P. Andrea Tessarolo SCJ
IL PADRE LEONE DEHON
ANIMATORE DEL MOVIMENTO
SOCIALE CRISTIANO
Commissione Generale pro Beatificazione di p. Dehon
Curia Generale SCJ
Roma - 2004
Se oggi continuiamo a ricordare il p. Leone Dehon (1843-1925), è perché egli fu un precursore, nella Chiesa, dei tempi nuovi, e il suo messaggio costituisce tuttora un prezioso insegnamento. Molti gli aspetti della sua personalità che meriterebbero la nostra attenzione: educatore dei giovani al patronato parrocchiale e al Collegio S. Giovanni; fondatore di una congregazione religiosa; scrittore ascetico e maestro di vita spirituale; promotore di opere sociali e di missioni nel terzo mondo. In queste righe ci limiteremo a tratteggiare la sua azione come animatore del movimento sociale cristiano, soprattutto in Francia tra il 1870 e il 1900.
Nato il 14 marzo 1843 a La Capelle, Francia settentrionale, da una agiata famiglia rurale, Leone Dehon ha ricevuto una buona educazione religiosa dalla madre, Adele Stefania Vandelet: educazione che, assecondata con spontanea e gioiosa disponibilità, maturò come forte chiamata al sacerdozio. Ma il padre, che aveva su di lui altri progetti, lo mandò alla Sorbona di Parigi a studiare diritto. A 21 anni, conseguita la laurea in legge, conferma la sua volontà di entrare in seminario; ma suo padre, sempre contrario, gli propone un viaggio turistico in Medio Oriente (Grecia, Turchia, Palestina, Egitto) nel tentativo di distoglierlo dal suo proposito. Al contrario, la visita ai Luoghi Santi non ha fatto che confermare e rendere definitiva la sua decisione. Tornò in famiglia solo per prendere il corredo e ripartire per Roma, dove fu ammesso al seminario francese di s. Chiara. L'ultimo distacco dalla famiglia fu molto doloroso, perché anche la madre aveva finito per cedere alle pressioni del marito. „Dovetti indurire il cuore, scrive Leone, per resistere a tutti gli assalti”. Ma sistemato in seminario, il Signore lo ricompensò con una gioia senza confronto.
Ordinato sacerdote nel dicembre 1868, Leone Dehon rimane ancora a Roma per terminare gli studi. Nel 1870 partecipa al Concilio Vaticano I come stenografo. E finalmente, conseguita la laurea in filosofia e in teologia al Collegio Romano, e quella di diritto canonico all'Apollinare, nel 1871 rientra in diocesi, a Soissons: aveva 28 anni.
Fornito di quattro lauree, non gli pareva esagerato attendersi un incarico significativo in curia o in seminario. Invece il vescovo, non tenendo in nessun conto la sua straordinaria preparazione intellettuale, lo destina come „cappellano” della Collegiata nella città operaia di San Quintino. È stata, per il giovane sacerdote, una prova dolorosa. Egli stesso annota: „Era esattamente il contrario di quanto sognavo”. Ma proprio in questa occasione si è dimostrata la sua grande ricchezza interiore. Difatti, giunto sul posto, invece di perdersi in inutili recriminazioni, investe tutte le sue risorse per il bene di questa parrocchia sconfinata: contava allora una popolazione di circa 30.000 abitanti, quasi tutta di ceto operaio, ammassata in ambienti nei quali dominava la miseria materiale e morale.
Lui, Leone Dehon, la descrive così: „Le abitazioni sono vere topaie. Gli operai sono vittime della tirannia di padroni esosi e senza scrupoli. Basta una malattia, una maternità, un incidente sul lavoro, ed è la fame! E mentre i genitori sono in fabbrica da 11 a 14 ore al giorno per guadagnare il necessario alla vita, i figli vagano per le strade, facile preda del vizio o della delinquenza”. E soggiunge: „Leggono giornali anticlericali… nutrono odio per la società attuale, antipatia per i padroni, scontento verso il clero che non fa abbastanza per loro… Questa società è marcia e tutte le rivendicazioni operate hanno un fondamento legittimo”.
