001. Perché così tardi?
C’è un motivo molto semplice legato alla geografia e alla povertà della nostra zona. Da una parte le montagne, i fiumi, la grande foresta e dall’altra parte una mancanza di mezzi di comunicazione. Tante comunità cristiane non sono raggiungibili con la macchina. Non sono sicuro che entro il mese di marzo tutte le comunità della diocesi sapranno che c’è un nuovo vescovo. Ma farò di tutto per visitare tutte le comunità il più presto possibile.
Jeder Bischof hat sein eigenes Wappen und sein offizielles Motto. Haben Sie schon etwas derartiges?
Mehr oder weniger. Bis jetzt gibt es jedoch nur einen Entwurf für das Wappen: Darin wird der Ravinal, der typische Baum der Wälder unserer Gegend auftauchen, und in der Mitte des Baumes wird das Herz-Jesu-Logo zu sehen sein. Darunter werden verschiedene blaue Linien unsere Berge, Flüsse, Seen und das Meer andeuten. Diese Linien zusammen bilden ein A und ein M, das Ave Maria. Marie vertrauen wir den Schutz unserer Häuser an, die darunter in ortsüblicher Weise angedeutet sind. Unter alledem als Fundament -- nicht nur des Wappens! -- der von mir gewählte Leitspruch: Gott ist meine Stärke!
Wir würden Sie die Situation der Kirche in der Diözese Mananjary beschreiben?
In gewisser Hinsicht sind wir immer noch in der Phase der Erstevangelisierung. Erst vor 60 Jahren begannen die Jesuiten mit einer Art systematischen Evangelisierung. 1968 wurde die Diözese errichtet. Mein Vorgänger, Mons. Xavier Tabao sj hat begonnen, der Diözese zu pastoralen Strukturen zu verhelfen. Er hat ebenfalls die Initiative ergriffen, um Ordensgemeinschaften in die Diözese zu holen.
Gibt es so etwas wie ein Leitbild für die Pastoral in Mananjary?
Wie fast überall in Afrika identifizieren auch wir in Madagaskar uns stark mit dem Bild der Kirche-Familie. Und dieses Paradigma hat Auswirkungen auf unsere Pastoral, auf das Gemeindeleben. In unserer Diözese gibt es äußerst wenig Priester, aber hunderte von christlichen Gemeinden bzw. Gemeinschaften [7 Weltpriester, 23 Ordenspriester, davon 6 Dehonianer]. Jede Gemeinde hat jedoch eine Art von Familienrat, in dem Frauen, Männer, Alte, Kinder etc. alle Bereiche des gemeindlichen Lebens vertreten sollen.
Wie hoch ist der prozentuale Anteil von Katholiken an der Bevölkerung in Mananjary?
Wenn überhaupt kommen wir gerade auf 10%. Jedoch gibt es ein für unsere Gegend sehr typisches soziales Phänomen: sehr, sehr viele sozusagen ‚Sympathisanten’, d.h. Menschen, die nicht getauft sind, die aber am gesamten Gemeindeleben teilnehmen, an den Gebetszeiten, mitunter sogar in der Katechese aktiv sind. Es kommt vor, dass diese ‚Sympathisanten, oftmals junge Menschen, am Ende einer Messe -- ohne die Kommunion empfangen zu haben -- die schönsten Dankgebete für das Geschenk der Eucharistie formulieren. Ich denke, dass diese ungetauften ‚Sympathisanten’ ca. 60% unserer Gottesdienstbesucher ausmachen.
Wie kann man ein solches Phänomen erklären?
Es hat mehr mit sozialen Rahmenbedingungen als mit religiöser Überzeugung zu tun. Zahlreiche Menschen in unserer Gegend besitzen kein einziges ziviles Dokument, z.B. Geburtsbescheinigung. Es gibt Dörfer, in der kein einziger derartige Dokumente besitzt. Der Staat hat sich nie um unsere Gegend und die Ausstellung solcher Dokumente gekümmert. Demzufolge tauchen diese Menschen auch in keiner staatlichen Statistik auf, und das hat schwerwiegende Folgen für die Planung der Infrastruktur, Verteilung von Geldern, Ansiedlung von sozialen und sanitären Einrichtungen. Warum soll man eine Schule bauen, wo offiziell kaum Menschen sind? Dieses Phänomen hat dann auch eine bestimmte Mentalität geprägt, die auch in den Bereich der Kirche eingedrungen ist: Wozu ein Taufzeugnis? Seit einiger Zeit dringen wir sehr auf den Vorweis zuviler Dokumenter (z.B. bei Trauungen). Wir möchten damit zu einer größeren Klarheit und Verbindlichkeit bzgl. religiöser Überzeugungen beitragen, aber gleichzeitig die Möglichkeiten einer Planung der Infrastruktur unserer Gegend durch den Staat verbessern.
