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Am 15. Februar 1942 besetzen japanische Truppen Palembang/Sumatra, das zu Niederländisch-Ostindien gehört. Während die niederländische Truppen und zahlreiche europäische Bürger vorher nach Java evakuiert werden, lehnen die auf Sumatra lebenden und arbeitenden Missionare und Ordensfrauen den Weggang ab und entscheiden sich dafür, bei ihren Gemeinden, Krankenhäusern und Schulen zu bleiben. Nach dem Einmarsch der Japaner kann die kirchliche Arbeit zunächst ungestört weitergeführt werden. Das ändert sich radikal, als am 1. April 1942 alle Europäer interniert werden, die Männer im Gefängnis Palembangs, Frauen und Kinder in einem eigenem Wohnhausblock. Später müssen die Gefangenen ihr eigenes Internierungslager bauen, je eines für Männer und eines für Frauen und Kinder. Bis zum September/November 1943 wird die Gefangenschaft in Palembang dauern, und es ist nur der erste und ungefährlichste Teil des Leidensweges. Hautprobleme im Lager in Palembang sind die mangelnde Ernährung und die medizinische Versorgung. Arzneien und Doktoren werden erst nach den ersten Todesfällen zugelassen. In den Lagern organisieren die Gefangenen ihren Alltag: Schulunterricht, kulturelle Veranstaltungen, Gottesdienste, Lagerversammlung ? doch alles im Rahmen dessen, was Stacheldraht und japanische Wachposten ermöglichen.
Die Besatzungspolitik der Japaner in Indonesien besteht darin, die Unterstützung der einheimischen Bevölkerung zu erhalten, in dem die Japaner sich als Verbündete gegen die europäische Kolonialmacht darstellen. Tatsächlich ist die Unterstützung der Europäer durch Einheimische minimal, und zum ersten Mal werden Indonesier durch Japaner ? auch mangels der nun fehlenden Europäer - in führende Verwaltungsposten eingesetzt. Auf längere Sicht stärkt diese Politik die ohnehin vorhandenen Selbständigkeitsbestrebungen in einem von den Japanern weder vorhergesehen noch beabsichtigten Maß und trägt wesentlich dazu bei, dass nach Beendigung des Krieges zügig die Unabhängigkeit Indonesiens proklamiert wird. Das Christentum wird als Glauben der Kolonialmacht dargestellt, die Rückkehr zu traditionellen Religionen gefördert. Ordensleute und Priester sind in den Augen der japanischen Besatzungsmacht zudem potentiell aufrührerische Elemente.
Im Juli/August 1943 führen die Japaner brutale Razzien auf der Suche nach Kollaborateuren mit den Alliierten durch. Im Anschluss daran werden die in den Lagern Palembangs befindlichen Europäer, darunter zahlreiche Ordensfrauen und ?männer in das Internierungslager bei Muntok auf der Insel Banka umgesiedelt: Eine äußerst unfruchtbare und klimatisch schwierige Gegend. Hungerrationen von täglich 100 bis höchstens 300 Gramm Reis gehören zur üblichen japanischen Lagerpraxis, um nach und nach die Gefangenen sterben zu lassen: die Unterernährung führt dazu, dass die üblichen Lageraktivitäten wie Unterricht und Gemeinschaftsveranstaltungen zum Erliegen kommen, oftmals sind die Insassen zu schwach, um den Verstorbenen noch ein letztes Geleit auf den Lagerfriedhof zu geben. Im Lager Muntok sterben von anfänglich 942 Männern ca. 250 an Unterernährung bzw. den Folgekrankheiten, die Sterberate der Frauen ist ähnlich. 11 holländische Herz-Jesu-Priester überleben den Lageraufenthalt nicht:
P. Heinrich Norbertus van Oort, P. Petrus Matthias Cobben, P. Franciscus Hofstad, P. Isidorus Gabriel Mikkers, P. Theodorus Thomas Kappers, P. Andreas Gebbing, P. Petrus Nicasius van Eyk, P. Francisucs Johannes v. Iersel, P. Wilhelmus Franc. Hoffmann, Br. Mattheus Gerardus Schulte, Bruder Wilfridus Thedorus van der Werf.
