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P. Andrea Tessarolo SCJ

IL PADRE DEHON E LE MISSIONI

Commissione Generale pro Beatificazione di p. Dehon

Curia Generale SCJ

Roma - 2004

La nostra Congregazione è caratterizzata più dalla sua spiritualità che da un'opera specifica. E tuttavia la prospettiva missionaria è stata sempre molto forte nell'animo di p. Dehon, e l'attività missionaria, da sempre, occupa il primo posto fra le attività della Congregazione.

Quali fattori vi hanno influito e quale il pensiero del Fondatore in tema di missioni?

Risponderemo a queste domande:

  • a. cercando di vedere quando e come la Congregazione si è aperta ai valori della missionarietà;
  • b. indicando le tappe più vistose di questo cammino;
  • c. accenneremo anche ad alcune luci e ombre nel pensiero di p. Dehon, con molta obiettività, perché non è nostra intenzione idealizzare in modo improprio la sua figura;
  • d. concluderemo questa veloce panoramica riproponendo alcuni brani più significativi delle „lettere” che ha scritto „ai suoi missionari”.
  • 1 - Il p. Dehon non scrive molto sulle missioni o delle missioni. Però in NHV (I, 29r) ricorda che da ragazzo leggeva gli Annali della Propagazione della fede e della santa Infanzia. Attirato dall'amore del Signore e dallo zelo per la salvezza delle anime, soggiunge: „Volevo essere religioso e missionario… Nei momenti di generosità aspiravo al martirio”.
  • 2 - Egli non ha potuto realizzare personalmente queste sue aspirazioni; né si può dire che le abbia particolarmente approfondite negli anni di teologia, o nei primi anni del suo ministero pastorale a S. Quintino. Ma diventato fondatore, molto presto ha cercato di comunicare alla sua Congregazione anche il grande valore della missionarietà.
  • 3 - La prima volta che egli formula esplicitamente per la sua Congregazione la prospettiva delle missioni lontane mi sembra di poterlo trovare in una conferenza ai novizi nel 1.4.81. Nel brano più significativo, dopo aver parlato dei martiri, che si danno sino all'effusione del sangue, soggiunge:

„Mais il n'y a pas que le martyre qui donne le sang: tout ce qui use la vie est une effusion de sang en quelque sorte… Et il y a deux choses qui l'usent plus que toute autre: l'amour et la souffrance. C'est par là qu'il nous est possible de donner notre sang. Quelques-uns auront peut-être la grâce de le verser d'une manière éclatante par le martyre, car nous aurons des missions” (C.F. V,70: 1.4.1881).

La sua non era un'ipotesi solo teorica, poiché nel marzo dell'anno seguente (1882) in una lettera indirizzata al papa Leone XIII scrive: „Attingendo dal Cuore di Gesù lo spirito di sacrificio, saremmo felici di essere presenti (anche) nelle missioni” (A.D., B37/4, lett. del 10.3.1882). E ancora, in una lettera al suo vescovo del 21.12.1885: „On aime beaucoup à Rome les congrégations qui demandent des missions”. Con questo motivo egli giustifica la promozione delle vocazioni per Sittard…

Al di là di questi accenni, mi interessa sottolineare quello che possiamo definire l'anno della grande fioritura sia per la congregazione nel suo insieme sia per la sua coraggiosa apertura alla missionarietà. E' stato il 1888.

Era solo il 10° anno di vita della congregazione. Ma in quell'anno, e più precisamente nel mese di febbraio di quell'anno si concentrano alcuni avvenimenti che saranno decisivi per il suo futuro. Li elenco:

- 15 febbraio: il vescovo affida alla congregazione di fondare, in un quartiere periferico di S. Quintino, la parrocchia di s. Martino (NQ 18.2.88).

- Il 19 di quello stesso mese, p. Dehon annota di avere scritto a Roma per chiedere „une mission lointaine” e soggiunge: „Questa data segnerà l'inizio di una grande cosa” (NQ 19.2.88).