Anche sui metodi pastorali il giudizio del Dehon è fortemente critico: „L'organizzazione delle nostre grandi parrocchie, scrive, non permette ai sacerdoti di fare dell'apostolato. Quando hanno partecipato alla recita dell'ufficio divino, assistito ai funerali e presieduto gli incontri delle confraternite, il loro tempo e la loro attività sono pressoché esaurite. Si può vivere per secoli a questo modo senza rifare cristiana la società. E poi ci si stupisce che il popolo abbia finito col dire che la religione è fatta per i vecchi e i bambini… Questa generazione ha cambiato il Cristo: non è il Cristo degli operai, il Cristo che esercitava il suo apostolato tra i pubblicani e i peccatori”.
Di fronte ai problemi così gravi, il giovane sacerdote avverte la necessità di impegnarsi subito in prima persona. E comincia a dar vita alle più svariate iniziative certamente a scopo pastorale, ma con una esplicita e forte attenzione al sociale.
La sua prima preoccupazione sono i figli degli operai; comincia quindi col patronato S. Giuseppe, per dar loro uno svago onesto e una educazione sana (1872), subito seguito dal Circolo per gli stessi operai (1873) aggregato a L'Oeuvre des cercles catholiques promossa a partire dal 1871 da Albert de Mun e dai padroni „a favore degli operai”.
Ma il sac. Dehon vuole riportare tutti alla vita cristiana; e per questo dà vita anche a un circolo per studenti (1875) e a un corso di etica economica per gli stessi dirigenti d'industria (1876), senza dire che nel 1874 aveva dato vita a un giornale (Le Conservateur de l'Aisne) e nel 1877 darà inizio a un collegio ecclesiastico, il „San Giovanni”, che amerà come la pupilla degli occhi.
Nel contesto di queste opere parrocchiali, poi, hanno preso vita diverse altre iniziative, come: una piccola cassa di risparmio, una casa/famiglia, una società per le case degli operai, incontri periodici per gli imprenditori, ecc…, allo scopo di promuovere la formazione cristiana dei padroni e, insieme, la promozione umana e religiosa di tutti i giovani, anche se appartenenti a classi sociali diverse.
Una statistica del 1875 ci dice che in quell'anno frequentavano il patronato 301 ragazzi, mentre gli iscritti al „circolo operai” erano 139: totale 440, così distribuiti: 82 studenti, 324 operai o apprendisti operai, 34 impiegati. Nella cassa di risparmio figuravano 198 libretti… Giovani operai e giovani studenti, chiamati a cooperare con spirito cristiano, perché venga realizzata da tutti la concordia, la giustizia, la carità. Compito del prete infatti, per il Dehon, è quello di „prendere la mano del padrone e metterla in quella dell'operaio”, perseguendo tutti e tre insieme, nella carità cristiana, la realizzazione delle giuste aspirazioni di tutti (NHV, vol. XII, p. 112).
Con la nomina a segretario del „Bureau diocésain des oeuvres ouvrières”, l'attività sociale del Dehon divenne intensa anche a livello diocesano. Dal 1875 al 1878 si tennero ben tre convegni: nel 1875 quello interdiosano di Liesse (NHV XI, 93), nel 1876 quello di San Quintino, ospitato nei locali del patronato S. Giuseppe (NHV XII, 43); nel 1878 quello che si è riunito a Soissons, centro della diocesi (NHV XIII, 65s). Preparati da una inchiesta a tappeto sulla situazione delle opere in diocesi (NHV X, 177), questi convegni avevano fatto emergere una panoramica deludente, che lo stesso Dehon aveva illustrato a chiare lettere al convegno di Liesse. Ascoltando quella relazione, uno dei presenti esclamò: „Allora, non c'è più nulla da fare!”. Ma lui pronto ribatté: „Allora, c'è tutto da fare!”.
Cresce così la mole del suo lavoro; ma cresce sempre più, nel suo cuore, anche la sete per la vita interiore e il desiderio della vita religiosa. „Io sono troppo occupato a S. Quintino, scrive nel diario, soffro dell'attuale situazione. Vorrei a tutti i costi essere religioso”.