Die Mehrheit der Bevölkerung im Bereich der Diözese Mananjary praktizierit die traditionellen animistischen Religionen. Welche Haltung hat die Kirche gegenüber diesen Religionen?
Auf jeden Fall eine Haltung des Dialoges. Es geht um einen Prozess gegenseitigen Verstehens. Das Christentum, so wie wir es in Europa kennengelernt und gelebt haben, entspricht oft nicht der Mentalität, den Werten, den Lebenskonzepten der Menschen in Madagaskar. Deshalb müssen wir uns bemühen, ihr Leben, ihren traditionellen Glauben, ihre Mentalität zu verstehen, um dann in einer Weise von unserem Glauben zu reden und zu zeugen, die verstanden werden kann.
Ein Beispiel für diese so andere Mentalität?
Für uns Europäer und unser Christentum ist zum Beispiel die Person von zentraler Bedeutung. Hier jedoch hat die Natur, Deine gesamte natürliche Umwelt eine derart hohe Bedeutung, dass die Person selbst oft zweitrangig ist. Ob es regnet oder nicht, ist oft wichtiger als ein Mensch, der weint oder nicht.
Jetzt, da Sie Bischof geworden sind, was erwarten Sie sich von den Dehonianern in Ihrer Diözese?
Zweierlei. Erstens vor allem, dass sie ihre Mission weiterführen. Die Entscheidung für Mananjary vor 20 Jahren war keine zufällige. Unter den Gebieten, in denen zahlreiche Bischöfe aus ganz unterschiedlichen Ländern uns um Mitarbeit baten, hat die portugiesische Provinz damals ganz bewusst die ärmste Region gewählt -- Mananjary. Seitdem haben wir oft in der Diözese bequemere und prestigeträchtigere Aufgaben abgelehnt, um unserer ersten Entscheidung und unserer Option treu zu bleiben. Mananjary ist eine Region, die vom Staat völlig vernachlässigt wird, und die Kirche ist eine der wenigen Hoffnungen der Menschen geworden. Deshalb wünsche ich mir, dass die Arbeit von Dehonianern in demselben Geist weitergeführt werden kann. Zweiten würde ich großen Nachdruck auf die Ausbildung von Ordenskandidaten legen. Auch als Diözesenbischof weiß ich, dass sich eine gute und intensive Ausbildung auf lange Sicht auszahlt, auch wenn das mitunter bedeuten kann, dass die Ordensgemeinschaft einen Mitbruder aus der Gemeindearbeit herauszieht.
Sie wurden bereits im November 2000 nominiert, die Bischofsweihe erfolgt aber erst im März 2001. Warum ist soviel Zeit dazwischen?
Dafür gibt es einen einfachen Grund, der sowohl mit der Geographie als auch mit der Armut unserer Gegend zu tun hat. Zum einen die Berge, die großen Flüsse, der Urwald, zum anderen die fast völlige Fehlen von Kommunikationsmitteln. Und zahlreiche Gemeinden sind mit dem Auto gar nicht erreichbar. Ich bin nicht sicher, dass zum Zeitpunkt der Bischofsweihe im März alle Gemeinden die Nachricht schon erhalten haben, dass es einen neuen Bischof gibt. Aber ich werde alles daran setzen, um meinerseits baldmöglichst alle Gemeinden zu besuchen.
In November of 2000, Fr. José Alfredo Caires de Nobrega, scj, was named bishop of the diocese of Mananjary in Madagascar (652,600 inhabitants, 96,200 Catholics, cf. http://www.scj.org/scj_homp/documents/new_bishops_12_2000.html). What follows is an interview with the new bishop done by Stefan Tertünte (GE).