Im Februar 1945 werden die verbliebenen Männer und Frauen ein letztes Mal in ein weiteres Lager, Belalau (Südsumatra) umgesiedelt. Dort sind die Lebensbedingungen zwar etwas besser, doch weitere 96 Männer und 59 Frauen sind bereits derart geschwächt, dass sie dort sterben.
Am 24. August verkündet der japanische Lagerkommandant den Waffenstilland von Manila und damit das Ende des Weltkrieges im Pazifik. Ein überlebender Herz-Jesu-Priester schreibt:
„Erst blieb es einige Augenblicke still. Dann brach ein donnerndes Hurra und ein Sturm von gegenseitigen Glückwünschen aus. In unserem Priesterblock sangen wir nach dem Rosenkranzgebet ein spontanes Te Deum. Welch herrliches Deo Gratias!“
Beim Nachdenken über ein erneuertes Verständnis von ‚Märtyrern’ schreibt Andrea Riccardi:
Warum sind sie gestorben? „Es gibt die unterschiedlichsten Gründe für ihren Tod, abhängig von der jeweiligen Situation eines Landes und von historischen Epochen... Antiklerikale oder antireligiöse Schübe vereinen sich mit Politik und Strategie oder schlichtweg mit Gewaltausbrüchen, Kriminalität oder dem Willen, freie und starke Gewissen zu beugen.... Am Ende ist die Erinnerung an die Märtyrer nicht ein Buch über Helden, sondern die Geschichte zahlloser christlicher Existenzen, gelebt aus dem Glauben und ausgelöscht durch Gewalt.“
Quellen u.a.: De Missiepost, December 1945/Januari 1946, p. 11-18; Andrea
Riccardi, Il secolo del martirio, Mondadori 2000; Bernd Bothe, Märtyrer
der Herz-Jesu-Priester; etc.
La morte di 11 confratelli olandesi nel campo di concentramento
giapponese di Muntok sull’isola di Banka/Indonesia negli anni 1944/45 fa
parte di una storia assai complessa: s’incrociano i crimini di guerra dei
giapponesi contro la popolazione civile dei paesi occupati, il crollo dell’Olanda
come potere coloniale, la crescita del movimento di indipendenza indonesiano,
l’insieme della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico e, non ultimo, la
vita e il calvario dei singoli confratelli ? tutto sommato, una rete di
tanti elementi diversi e dipendenti l’uno dall’altro che rende fino a oggi
difficile una considerazione adeguata sulla testimonianza di quei confratelli.
E per questo spesso sono abbandonati all’oblio.
Il 15 febbraio 1942, le truppe giapponesi conquistano e occupano Palembang/Sumatra, isola dell’allora impero coloniale olandese. Mentre i militari olandesi e numerosi cittadini europei si trasferiscono all’isola di Giava, alcuni europei e tutti i religiosi e preti decidono di rimanere a Sumatra per continuare la loro missione presso le parrocchie, le scuole e gli ospedali. Dopo l’invasione giapponese in un primo momento l’opera missionaria non viene impedita. Questa situazione cambia radicalmente a partire dal 1 aprile 1942, giorno in cui tutti gli europei (civili e religiosi) vengono internati: gli uomini nella prigione di Palembang, le donne e i bambini in qualche residenza europea. Più tardi gli internati dovranno costruire con le proprie mani due campi di concentramento, rispettivamente uno per le donne e uno per gli uomini. Rimarranno in questi campi per ca. 17 mesi, e vivono il primo passo del loro calvario. I problemi principali in questo periodo erano dovuti alla scarsa alimentazione e alla mancanza di medicine. Solo dopo i primi morti sono ammesse le visite di dottori e la distribuzione di qualche medicina. Nei campi gli internati organizzano la loro vita quotidiana con scuola, attività culturali, funzioni religiosi, assemblee, etc.; però tutto nella misura di ciò che permette il filo spinato e l’esercito giapponese.