- Il 21 febbraio riceve l'assenso di p. Matovelle per la missione in Ecuador.

- Qualche giorno più tardi gli giunge da Roma l'atteso decretum laudis, datato 25 febbraio 1888. E il Padre commenta: „L'approvazione della Chiesa aumenterà i nostri sforzi”.

Com'è facile vedere, è una concomitanza di eventi veramente straordinaria. Per cui, incoraggiato da tanti segni positivi, p. Dehon designa subito due padri per la missione in Ecuador, cioè Gabriele Grison e Ireneo Blanc e invita tutte le comunità a vivere quell'evento con intensa partecipazione. Volle che, prima della partenza, i due missionari passassero in tutte le comunità dell'Istituto. L'addio ufficiale, poi, lo diede lui stesso il 7 novembre , al collegio S. Giovanni. Nel suo breve discorso (ispirandosi al noto testo di Isaia 66,19: 'Li manderò alle genti d'oltremare… alle isole lontane') mise in risalto i grandi valori della missionarietà, perché, diceva, esige grande coraggio e spirito di sacrificio.

Terminata l'omelia, si prostrò a baciare i piede dei missionari partenti, mentre il coro cantava: „Quam speciosi pedes evangelizatium pacem, evangelizatium bona” (Rm 10,15). E nel Diario: „Gli alunni erano commossi: per loro era come un secondo ritiro” (NQ, 8.11.88).

La partenza di questi nostri primi due missionari verso un paese lontano ha segnato la presa di coscienza, per la Congregazione, della sua missionarietà universale. Questo spiega anche il grande spazio che a questa missione verrà dato, per tutto il 1889, sul periodico „Le Règne”, che proprio in quei giorni il p. Dehon stava impostando.

Certamente molto importante, per la congregazione, questa esperienza missionaria in America latina. Ma dopo l'insuccesso dell'Ecuador (1896), p. Dehon arde dal desiderio di avere una vera missione, in un paese ancora pagano, e tutta sua.

L'occasione gli si presentò nel 1897, mentre si trovava a Roma per le note conferenze sulla questione sociale. Era il 24 marzo. Proprio in quel giorno venne informato che il sig. Van Eetvelde cercava dei missionari per il Congo Belga. Subito, il giorno dopo p. Dehon è da lui. Gli venne proposto di iniziare una missione nell'Alto Congo (attuale Kisangani).

Assolte tutte le formalità, p. Dehon accettò quella proposta, nonostante fosse ben cosciente delle difficoltà, e nonostante tutte le obiezioni che gli venivano anche dai suoi consiglieri soprattutto a causa dei recenti insuccessi dell'Ecuador. Lui però, in NQ (24.3.97) commenta: „E' stata la Vergine Santa che, proprio nel giorno dell'annunciazione, ha voluto aprirci il grande Continente nero. Spero che questa missione sia benedetta”. E, a proposito delle obiezioni di alcuni suoi collaboratori commenta: „Ci sono delle grazie che Dio dà ai fondatori e non ai loro religiosi, e neppure a tutti i consiglieri”.

I primi a partire per l'Africa sono stati due veterani dell'Ecuador, Gabriele Grison e Gabriele Lux; ma partono con biglietto di andata e ritorno; quindi solo con l'incarico di esplorare e, poi, tornare a riferire. „Per un momento, scrive p. Dehon, avevo pensato di potervi andare anch'io; ma avrei lasciato la congregazione nella sofferenza e, al mio ritorno, l'avrei trovata in rovina” (NQ 16.6.87). E' di qui mesi infatti la lettera di 7 confratelli della Maison du S.C. che contestano l'attivismo di p. Dehon e chiedono o le sue dimissioni oppure la scissione in due della congregazione (cf. G. Manzoni, L.D. e il suo messaggio, pp. 324s).

I fatti però daranno ragione al p. Dehon e al suo coraggio apostolico; e sarà proprio la missione delle Falls a salvare la sua opera.