Every bishop has his coat of arms. What have you chosen?
At the moment I only have more or less a proof. The focal point is the Ravinal tree that represents our forests; at the center of the tree there is the symbol of the Sacred Heart; under this there will be blue lines that stand for our mountain, the sea and our lakes and rivers. All three together form an A and M indicating the Ave Maria to whom we place all our needs. The base of the coat of arms depicts our area in a typical way. All this is basic, not only in the coat of arms, but also in the motto I have chosen: God is my strength!
How would you describe the situation for the church in the diocese of Mananjary?
In a certain sense we are in the initial phase of the first evangelization. It is only for the last 60 years that evangelization has taken place in a systematic way by the Jesuits. In 1968 Mananjary became a diocese. It was my predecessor, Bishop Xavier Tabao, sj, who looked for ways to provide a pastoral structure for the diocese. He was the one who invited religious communities of men and women to come to Mananjary.
What is the pastoral direction in the diocese of Mananjary?
As is found all over Africa also for us we identify the Church as a family. It is this image that governs our pastoral work and the life of our parishes. We have very few priests for hundreds upon hundreds of Christian communities (7 diocesan priests, 23 religious priests, including 6 scjs). Still every Christian community has its own committee that acts something like a family council, consisting of men, women and children who represent all the inhabitants in the life of the parish.
How many Catholics are there in Mananjary?
At present we have represent about 10% of the population. However a phenomena typical for our country is that there are many who say they are sympathetic towards the Church, that is people who are not yet baptized but participate in the life of the parish, at prayer, and who help with catechetics. Eventually the find their place, especially the young, in the Mass, without receiving communion -- they often offer a beautiful prayer of thanksgiving for the gift of the Eucharist. I think these sympathizers represent about 60% of the people in our communities. They do not appear in the official statistics.
How to explain this phenomena?
It’s more a social phenomena and less a question of religious conviction. Above all the people in our area do not have any civil documentation, not even a birth certificate. There are some villages in the interior where you’ll find no one with any form of civil documentation. The state does not have any way of changing this and the consequences of people not appearing in state statistics have grave effects on schools the distribution of money, sanitary infrastructure, etc. Why build a school where ‘officially’ there are no people? This social phenomena has created a certain mentality in the Church as well: Why is there a need for a baptismal certificate? Recently there has been great insistence on having such documentation, as for example for matrimony (but the results are few). We want to motivate the people, to clearly respect proper religious conventions, but also to have the state improve the social infrastructure in our area.
In the diocese of Mananjary the majority of the population practice their traditional animistic religion. How does the Church deal with this religion?
Above all through dialogue. It is a process of reciprocal understanding. The Christianity we have learned and received in Europe does not always correspond to the mentality, the values and the concrete reality of the Malagasy. We have to work hard to understand their life, their traditional faith, their mentality so that we are then able to speak and give witness to our faith in a way that the people will be able to understand.
Can you give an example of this diverse mentality?
Certainly. For we Europeans, and our Christianity, the concept of the person is of great importance. While here it is the surroundings, nature that is most important for the people, to such an extent that the person is relegated to second place. If it does or does not rain, is more important than a person who does or does not cry.
Now that you have become bishop, what to you expect from the scjs for your diocese?
Two things. First of all that they continue their work. The choice of
this area 20 years ago was not an arbitrary one. From the areas where bishops
(from different countries and continents) invited us to work, the Portuguese
Province chose to work among the poor: Mananjary. In this diocese we have
always refused privilege or prestigious works, we have always remained
faithful to the our first choice, our primary option. Mananjary is an area
neglected by the state, and the Church has become in a small way a beacon
of hope for the people. My wish, therefore, is for the scjs to continue
their work in this same spirit. I also will insist on good formation for
the scj candidates. As a bishop I would say there is no more fruitful place
to invest than in formation -- even if it means withdrawing a confrere
from a parish.
You were named in November, 2000, but your consecration will only
be in March 2001. Why so late?
It's for a very simple motive having to do with the geography and poverty
of our area. A part is mountainous, another forest and rivers and all parts
lack the means of good communication. Many of the Christian communities
are inaccessible by car. I am not even sure if even by March all the communities
in the diocese will know that there is a new bishop. But we will do all
in our power to visit all the communities as quickly as possible.