I giapponesi cercano di ottenere il sostegno della popolazione indigena, presentandosi come alleati nella lotta contro i poteri coloniali europei. Infatti la popolazione sumatrese si guarda bene dall’aiutare molto i civili europei e per la prima volta indonesiani accedono a incarichi amministrativi di alto livello per sostituire gli europei ormai allontanati. Col tempo questa strategia dei giapponesi contribuisce a rinforzare il movimento indipendentista indonesiano in una misura né prevista né gradita dagli stessi giapponesi. Così ben presto, dopo la fine della guerra, sarà proclamata l’indipendenza dell’Indonesia. Il cristianesimo viene presentato dai giapponesi come la religione dei colonialisti europei, si incoraggia invece il ritorno alle religioni tradizionali. Preti e religiosi al di là della loro funzione religiosa sono sospettati di essere elementi di disturbo alla disciplina imposta dai giapponesi.
Nel luglio/agosto del 1943 i giapponesi svolgono violenti rastrellamenti alla ricerca di presunti collaboratori con gli alleati. In seguito gli europei nei campi di concentramento di Palembang, e fra questi numerosi religiosi, vengono deportati nel campo di Muntok sull’isola di Banka: una zona arida con un clima difficile. Le porzioni di alimento quotidiano vanno da 100 a una massima di 300 grammi di riso. Questo trattamento era la solita prassi nei campi di concentramento dei giapponesi per indebolire e sterminare pian piano i prigionieri. La denutrizione fa sì che cessino le attività come scuola, asilo etc. Spesso gli internati sono addirittura troppo deboli per partecipare ai funerali di qualche loro defunto. Nel solo campo di Muntok in seguito a denutrizione muoiono ca. 250 uomini su 942; la quota delle donne è simile; quella dei bambini probabilmente superiore. Anche undici dehoniani olandesi non sopravvivono in questo luogo di terrore. Sono:
P. Heinrich Norbertus van Oort, P. Petrus Matthias Cobben, P. Franciscus Hofstad, P. Isidorus Gabriel Mikkers, P. Theodorus Thomas Kappers, P. Andreas Gebbing, P. Petrus Nicasius van Eyk, P. Francisucs Johannes v. Iersel, P. Wilhelmus Franciscus Hoffmann, Br. Mattheus Gerardus Schulte, Bruder Wilfridus Thedorus van der Werf.
Nel febbraio del 1945 i prigionieri sono trasferiti un’ultima volta in un altro campo, a Belalau (sud Sumatra), dove le condizioni di vita sono migliori, però muoiono altri 96 uomini e 59 donne, a seguito delle torture subite a Muntok.
Il 24 agosto 1945, dopo 40 mesi di internamento, il comandante giapponese del campo annuncia l’armistizio di Manila e quindi la fine della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico. Un dehoniano sopravissuto scrive:
“Per qualche momento tutti rimangono zitti. Poi esplode un ‘Hurra’ e scatta una catena di auguri reciproci. Nel nostro blocco di sacerdoti dopo la preghiera del rosario cantiamo un Te Deum spontaneo. Che meraviglioso Deo Gratias!”
Nella sua riflessione per una nuova comprensione di ‘martiri’ Andrea Riccardi scrive:
“Perché sono morti… Le motivazioni sono le più differenti e dipendono da paese a paese, dalle diverse stagioni storiche…Politiche e strategie si uniscono a spinte anticlericali o antireligiose o a semplici manifestazioni di violenza, banditismo, alla volontà di piegare coscienze libere e forti… Alla fine la memoria dei martiri non è un libro degli eroi, ma la storia di tante esistenze cristiane vissute con fede e stroncate dalla violenza.”
Fonti: De Missiepost, December 1945/Januari 1946, p. 11-18; Andrea Riccardi,
Il secolo del martirio, Mondadori 2000; Bernd Bothe, Märtyrer der
Herz-Jesu-Priester; etc.