Dei due, partiti per l'Africa, il p. Lux dopo un mese volle subito rientrare in Europa per rispettare gli accordi, per cui il p. Grison rimase solo. Ma il 6 febbraio successivo partivano da Anversa altri quattro missionari (due sacerdoti, un fratello e un ausiliare; cf. 'Le Regne' 1898, p. 554) e da allora la missione di Stanleyville è stata sempre vista come l'opera per eccellenza della Congregazione: quella che ha costato maggiori sacrifici, che ha dato un numero maggiore di martiri e ora ha il numero maggiore di cristiani.

Questo è stato, per p. Dehon, il modo concreto e storico di intendere e vivere la missionarietà: coinvolgendo l'intera Congregazione in un progetto di lavoro missionario vasto e molto esigente, e portandolo avanti con determinazione, in un continuo crescendo, sia quanto al numero che alla qualità del personale coinvolto.

  • 1 - In primo luogo egli crede fermamente al grande valore dell'apostolato missionario, specie se svolto in situazioni particolarmente difficili. Questa convinzione egli la esprime spesso: „Il sacro Cuore di Gesù, scrive, sarà meglio onorato, se lo zelo per la sua gloria si esercita in condizioni difficili, come nelle lontane missioni” (L.C., n. 162). E il 4.1.92 scrive: il fine dell'istituto è offrire al Cuore di Gesù „i nostri cuori, immolati nel lavoro e nei sacrifici di ogni giorno, e in quelle forme di ministero che esigono maggior sacrificio e abnegazione, come l'assistenza agli operai, la cura dei poveri e le missioni lontane” (L.C., n. 326; cf. anche L.C., indice analitico, alla voce Missioni).
  • 2 - In secondo luogo, il p. Dehon si è impegnato a fondo per suscitare e coltivare molte vocazioni alla vita religiosa e all'ideale missionario. Sempre si dimostra preoccupato del numero; ma più ancora della qualità. „Pregate per il nostro reclutamento, scrive il 29.6.22; le nostre missioni esigono molto personale. Non desideriamo solo il numero, ma soprattutto il fervore e la generosità” (L.C., n. 287). E nel dicembre 1910 scrivendo al p. Guillaume, dice: „Potremmo fare molto per la gioia di nostro Signore e della Chiesa, se avessimo più missionari in Congo, in Canada, ecc.. Cercate molte vocazioni, fate pregare assai i nostri ragazzi a questo scopo” (AD,B,44).

E ancora: „Lavoriamo coraggiosamente per le nostre missioni e reclutiamo molti missionari” (L.C., n. 294, dic. 1923).

In breve, il p. Dehon è missionario non perché sia andato lui stesso in missione, ma perché ha dimostrato un grande coraggio nel suo impegno per le missioni, il coraggio della fede, per cui non ha esitato di rischiare il futuro della stessa sua Congregazione investendo nelle missioni le sue energie migliori.

Forse non ci rendiamo abbastanza conto del significato che hanno avuto, per lui e per l'Istituto, certe date:

- il 28 giugno 1878: p. Dehon è solo a fare la professione; nel 1883 abbiamo avuto il consummatum est. Eppure dopo soli 5 anni da quella data di morte, egli non esita a impegnarsi per un'opera oltre oceano: l'Ecuador (1888); per tutte le sue opere in Europa, aveva allora solo 25 sacerdoti.

In Ecuador conosce l'insuccesso più amaro (1896). Grande fu l'amarezza in tutti. Ma non sono ancora passati sei mesi, e p. Dehon si impegna per un'opera ancor più difficile: la missione dell'Alto Congo (25.3.97).

Quali le motivazioni di questo suo continuo rischiare per missioni lontane? Lui stesso risponde: Per la congregazione, „poter offrire al Cuore di Gesù un sacrificio generoso com'è l'apostolato in Africa, è una benedizione” (NQ, 6.2.98).

Anche la tappe successive del suo impegno missionario sono animate dallo stesso spirito, e spesso „confermate” da segni concreti di benedizione.