Si sente spinto a questa scelta anche perché avvinto da una devozione tenera e profonda verso il Cuore di Gesù, e anche perché ormai tocca con mano che la causa profonda di tanti mali sociali sta nel rifiuto di Dio e del suo amore. Per ovviare a questi mali, quindi, non può bastare un po' di benessere in più. Secondo lui è necessaria una conversione delle coscienze, un supplemento d'anima, una nuova pentecoste di carità, attinta al Cuore di Cristo. E al Cuore di Cristo decide di consacrarsi, dando vita lui stesso a una nuova congregazione religiosa, animata appunto dalla spiritualità del Cuore di Cristo e, insieme, impegnata nel sociale per una civiltà dell'amore.
Questa sua più stretta consacrazione a Dio nella vita religiosa, il p. Dehon l'ha vissuta non come fuga dal mondo o ricerca intimistica che lo allontana dalle opere, ma come contemplazione di Dio/Amore (troppo spesso non amato) e servizio più generoso a favore dei più poveri. Non diminuisce quindi il suo lavoro pastorale, ma aumenta e si dilata con l'avvio del „Collegio S. Giovanni” e con la direzione di una congregazione religiosa, ancora tutta da inventare. E nonostante questo continua a frequentare Albert de Mun, fondatore de L'Oeuvre des cercles (e relativi convegni); frequenti anche i suoi contatti con La Tour du Pin e, più ancora, con Leone Harmel e la sua originale esperienza di Val-des-Bois.
Negli anni 1887 e 1888 il suo pensiero sociale si precisa ulteriormente attraverso rapporti frequenti con Paray-le-Monial, che pubblica la rivista „Il regno del Cuore di Gesù”; intrattiene una fitta corrispondenza religiosa il cui scopo era la promozione del regno sociale del Cuore di Gesù; partecipa al congresso eucaristico di Parigi del 1888, nel cui contesto il p. Sama s.j. lancia la proposta di celebrare, nel 1889, il secondo centenario di quel regno sociale del Cuore di Gesù che s. Margherita Maria nel 1689 aveva chiesto al re di Francia e mai era stato accolto. Ed è in questo clima di grande euforia (dovuta al 1° centenario della rivoluzione francese per i laici, al 2° centenario di Paray-le-Monial per i devoti del Cuore di Gesù), che il p. Dehon, sempre così attento ai segni dei tempi, decide di fondare la rivista „Il Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nelle società”.
Il titolo scelto, insolito e molto originale, esprime in modo „maturo” la sua spiritualità, segnata appunto da una carica fortemente mistica e, insieme, fortemente impegnata nel sociale. Il Regno del Cuore di Gesù, infatti, per il Dehon, è il regno dell'amore di Dio in Cristo, un amore che è gratuità, accoglienza, solidarietà. Un amore, però, che va anche accolto e corrisposto. Di qui i suoi pressanti inviti a credere all'amore, a fondare sull'amore non solo la propria vita spirituale (rapporti con Dio), non solo i rapporti fraterni in seno alla comunità cristiana, ma anche i rapporti sociali nella comunità civile e nel mondo del lavoro, e gli stessi rapporti fra gli Stati.
Diversamente da altre concezioni ascetiche del suo tempo, la spiritualità del p. Dehon è caratterizzata soprattutto dall'amore; un amore che deve animare in modo diverso la vita cristiana in tutte le sue espressioni e, in particolare, deve anche tradursi in impegno storico concreto per la promozione anche sociale degli uomini e dei popoli.
„Il regno del Cuore di Gesù, si legge nell'editoriale del primo numero (gennaio 1889), è ampiamente iniziato nella liturgia, nella teologia, nelle arti e soprattutto nella vita religiosa” Ma poi conclude: „Egli (il Cristo) vuole fare sua anche la vita sociale”. E nell'editoriale del mese successivo (febbraio 1889), con una frase che è diventata celebre, perché esprime molto bene l'originalità del suo pensiero, scrive: „Bisogna che il culto del Cuore di Gesù, iniziato nella vita mistica delle anime, scenda e penetri nella vita sociale e nei popoli”.