On February 15, 1942, Japanese troops overran the island of Sumatra, a part of the Dutch colonial empire and occupied the city of Palembang. While many Dutch soldiers and European nationals fled to the island of Java all the religious and priests decided to remain on Sumatra to continue their mission of running parishes, schools and hospitals. Initially after the Japanese invasion the mission work continued unimpeded. This situation changed radically starting on April 1,1942, when all the European nationals (civilians and religious) were interred. The men were imprisoned in Palembang, while the women and children were quartered in some European homes. Later on the internees were forced to construct with their own hands two concentration camps, one for women and the other for men. They were interred there for the next 17 months and began their first steps toward their own cavalry. The principal problem initially was the scarcity of both food and medicine. It was only after the first deaths occcured that they were allowed to be seen by doctors and to receive some medication. In the camps the internees organized their daily lives establishing a school, running meetings, offering cultural and religious activities, etc., but all this was done behind barb wire and under the watchful eye of the Japanese military.
The Japanese looked for ways to ingratiate themselves among the local population and portrayed themselves as allies against European colonialism. In fact the Sumatran people looked for ways to help many of the Europeans and for the first time Indonesians assumed high administrative positions in order to help Europeans even if it had to be from a distance. In time this strategy of the Japanese contributed in supporting the Indonesian independence movement to a degree neither foreseen nor appreciated by the Japanese. Soon after the end of the war Indonesian independence was proclaimed. Christianity was portrayed by the Japanese as the religion of the European colonialists and encouraged the return to traditional religions. Priests and religious apart from their religious functions were suspected of being subversive to the order imposed by the Japanese.
In July and August 1943 the Japanese began a policy of vigorously rounding up of persons suspected of collaborating with the allies. Consequently, many Europeans in the concentration camps in Palembang, and among them many religious, were deported to Muntok on the island of Banka. Muntok is an arid area with a very harsh climate. The daily ration of rice varied from100 to 300 grams. This treatment was the practice in Japanese concentration camps to weaken and slowly exterminate prisoners. This lack of nutrition led to the elimination of activities such as school, shelter etc. Often the internees became too weak to attend camp funerals. In Muntok due to the lack of nutrition 250 out of some 942 men died; similar statistics applied to the women and among children probably greater numbers died. Among the deaths there were 11 Dutch SCJs who were burred there. They are:
Fr. Heinrich Norbertus van Oort, Fr. Petrus Matthias Cobben, Fr. Franciscus Hofstad, Fr. Isidorus Gabriel Mikkers, Fr. Theodorus Thomas Kappers, Fr. Andreas Gebbing, Fr. Petrus Nicasius van Eyk, Fr. Francisus Johannes v. Iersel, Fr. Wilhelmus Franciscus Hoffmann, Br. Mattheus Gerardus Schulte, and Br. Wilfridus Theodorus van der Werf.
In February 1945 the prisoners were transferred one last time to another camp at Belalua in South Sumatra where the conditions were better, but due to the tortures endured at Muntok another 96 men and 59 women died.
On August 24, 1945 after 40 months of internment the Japanese camp commander announced the Manila armistice ending World War II in the Pacific. An scj wrote:
"For some moments all remained silent. Then a huge "Hurrah!" exploded and everyone offered well wishes to one another. In the block where we priests were staying we spontaneously sang the Te Deum after praying the rosary. What a wonderful Thanks be to God!"
In his reflections on a new understanding of what constitutes a 'martyr' Andrea Riccardi wrote:
"Why are they martyrs? The reasons are different and vary from one country to another depending on its historyÉ Politics and strategies come together in anticlerical or anti-religious sentiments, or in simple outbreaks of violence, banditry, or the desire to crush freedom. In the end, the story of martyrs is not a book of heroes, but the story of many Christians living by faith and cut down by violence."
Sources: De Missiepost, December 1945/January1946, p. 11-18; Andrea
Riccardi, Il secolo del martirio,
Mondadori 2000; Bernd Bothe, MSrtyrer der Herz-Jesu-Priester; etc.