- 1888: Missione in Ecuador e decreto di lode;

- 1903: invio entro l'anno di ben 15 missionari e approvazione temporanea delle costituzioni (tanti missionari „ils vont donner un bel essor à la mission et doubler tous nos postes”; cf: NQ 18,119-120; vol. III, p. 101; L.C. del 19.6.1903).

- 1923: celebrazione dell'80° genetliaco di p. Dehon e avvio di due missioni (Gariep in Sudafrica e Sumatra) e approvazione definitiva delle costituzioni.

Ricordando questo lungo itinerario missionario, suo e della Congregazione, con coscienza serena e grata al Signore, nell'ultimo quaderno del Diario poteva scrivere: „Io missionario lo sono con i cento e più missionari che ho in tutte le parti del mondo” (NQ 45; 12.01.1925).

E pochissimi giorni prima della morte, quasi valutando il peso dell'impegno missionario rispetto all'insieme delle opere della congregazione, alludendo alla missione dell'Alto Congo scriveva: „E' stata l'opera più importante della congregazione, fra tutte le nostre opere di apostolato” (NQ 45, p. 64; luglio 1925).

Non è nostra intenzione fare una esposizione del tutto esauriente del pensiero missionario di p. Dehon: occorrerebbe ben altra preparazione. E neppure vogliamo idealizzare la sua persona e la sua opera, quasi fosse vissuto fuori del suo tempo. Anche in tema di missioni, il p. Dehon condivide luci e ombre del suo ambiente, in particolare dell'ambiente francese del sec. scorso. Il materiale sarebbe assai vasto. Ci limitiamo ad alcune citazioni più significative.

Il p. Dehon ha viaggiato molto. E perciò ha scritto molto su storia, arte, vita religiosa dei paesi visitati. Di solito il suo discorso è prevalentemente apologetico, e, in fatto di „ecumenismo” („cattolici e protestanti”) e di „dialogo inter-religioso”, lascia molto a desiderare.

Ad es. nel quaderno „A mes missionnaires: pour le Brésil”, egli scrive: „Trois ennemis sont à l'oeuvre là: le protestantisme, la franc-maçonnerie et le positivisme… Le protestantisme a peu de prise… Les protestants… n'ont pas de chef, pas de guide, pas de symbole. Ils ne sont pas une église, ils en sont tout le contraire” (p. 5). E a pag. 7 ripete: „Le protestantisme: voilà l'ennemi”… Così scrive purtroppo…; anche se poi, sul piano dei rapporti personali e pastorali raccomanda: „Detestate il protestantesimo, ma dimostrate bontà per i protestanti; parlate loro sempre con carità” (ivi, p. 2). Maggiore sensibilità ecumenica troviamo invece in mons. Grison; difatti, elencando gli ostacoli da lui incontrati precisa: „C'è una missione protestante; ma io credo che queste missioni solo lo Stato le può temere; c'è anche l'islamismo che potrebbe far paura; ma a me sembra che, più di tutto il resto, sia da temere il cattivo esempio dato dai bianchi, indifferenti, o anche più o meno ostili alla religione” (RCJ 1898, p. 557).

Più complesso è il discorso a proposito del colonialismo, sia per p. Dehon che per mons. Grison. Bisogna premettere che p. Dehon di solito non biasima il colonialismo, anzi si compiace a descrivere ed esaltare le varie fasi della conquista militare in Algeria. La quale, secondo lui, avrebbe dovuto avere come obiettivo l'assimilazione delle popolazioni algerine. Ma una tale assimilazione non è possibile, osserva, „senza la conversione al cristianesimo” (NQ 8,26v). Biasima quindi le autorità francesi che costruiscono moschee e organizzano scuole per insegnare il Corano a spese della Francia e commenta: „N'est-ce pas une aberration?” (ib. p. 28).