Entrevista com Mons. José Alfredo Aires de Nóbrega, SCJ
Em novembro de 2000, P. José Alfredo Aires de Nóbrega foi nomeado bispo da diocese de Mananjary, em Madagascar ( 652.600 habitantes; 96.200 católicos, cf. http://www.scj.org/scj_homp/documents/new_bishops_12_2000.html).
Eis a entrevista com o novo bispo dehoniano:
Todo bispo tem um brasão episcopal. O sr. já escolheu o seu?
Em princípio, sim. Por enquanto, porém, é apenas um esboço: no campo aparece a RAVINAL que representa a nossa floresta; no centro desta árvore, está o símbolo do Coração de Jesus; embaixo, listras em azul que recordam a nossa montanha, o mar e os nossos lagos e rios. Todos os três juntos formam um A e um M, iniciais da Ave Maria, a quem confiamos as nossas casas, representadas de modo típico em nossa região, no fundo do brasão. Tudo isso encontrará seu fundamento não só no brasão, mas também no lema que escolhi: Deus é a minha força!
Como o sr. descreveria a situação da Igreja na diocese de Mananjary?
Em certo sentido, estamos ainda na fase da primeira evangelização Faz somente 60 anos que começou a evangelização sistemática pelos jesuítas. Em 1968, Mananjary tornou-se diocese. D. Xavier Tabao sj, o último bispo, procurou dar estruturas pastorais à diocese. Foi ele também que convidou congregações de religiosos e religiosas para vir a Mananjary.
Qual é a idéia que orienta a pastoral da diocese de Mananjary?
Como em quase toda a África, também nós nos identificamos com a imagem da Igreja-família. E essa imagem orienta também a nossa pastoral, a vida paroquial. temos pouquíssimos sacerdotes para centenas e centenas de comunidades cristãs (7 sacerdotes seculares e 23 religiosos, entre esses, 6 dehonianos). Cada comunidade cristã, porém, tem sua comissão, uma espécie de conselho de família, formado por homens, mulheres e crianças que devem representar todos os ambientes da vida paroquial.
Quantos são os católicos de Mananjary?
Somos apenas dez por cento. Um fenômeno típico de nosso país são os muitíssimos assim-chamados "simpatizantes", isto é, gente que não é batizada, mas participa da vida paroquial, das orações, que ajuda inclusive na catequese. Muitas vezes acontece que são justamente esses, jovens principalmente, que na missa, sem receber a comunhão, fazem as mais belas orações de agradecimento pelo dom da eucaristia. Penso que esses "simpatizantes" constituem 60 por cento de nossas comunidades. Mas não aparecem nas estatísticas nem nos documentos.
Como explicar tal fenômeno?
É antes um fenômeno social que uma questão de convicção religiosa. Muitíssimos na região não possuem nenhum documento civil, nenhum certificado de nascimento. Há aldeias no interior onde não se encontra uma pessoa com tais documentos. O Estado jamais se preocupou com essa questão, mas as conseqüências são que essa gente não aparece nas estatísticas do Estado, com graves efeitos na distribuição das escolas, do dinheiro, das infra-estruturas sanitárias etc. Por que construir uma escola onde oficialmente não há gente? Esse fenômeno social criou uma certa mentalidade que se prolonga também no ambiente da Igreja: pra que serve um documento de batismo? Ultimamente, viemos insistindo muito sobre a necessidade de tais documentos, por exemplo para os casamentos (que, por conseguinte, são poucos). Queremos que o povo se mova, para que haja claro respeito à própria convicção religiosa, mas também para melhorar a programação das infra-estruturas em nossa região, por ´parte do Estado.
No território da diocese de Mananjary a maioria da população adere a religiões tradicionais de tipo animista. Qual é a atitude da Igreja diante dessas religiões?
Sem dúvida, o diálogo.É um processo de compreensão mútua. O cristianismo, como aprendemos e vivemos na Europa não corresponde sempre à mentalidade, aos valores, aos conceitos de vida dos malgaxes. Devemos fazer o esforço de entender a vida, a fé tradicional e a mentalidade deles, para depois falar e testemunhar a nossa fé, de modo que possa ser compreendida por eles.