A 15 de fevereiro de 1942, as tropas japonesas conquistam e ocupam Palembang/Sumatra, ilha pertencente ao então império holandês. Enquanto militares e civis holandeses se transferem para ilha de Java, outros civis e os religiosos e padres decidem permanecer em Sumatra para dar continuidade à sua missão nas paróquias, escolas e hospitais. Após a invasão japonesa a missão não è proibida. Tudo muda a partir de 1º de abril de 1942, quando todos os europeus são recolhidos: Os homens, na prisão de Palembang, as mulheres e crianças em algumas residências européias. Mais tarde eles devem construir dois campos de concentração. Haverão de ficar nestes campos cerca de 17 meses. O maior problema é a alimentação escassa e a falta de medicamentos. Só depois que alguns morrem, os médicos intervêm . Nestes campos, os internados organizam sua vida, com escola, funções religiosas, tudo dentro do arame farpado dos japoneses.
Os japoneses buscam o apoio da população local mostrando-se aliados na luta contra o colonialismo europeu. Pela primeira vês, cidadãos indonésios passam a ocupar cargos administrativos. Com o passar do tempo esta estratégia contribui para reforçar o movimento de independência indonésio num nível não previsto nem aceito pelos japoneses. Assim, logo após o término da guerra è proclamada a independência da Indonésia. O cristianismo è apresentado pelos japoneses como religião dos colonialistas europeus e as religiões locais recebem todo o apoio. Padres e religiosos passam a ser suspeitos.
No período de julho e agosto de 1943 os japoneses passam a perseguir os colaboradores dos aliados. Muitos europeus são levados ao campo de Muntok, na ilha de Banka, uma região árida e inóspita. A ração diária de comida varia entre 100 e 300 gramas de arroz. A desnutrição enfraquece as pessoas de modo a impedir qualquer outra atividade, até participação nos funerais de quem morre.
Somente no campo de Muntok morrem 250 homens de um total de 942. Neste
contexto, onze dehonianos não sobrevivem: P. Heinrich Norbertus
van Oort, P. Petrus Matthias Cobben, P. Franciscus Hofstad, P. Isidorus
Gabriel Mikkers, P. Theodorus Thomas Kappers, P. Andreas Gebbing, P. Petrus
Nicasius van Eyk, P. Francisucs Johannes v. Iersel, P. Wilhelmus Franciscus
Hoffmann, Ir. Mattheus Gerardus Schulte, Ir. Wilfridus Thedorus van der
Werf.
Em fevereiro de 1945 os prisioneiros são de novo transferidos
, desta feita para Belalau (sul de Sumatra), onde as condições
são melhores.
A 24 de agosto de 1945, depois de 40 meses de inter nação,
o comandante japonês anuncia o armistício de Manila
que encerra a guerra no Pacífico. Um sobrevivente dehoniano
escreve:
“Por alguns instantes todos ficaram calados. De repente explode
um ‘Hurra’ . no nosso bloco alguém entoa logo um te Deum”.
Em sua reflexão sobre um novo conceito de mártir Andrea
Riccardi escreve:
“Por que morreram? As motivações são muitas
e variam de país a país. A política une-se a motivações
anti-clericais e a meras explosões de violência e banditismo”.
Fontes: De Missiepost, December 1945/Januari 1946, p. 11-18; Andrea
Riccardi, Il secolo del martirio, Mondadori 2000; Bernd Bothe, Märtyrer
der Herz-Jesu-Priester; etc.
El 15 de febrero
de 1942, las tropas japonesas conquistan y ocupan Palembang/Sumatra, isla
del entonces imperio colonial holandés. Mientras los militares holandeses
y numerosos ciudadanos europeos se trasladan a la isla de Java, algunos
europeos y todos los religiosos y sacerdotes deciden permanecer en Sumatra
para continuar su misión en las parroquias, las escuelas y los hospitales.
Tras la invasión japonesa en un primer momento la obra misionera
no es impedida. Esta situación cambia radicalmente a partir del
1 de abril de 1942, día en el que todos los europeos (civiles y
religiosos) son internados los hombres en la prisión de Palembang,
las mujeres y los niños en algunas residencias europeas. Más
tarde los internos deberán construir con sus propias manos dos campos
de concentración, uno para las mujeres y otro para los hombres respectivamente.
Permanecerán en estos campos cerca de 17 meses, viviendo así
el primer paso de su calvario. Los problemas principales en este período
eran debidos a la escasa alimentación y a la falta de medicinas.