Questo intreccio fra politica e missioni lo si ritrova anche nell'udienza che p. Dehon ha avuto con il re Leopoldo II, per sancire l'accordo relativo alla missione di Stanleyville. „J'obtiens une audience du roi, scrive il p. Dehon tra il 2 e il 12 giugno 1897. Il se montre affable, bienveillant. Il est heureux que nous allions évangeliser ses nègres: Il comprend que c'est urgent. Les nègres païens ou musulmans trahissent, les nègres protestants ont des sympathies anglaises, ce sont les missions catholiques qui sauveront la colonie” (NQ 12, 63).

Era questa la mentalità comune a tutti in quel tempo. Del resto, quando ci entra la politica, diventa difficile evitare tutti gli abusi. E non sono mancati neppure nelle nostre missioni. Ad esempio, nella prima relazione, inviata alla S. Sede ancora nel 1898, p. Grison scrive testualmente: „Per prima cosa abbiamo requisito degli operai nei villaggi circostanti”, per disboscare la zona e fare le prime costruzioni („Nous commençons par réquisitionner des travailleurs…”). E ancora: „Ho raccolto alcuni bambini, e altri me li ha mandati lo Stato. Attualmente ne abbiamo 47… Il 23 marzo mi hanno portato due bambini; erano abbastanza piccoli… per cui li ho battezzati il 25 marzo, festa dell'Annunciazione” (RCJ 1898, p. 553).

Com'è facile capire, in questi casi lo zelo per l'evangelizzazione, anche se molto sincero, non sempre ha saputo essere del tutto rispettoso delle persone (RCJ 1898, p. 553).

Le nostre riflessioni qui potrebbero essere lunghe e complesse; ma ci conviene passare agli aspetti più positivi e attuali del nostro tema.

Molti sarebbero gli aspetti da esaminare per una esposizione esauriente del pensiero missionario di p. Dehon e dei suoi rapporti personali con i „suoi missionari”. Il materiale raccolto nei nostri archivi è enorme, ma in gran parte tuttora inesplorato. Un'importanza enorme avrebbe, ad esempio, lo studio della corrispondenza e cioè delle lettere che p. Dehon scriveva ai missionari, e i missionari al p. Dehon. Basta pensare che il solo dossier Grison contiene 94 lettere del Grison al Fondatore e 102 lettere del Fondatore a Grison. Un tesoro tuttora inesplorato e che speriamo possa presto essere valorizzato. Ma vediamo distintamente alcune caratteristiche del pensiero di p. Dehon riguardo ai missionari e al loro apostolato.

  • 1 - La prima cosa che sorprende sono i contatti epistolari frequentissimi che egli teneva coi suoi missionari, specie nei primi anni. Una testimonianza eloquente è la sua lettera in data 20.12.1892, dove dice che è sua abitudine scrivere loro ogni 15 giorni!: „Chers fils, puisque vous ne recevez pas mes lettres depuis trois mois, à cause des quarantaines, je vous écris cette fois par voie anglaise. J'ai bien reçu toutes vos lettres et je vous ai écrit tous les 15 jours. J'espère que toutes ces lettres vous arriveront en bloc après les quarantaines…”
  • 2 - L'obiettivo centrale verso cui deve tendere l'azione dei nostri missionari è testimoniare l'amore grande del Cuore di Gesù, diffondere il suo regno d'amore nel mondo. Frequente quindi il richiamo allo spirito di fede e all'impegno per una vita spirituale intensa „afin de bien donner à N.S. le tribut d'amour et de réparation qu'il attend de nous” (lett. 5.1.1896). Uno dei motivi per cui p. Dehon ritiene l'apostolato missionario un modo eccellente di vivere il nostro carisma SCJ sta nel fatto che spesso si svolge in ambienti difficili, esige un grande spirito di sacrificio e quindi diventa segno di un grande amore: „Cher ami (p. Gabriel), que St Gabriel vous console et vous fortifie. Vraiment vous êtes maintenant un vrai missionnarire… Vous êtes dans de bonnes conditions pour vous sacrifier et pour prouver votre amour à Jésus en souffrant pour lui” (St Gabriel, 1890).

„Priez bien et soyez bien unis à Dieu. N'ayez en vue que… le Règne du Sacré-Coeur. Plus les moments sont graves, plus il faut vous tenir près de Dieu” (7.3.96).