Questa attenzione al sociale è presente anche in tutte le sue pubblicazioni di contenuto ascetico; così come in tutti i suoi scritti sociali è frequente il richiamo al Vangelo.
Di continuo, in tutti i suoi scritti, lo spirituale trabocca nel sociale, e il sociale prende ispirazione e alimento dallo spirituale. La spiritualità del p. Dehon, fortemente geocentrica, non è per questo meno attenta ai drammi della storia e alle attese dell'uomo. I due aspetti si richiamano e si condizionano a vicenda: l'Amore di Cristo rimanda al popolo da elevare e da salvare… e l'amore del popolo rimanda al Cuore di Cristo e al suo amore che salva.
E veramente è stata la sua carica spirituale a rendere il p. Dehon sempre creativo e innovatore anche nel sociale:
– Giovane sacerdote, provenendo da una agiata famiglia rurale, non poteva che essere „tradizionalista e monarchico”, come purtroppo tutto il mondo cattolico francese in quegli anni; fonda infatti „Le conservateur de l'Aisne” (1874).
– Convinto, come tutti, che la società non potrà trovare pace se i padroni non riscoprono l'amore e le esigenze della giustizia sociale verso gli operai, nel 1873 aderisce all'Opera dei circoli operai, che appunto aveva come scopo promuovere l'impegno dei padroni cristiani a favore del mondo operaio. Ma mentre il p. Ramière, fondatore del „Messaggero del Sacro Cuore”, la proponeva come l'antidoto supremo contro la peste della rivoluzione (e contro gli ordinamenti repubblicani, frutto della rivoluzione), il p. Dehon invece la propone come scuola di solidarietà cristiana, per la promozione anche sociale della classe operaia.
– Una ulteriore spinta per un maggior impegno nel „sociale” si ebbe nel 1891, con la pubblicazione dell'enciclica „Rerum Novarum” da parte del papa Leone XIII. Un'enciclica un poco ignorata, o anche guardata con diffidenza da gran parte del clero in Francia (solo 13 vescovi su 97 l'hanno segnalata alle loro diocesi!). Leone Dehon invece, assieme a quanti erano veramente sensibili ai problemi del mondo operaio, vede subito in essa la magna carta del movimento sociale cristiano. E nel 1894 ne pubblica un ampio commento col volume „Manuale sociale cristiano”: un libro che in francese ha avuto ben 5 edizioni, e due anche in italiano, con prefazione di Giuseppe Toniolo. Un libro sul quale i seminaristi francesi, per quasi un ventennio, sono stati iniziati alla questione sociale.
A questa hanno fatto seguito numerose altre pubblicazioni sulla questione sociale e a sostegno del pensiero sociale cristiano, come veniva proposto in particolare dal papa Leone XIII, come „L'usura nel tempo presente” (problema sociale e morale, 1895); „I nostri congressi” (1897); „Direttive pontificie politiche e sociali” (a sostegno del „ralliement” e per l'accettazione degli ordinamenti repubblicani, 1897); „Il catechismo sociale” (1898); „Rinnovazione sociale cristiana” (1900), ecc.; senza dire dei suoi numerosi articoli su „Le Règne”, „Démocratie Chrétienne”, „Chroniques du Sud-Est”, pubblicazioni che gli meritano stima e gratitudine anche da parte di Leone XIII, dal quale ebbe in regalo la medaglia commemorativa della „Rerum Novarum”, proprio perché ritenuto „fedele interprete” delle direttive del Santo Padre.
Il p. Dehon si è impegnato con grande zelo, per tutta la vita, nella questione operaia, e in particolare con la promozione della classe operaia. Ma non poteva certo illudersi di poterla risolvere da solo. Tutti devono sentirsi „impegnati” a portare un proprio „specifico” contributo: la chiesa, lo stato, i padroni e gli operai.
„La Chiesa, attingendo al Cuore del Salvatore una carità sempre più ardente, sarà la principale artefice in quest'opera per risollevare la società” („Le Règne”, 4.89, p. 159). Nella 5ª conferenza, tenuta a Roma nel 1897, scrive: „Il popolo si distacca dalla Chiesa, perché la Chiesa non veglia sugli interessi del popolo; gli operai considerano i preti quasi complici dei loro oppressori; e molti di fatto lo sono, per il loro silenzio. Le cose andavano male; e noi (preti), invece di infondere lo spirito di giustizia e l'amore per i deboli, ci siamo ritirati sotto la tenda”.