Solo tras los primeros muertos son admitidas las visitas de los doctores
y la administración de alguna medicina. En los campos los internos
organizan su vida cotidiana con escuela, actividades culturales, funciones
religiosas, asambleas, etc.; pero todo en la medida de lo que el cable
de espinas y el ejército japonés permiten.
Los japoneses buscan
obtener el apoyo de la población indígena, presentándose
como aliados en la lucha contra los poderes coloniales europeos. De hecho
la población sumatrense se cuida mucho de ayudar a los civiles europeos
y por primer vez los indonesios acceden a cargos administrativos de alto
nivel para sustituir a los europeos alejados. Con el tiempo esta estrategia
de los japoneses contribuye a reforzar el movimiento independentista indonesio
en una medida ni prevista ni querida por los mismos japoneses. Así,
bien pronto, tras el final de la guerra, será proclamada la independencia
de Indonesia. El cristianismo es presentado por los japoneses como religión
de los colonialistas y se animan en su lugar la vuelta a las religiones
tradicionales. Sacerdotes y religiosos más allá de su función
religiosa son sospechosos de ser elementos de molestia a la disciplina
impuesta por los japoneses.
En julio/agosto
de 1943 los japoneses llevan a cabo violentos rastreos en busca de presuntos
colaboradores de los aliados. Seguidamente, los europeos de los campos
de concentración de Palembang, y entre estos numerosos religiosos,
son deportados al campo de Muntok en la isla de Banka: una zona árida
con un clima difícil. Las porciones de alimento cotidiano van de
100 a un máximo de 300 gramos de arroz. Esta trato era habitual
en los campos de concentración japoneses para debilitar y exterminarpoco
a poco a los prisioneros. La desnutrición hace que cesen las actividades
en las escuelas, asilos, etc. A menudo, los internos están demasiado
débiles como para asistir a los funerales de alguno de sus difuntos.
Solo en el campo de Muntok por desnutrición mueren cerca de 250
hombres de 942; la cuota de mujeres es similar; la de niños probablemente
superior. También once dehonianos holandeses no sobreviven en este
lugar de terror. Son:
P. Heinrich Norbertus van Oort, P. Petrus Matthias Cobben, P. Franciscus Hofstad, P. Isidorus Gabriel Mikkers, P. Theodorus Thomas Kappers, P. Andreas Gebbing, P. Petrus Nicasius van Eyk, P. Francisucs Johannes v. Iersel, P. Wilhelmus Franciscus Hoffmann, Hno.Mattheus Gerardus Schulte, Hno. Wilfridus Thedorus van der Werf.
En febrero de 1945
los prisioneros son transferidos una última vez a otro campo, a
Belalau (sur de Sumatra), donde las condiciones de vida son mejores, pero
mueren otros 96 hombres y 59 mujeres, consecuencia de las torturas sufridas
en Muntok.
El 24 de agosto
de 1945, tras 40 meses de internamiento, el comandante japonés del
campo anuncia el armisticio de Manila y por tanto el fin de la Segunda
Guerra Mundial en el Pacífico. Un dehoniano superviviente escribe:
“Por algún
momento todos permanecieron callados. Después explotó un
‘Hurra’ junto con una cadena de felicitaciones recíprocas. En nuestro
bloque de sacerdotes tras la oración del rosario cantamos un Te
Deum espontáneo. ¡Qué maravilloso Deo Gratias!”
En su reflexión
para una nueva comprensión de los ‘mártires’ Andrea Riccardi
escribe:
“Por qué
han muerto… Las motivaciones son diferentes, dependiendo de país
a país, de las diferentes situaciones históricas… Políticas
y estrategias se unen a lances anticlericales o antirreligiosas o a simples
manifestaciones di violencia, vandalismo, a la voluntad de plegar las conciencias
libres y fuertes… Al final la memoria de los mártires no es un libro
de héroes, sio la historia de tantas existencias cristianas vividas
con fe y truncadas por la violencia.”
Fuentes: De
Missiepost, December 1945/Januari 1946, p. 11-18; Andrea Riccardi,
Il
secolo del martirio, Mondadori 2000; Bernd Bothe, Märtyrer
der Herz-Jesu-Priester; etc.