„Mitis et himilis corde”: telle doit être notre divise. Notre Seigneur nous bénira si nous sommes fidèles à notre sainte vocation„ (20.7.92). „Sanctifiez bien vos épreuves. C'est si bon d'être une petite victime du Coeur de Jésus” (4.10.92).

  • 3 - Sentirsi missionari del Vangelo, in particolare missionari del Cuore di Gesù per diffondere nel mondo il suo regno d'amore, richiede un anelito incessante a vivere „da santi”, sapendo che la santità della vita è condizione indispensabile per l'apostolato. E anche qui le testimonianze si potrebbero moltiplicare. Ci limitiamo a qualche citazione. „La tâche est dure, scrive nel cahier A mes missionnaires. Travaillons bien avec prudence, avec humilité, avec persévérance… C'est par la sainteté, la prière et les oeuvres que nous prendrons de l'influence sur les âmes” (p. 2). E rivolgendosi ai suoi missionari del Brasile insiste: „Avant tout, chers missionnaires, rappelez-vous que la première condition au succès dans les missions c'est la sainteté… Allez là avec l'ardent désir d'y vivre en saints… Emportez, avec la règle et le directoire, des livres… bien adaptés à votre vocation de missionnaires du Sacré-Coeur” (ib., p. 6).
  • 4 - E proprio perché „religiosi” e „missionari del S. Cuore”, frequenti sono i richiami di p. Dehon ad alcuni atteggiamenti tipici del nostro carisma, come lo spirito di abbandono, e ad alcune pratiche della nostra vita di preghiera, in particolare l'adorazione.

„Ne vous découragez jamais. L'immolation est toujours bonne… S'accomoder toujours à la volonté divine c'est l'esprit des missionnaires, c'est aussi l'esprit des oblats” (lett. 8.7.89). „Continuez votre oeuvre tant que la divine Providence vous laissera là. Pratiquez la vertu d'abandon, si chère au Sacré-Coeur” (21.1.96). „Nous ne serons bénis que si nous sommes de bons religieux, fidèles à notre règle” (Cahier à mes rel. 2, p. 8).

  • 5 - E per essere „buoni religiosi scj” si deve dare grande importanza all'adorazione, e alla vita comune anche in terra di missione.

„L'adoration réparatrice est chez nous un exercice fondamental; c'est la pratique caractéristique de notre Congrégation” (ivi, p. 6).

„Notre Congrégation a son cachet et son but propre. L'adoration réparatrice au Sacré-Coeur… est notre caractéristique. Il faut qu'on vous voie tous faire votre demi heure d'adoration devant l'autel” (p. 39).

La „vita comune” poi il p. Dehon la intende e la spiega come impegno a vivere la fraternità e lo spirito di famiglia. „Soyons religieux. Edifions”, scrive ai missionari del Canada. In missione „nous sommes envoyés de Dieu pour le salut du peuple… Il faut que vous soyez au moins trois pour chaque poste” (p. 9). E ancora: „Je souffre de vous voir isolés là-bas; je voudrais que vous fussiez au moins trois dans chaque paroisse. Nos Constitutions le demandent. La vie commune est notre force et notre sauvegarde. Ayez toujours cela en vue. Tendez à former des groupes aussitôt que ce sera réalisable” (p. „9).

Spulciare alcune massime del p. Dehon e riportarle in modo un po' anonimo e distaccate dal contesto può dare l'impressione di un certo moralismo astratto. Mentre lo spirito di p. Dehon è esattamente il contrario. E per dimostrarlo, allora, non so resistere all'idea di riportare per intero due brevissimi saggi:

a) il primo che ci mostra quanto sia umano il suo linguaggio, concreto nei suoi consigli, tenero e spontaneo in un suo richiamo alla Vergine Maria: „Cher fils, vos bonnes dispositions font ma consolation. Soyez toujours une bonne petite victime du S. Coeur. Aidez bien le p. Irénée. Vous êtes son assistant, vous lui devez la vérité sur toutes choses. Ne vous découragez jamais. Veillez à ce qu'on s'occupe des études du fr. Juan Gabriel… je voudrais vous voir un petit groupe bien uni, bien fervent. Songez que vous êtes le premier noyau de nos missionnaires… Ne vous étonnez pas des difficultés… Offrez vos croix pour l'Oeuvre… Votre dévotion à Marie vous soutiendra toujours. On a tout tant qu'on a une mère” (14.12.1890).