Era, questo, un tema molto caro al p. Dehon. Era frequente il suo invito ai sacerdoti, ma anche ai laici cristiani: „Uscite dalle sacrestie; andate al popolo; andate ai vivi”.
„Il compito del sacerdote, scrive nel 'Manuale' (O.Soc. II, p. 108), è fondamentale (predicazione, catechismo, sacramenti), ma non basta! Bisogna aggiungervi l'apostolato a domicilio, le missioni (popolari), le associazioni, ma non basta! Bisogna aggiungere le opere dell'insegnamento: scuole, biblioteche, giornali, ma non basta! Bisogna aggiungere le opere sociali e di carità, le associazioni professionali e operaie… che sappiano difendere da tante esose ingiustizie gli operai, i poveri, i disoccupati”.
È forte il suo richiamo alla Chiesa; „che siamo tutti noi: ecclesia nos sumus!” (s. Agostino). E in un articolo da Roma, nel 1899, scriveva ancora: „La Chiesa è vita, e la vita non è mai una gabbia che mortifica, o una setta chiusa nel suo egoismo, ma una sorgente feconda per la società. La Chiesa è vita, e vuole vivere, ben cosciente che i valori cristiani maturano necessariamente un comportamento sociale conseguente e fecondo”.
Contro i cattolici liberali, il p. Dehon afferma ripetutamente che lo Stato non solo „può”, ma anche „deve” farsi carico di garantire „rapporti giusti” fra le classi sociali. Chiaramente egli dice „no” al liberalismo, „no” al collettivismo di stato. Mai esso può abdicare al suo ruolo di „tutela”, con le sue norme, e di „vigilanza” su problemi come la durata giornaliera del lavoro in fabbrica, il riposo settimanale, gli abusi sul lavoro notturno. Lo Stato inoltre deve consentire, anzi promuovere, le associazioni professionali, i sindacati, un salario adeguato ai bisogni dell'operaio, mettendo in conto esigenze di giustizia e di solidarietà.
All'inizio del suo impegno nel sociale, il p. Dehon contava molto sui padroni. Nella linea dei cattolici tradizionalisti, riteneva che la soluzione della questione sociale dovesse partire da leggi giuste e da imprenditori „onesti”. Per questo teneva un corso, a San Quintino, sui „principi etici” cui deve attenersi l'economia; e ricordava spesso l'esempio di Leone Harmel, anche se un po' „paternalista”… Ma col tempo diventa più severo nei suoi giudizi verso il „patronato”. „Nella vostra vita di industriali, scrive, voi non siete abbastanza cristiani. Voi fate volentieri elemosine. Ma non si tratta di coprire il marcio; bando alle illusioni! La carità ha senso, solo se prima sono state rispettate le esigenze della giustizia”.
Qui soprattutto sta l'originalità del p. Dehon e del suo pensiero sociale. Qui anche l'evoluzione più significativa del suo pensiero: rendere gli operai protagonisti della loro liberazione.
Nel 1873 il Dehon aveva aderito all'Opera dei circoli operai; ed era già un passo avanti rispetto ai cattolici tradizionalisti; era però un'opera di padroni benevoli a favore degli operai; opera di padroni cristiani che si impegnavano a trattare secondo giustizia i loro dipendenti; ma il potere restava nelle loro mani; le elezioni municipali erano in base al censo (solo gli „abbienti” avevano diritto di voto). Quindi per il mondo del lavoro la giustizia doveva „piovere dall'alto”.
Ma l'esperienza della vita ben presto gli insegna che, di fronte all'interesse, anche il più onesto spesso cede; per cui „l'operaio di fronte al padrone, scrive, è come l'agnello di fronte al lupo”. Andò così maturando in lui la convinzione che il mondo del lavoro deve cercare in se stesso il segreto della sua elevazione. E non potendo contare né sul denaro né su un'onestà disinteressata da parte dei legislatori, spinge gli operai a far leva sulla forza del numero. Solo uniti, infatti, essi saranno in grado di lottare contro le ingiustizie della società e diventare protagonisti della propria elevazione sociale e civile.