Um exemplo dessa mentalidade tão diferente.
Pois bem! Para nós, europeus e o nosso cristianismo, o conceito de pessoa tem uma importância muito grande. Pelo contrário, aqui, o ambiente em redor, a natureza é tão importante para as pessoas que a própria pessoa às vezes é relegada a segundo plano. Se chove ou não, isso é muito mais importante que uma pessoa que chora ou não.
Agora, como bispo, o que espera dos dehonianos de sua diocese?
Duas coisas. Antes de tudo que continuem a sua missão. A escolha desta região, há 20 anos, não foi arbitrária. Entre as regiões onde os bispos (de diversos países e continentes) nos pediam para trabalhar, a província portuguesa, naquela época, escolheu a mais pobre: Mananjary. E na mesma diocese, muitas vezes, rejeitamos privilégios e encargos de maior prestígio, sempre com a intenção de permanecer fiéis à primeira escolha, à primeira opção. Mananjary é uma região esquecida pelo Estado, e a Igreja tornou-se uma das poucas esperanças do povo. Portanto, espero que a presença dos dehonianos possa continuar nesse espírito. Depois, insistiria muito sobre uma boa formação dos candidatos dehonianos. Como bispo, diria que é mais fecundo a longo prazo investir muito na formação, mesmo que isso signifique, às vezes, retirar algum confrade de uma paróquia.
A sua nomeação foi em novembro de 2000; a ordenação episcopal, porém, será somente no mês de março de 2001. Por que tanta demora?
Há um motivo muito simples ligado à geografia e à pobreza da região. De uma parte, as montanhas, os rios, a grande floresta e, de outra, uma falta de meios de comunicação. Muitas comunidades cristãs não podem ser visitadas com carro. Não estou certo se até o mês de março todas as comunidades da diocese ficarão sabendo que há um novo bispo. Mas farei tudo ´para visitar todas as comunidades o mais breve possível.
Entrevista con Mons. José Alfredo Caires de Nobrega, scj
En noviembre de 2000, el P. José Alfredo Caires de Nobrega fue nombrado obispo de la diócesis de Mananjary en Madgascar (652.600 habitantes, 96.200 católicos, cf. http://www.scj.org/scj_homp/documents/new_bishops_12_2000.html) Aquí tenéis una entrevista con el nuevo obispo dehoniano:
Todo obispo tiene su escudo episcopal. ¿Usted ya lo ha elegido?
Más o menos sí, pero hasta ahora tan solo tengo un boceto: aparece el árbol Ravinal que representa nuestra selva; en el centro de este árbol está el símbolo del Sagrado Corazón; debajo tendrá franjas en azul que recuerdan nuestra montaña, el mar y nuestros lagos y ríos. Los tres juntos forman una A y una M para indicar el Ave Maria a la cual confiamos nuestras casas, representadas en el modo típico de nuestra zona en el fondo del escudo. Todo esto encontrará su fundamento, no solo en el escudo, sino también en el lema que he elegido: "¡Dios es mi fuerza!".
¿Cómo describiría la situación de la Iglesia en la diócesis de Mananjary?
En cierto sentido estamos aún en la fase de la primera evangelización. Tan solo hace 60 años se comenzó una evangelización sistemática por parte de los Jesuitas. En el 68 Mananjary se convirtió en diócesis. El último obispo, Mons. Xavier Tabao sj buscó dar estructuras pastorales a la diócesis. También fue él quien invitó a congregaciones de religiosos y religiosas a ir a Mananjary.
¿Cuál es la idea que orienta la pastoral de la diócesis de Mananjary?
Como casi en toda África, también nosotros nos identificamos con la imagen de Iglesia-Familia. Y esta imagen orienta nuestra pastoral, la vida parroquial. Tenemos poquísimos sacerdotes para centenares y centenares de comunidades cristianas [7 sacerdotes seculares, 23 religiosos, entre estos 6 dehonianos]. Pero cada comunidad cristiana tiene su comité, algo así como un consejo de familia, constituido por hombres, mujeres, niños que deberían representar todos los ambientes de la vida parroquial.