b) Il secondo saggio è ancora più breve. E' un biglietto che il Fondatore ha scritto al p. Grison che stava preparandosi alla partenza per l'Ecuador. Vi si coglie uno stile e un clima spirituale che ci fa pensare a Teresa di Lisieux „ante litteram”: „St-Quentin, le 5 mai 1888. Cher fils, continuez à faire le bien modestement. Rejetez tout trouble et toute inquiétude comme des tentations du démon et des fruits de l'amour propre. Soyez toujours humble et paisible: ne vous découragez jamais. Recommencez tous les jours doucement et patiemment l'oeuvre de votre sanctification… Désirez et demandez par Marie la vie d'union à N.S. Pensez souvent à ce que N.S. attend de vous. Etudiez ses sentiments, ses désirs, son coeur. C'est là la meillieure voie et la plus conforme à notre vocation. Si vous y êtes fidèles, N.S. vous conduira lui-même et vous vivrez de sa vie… Patience, paix et douceur. Gardez bien cette devise. Soyez béni. - Jean du C.d.J.”.

Un'ultima cosa mi sembra dover ricordare, anche se per motivo di brevità non riporto le molte citazioni che anche qui si potrebbero fare. Intendo riferirmi al suo impegno per suscitare numerose e sante vocazioni missionarie. E' un problema sul quale ritorna quasi in ogni lettera, soprattutto dopo la prima guerra mondiale. Scrive lui stesso a diversi vescovi chiedendo sacerdoti per le missioni, sollecita gli educatori a pregare e far pregare per le vocazioni, stimola e sostiene l'impegno di missionari nei periodi in cui si trovano in Europa; e soprattutto sprona ripetutamente ad iniziare una pastorale vocazionale anche in terra di missione per avere presto anche sacerdoti e missionari africani.

Assieme al suo impegno per la promozione delle vocazioni in Europa e nei paesi di missione, il p. Dehon richiama anche l'importanza che ha la collaborazione dei laici. E spiega: „Organisez l'apostolat mutuel. Ayez des confréries du Sacré-Coeur avec des réunions régulières et un but apostolique. Ces groupes… d'hommes et de femmes seront vos auxiliaires. Ils vous aideront à relever les paroisses. Ils rechercheront les enfants à baptiser et à instruire, les mariages à régulariser, les malades à visiter, les pécheurs à convertir. Ils vous donneront des catéchistes volontaires. Ils prépareront les fêtes populaires” ecc. (Cahier: A mes missionnaires, p. 6).

E tuttavia, anche a conclusione di queste riflessioni, mi torna spontaneo ripetere che, al di là dei singoli consigli, ciò che colpisce in questi scritti di p. Dehon è il calore che li anima e la venerazione che sempre egli dimostra verso i suoi missionari. „Ils vont loin, scrive anche nella premessa a questo Cahier: A mes missionnaires…. Il vont loin, travailler au règne du Sacré-Coeur , au prix de grands sacrifices et de grandes fatigues. Leur vie est une vie de réparation et d'immolation, comme notre vocation le domande.

Qu'ils soient généreux jusqu'au bout… et que leur sacrifice soit complet et sans réserve.

Qu'ils aient, en tout, une intention pure et des vues surnaturelles… Pour nous, devons être tout feu pour faire connaître et aimer le Bon Maître et l'amour étonnant que son divin Coeur nous a témoigné dans tous ses mystères, et qu'il nous manifeste encore, tous le jours, dans la sainte Eucharistie”.

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