Va sorgendo così, con fatica e in mezzo a mille incomprensioni, un movimento sociale cristiano, per la promozione della classe operaia, che fa leva sugli stessi operai. È la nascita della democrazia cristiana, intesa come movimento (e non ancora come partito), movimento „di popolo” e „per il popolo” („par les ouvriers et pour les ouvriers”; „par le peuple et pour le peuple”).
Al sorgere di questo „movimento”, chiamato „democrazia cristiana”, il p. Dehon vi svolge un ruolo di primo piano. Ne parla fin dai primi numeri di „Le Règne” (nov. 1892) e molto spesso dal 1895 in poi. È presente al primo congresso nazionale (1894). Al secondo congresso (1897), lui stesso viene designato membro del comitato ristretto che formava il „consiglio direttivo nazionale”.
„Democrazia”, per il p. Dehon, è governo del popolo „per il bene del popolo”. Se animata da principi cristiani (che per lui sono giustizia e carità), permette alla Chiesa di instaurare il „regno sociale del Cuore di Gesù”. „La democrazia cristiana, scrive ancora nel 1902, è la Chiesa in quanto favorisce gli interessi del popolo con la pratica della giustizia e della carità. La democrazia cristiana è l'azione popolare cattolica” (O.Soc. 1, 579; ma vedere tutto l'articolo; e anche le pp. 421-422).
I suoi testi in tema di „democrazia” e sul modo di presenza della Chiesa nella società rappresentano il momento più alto e originale del p. Dehon in fatto di impegno nel sociale. Un impegno che egli fa derivare direttamente dalla spiritualità del Cuore di Gesù; perché per lui „regno sociale del Cuore di Gesù” per il quale ha tanto lavorato, significa un ordinamento che nasce dal popolo, a bene del popolo, e nel quale vi sia un nesso strettissimo tra „giustizia” e „carità” (cf. una formulazione analoga nel Vaticano II: P.O. 6, e G.S. 55).
E per finire, mi piace riportare due testi: uno, per vedere quale fiducia metteva, ma anche quale impegno sapeva chiedere ai giovani; e l'altro che suona come un „testamento profetico in tema di democrazia”.
„Ai giovani” (da „La Chronique du Sud-Est”, 1898; O.S. 1, 381s.)
„Coraggio, ragazzi! Studiate, agite, organizzatevi… È necessario un gruppo di studio in ogni parrocchia: è il punto di partenza. Lo studio prepara all'azione: abituatevi a parlare, a confutare i sofismi; proponetevi un programma di riforme economiche e sappiate giustificarle. Che poveri uomini quei cattolici che limitano la loro fede e azione alla loro vita privata. Neppure si meritano il nome di uomini!… L'ideale al quale miriamo è l'apostolato dell'operaio attraverso l'operaio… Questi nostri incontri si propongono di trasformare l'operaio in apostolo”.
„Testamento profetico”
Nell'agosto 1903, alla morte del papa Leone XIII, nell'editoriale di „Le Règne” il p. Dehon scrive un testo sulla „democrazia” che, alla luce del cosiddetto „socialismo reale”, ci pare straordinariamente significativo, quasi „profetico”.
„Leone XIII ha conservato sino alla fine una fiducia incrollabile… Questo secolo (XX) sarà democratico. I popoli vogliono una grande libertà civile, politica e comunale. I lavoratori vogliono una parte ragionevole del frutto delle loro fatiche. Ma questa democrazia o sarà cristiana o non sarà democrazia. La natura umana è tutta impregnata di egoismo. Tutte le civiltà pagane hanno visto i deboli oppressi dalla forza. Solo il Vangelo può far regnare la giustizia e la carità… Il secolo XX farà dei tentativi disastrosi e ritornerà al Vangelo per non perire nell'anarchia”.
E sempre su „Le Règne”, a settembre: „Sono e voglio restare l'umile apostolo delle encicliche di Leone XIII… Egli vorrà benedire colui che è stato il piccolo fonografo delle sue encicliche”.