¿Cuántos son los católicos en la zona de Mananjary?
Llegamos apenas al 10 por ciento. Pero un fenómeno típico en nuestros pueblos es que hay muchísimos, por así decir, simpatizantes, es decir, gente que no está bautizada pero que participa en la vida parroquial, en las oraciones, que ayuda incluso en la catequesis. Puede suceder que sean justamente ellos, a menudo jóvenes, quienes en la misa -- sin recibir la comunión -- hagan al final las más bellas oraciones de acción de gracias por el don de la eucaristía. Pienso que estos "simpatizantes" constituyen el 60 por ciento de nuestras comunidades. Sin embargo, en las estadísticas y documentos no aparecen.
¿Cómo explicar tal fenómeno?
Es sobretodo un fenómeno social y no tanto una cuestión de convicción religiosa. Muchísima gente en nuestra zona no posee ningún documento civil, ningún certificado de nacimiento. Hay pueblos enteros donde no se encuentra ninguna persona con tales documentos. El estado no ha cuidado nunca esto, pero las consecuencias son que esta gente no aparece en las estadísticas del estado, con graves efectos para la distribución de escuelas, dinero, infraestructuras sanitarias, etc. ¿Para qué construir una escuela donde oficialmente no hay gente? Después este fenómeno social ha creado una cierta mentalidad que se prolonga también en el ambiente de Iglesia: ¿Para qué sirve un documento de bautismo? Recientemente insistíamos mucho sobre tales documentos, por ejemplo para los matrimonios (che consiguientemente son pocos). Queremos hacer mover a la gente, para que sea más clara respecto a la propia convicción religiosa, pero también para mejorar la programación de las infraestructuras en nuestra zona por parte del estado.
En el territorio de la diócesis de Mananjary la mayoría de la población se adhiere a religiones tradicionales de tipo animista. ¿Cuál es la actitud de la iglesia frente a estas religiones?
Sin duda el diálogo. Es un proceso de comprensión recíproca. El cristianismo como lo hemos aprendido y vivido en Europa no corresponde siempre a la mentalidad, a los valores, a los conceptos de vida de los malgaches. Debemos hacer el esfuerzo de entender su vida, su fe tradicional, su mentalidad, para después hablar y testimoniar nuestra fe en un modo que pueda ser entendido por la gente.
¿Un ejemplo de esta mentalidad tan diferente?
Por supuesto. Para nosotros europeos y nuestro cristianismo, el concepto de persona tiene una extraordinaria importancia. Sin embargo, aquí el ambiente en torno a ti, la naturaleza es más importante para la gente de modo que la persona, a veces, es relegada a un segundo puesto. Si llueve o no, esto es más importante que si una persona llora o no.
Ahora convertido en obispo, ¿qué espera de los dehonianos en la diócesis?
Dos cosas. Ante todo que continúen su misión. La elección de esta zona hace 20 años fue arbitraria. Entre las zonas donde los obispos (de diferentes países y continentes) nos pedían trabajar, la provincia portuguesa en aquella época había elegido la más pobre: Mananjary. Y en la misma diócesis hemos a menudo rechazado privilegios o encargos de gran prestigio, siempre con la intención de permanecer fieles a la primera elección, a la primera opción. Mananjary es una zona olvidada por el estado, y la Iglesia se ha convertido en una de las pocas esperanzas de la gente. Por lo tanto, espero que la presencia de los dehonianos pueda continuar en este espíritu. Después insistiría mucho sobre una buena formación de los candidatos dehonianos. También como obispo diría que a la larga es más fecundo invertir en la formación -- también si significa a veces retirar un hermano de una parroquia.
Su nombramiento data de noviembre de 2000, la consagración sin embargo será allá por el mes de marzo de marzo de 2001. ¿Por qué tan tarde?
Hay un motivo muy simple, ligado a la geografía y a la pobreza de nuestra zona. Por una parte las montañas, los ríos, la gran selva y por otra la falta de medios de comunicación. Muchas comunidades cristianas no son alcanzables con el coche. No estoy seguro de que en el mes de marzo todas las comunidades de la diócesis sepan que hay un nuevo obispo. Haré todo lo posible por visitar todas las comunidades lo más rápido posible.