Un Santo sulla breccia

 

 

P. Juan García Méndez

(P. Juan María de la Cruz, SCJ)

P. Evaristo Martínez de Alegría, scj
Postulazione Generale - Roma

Una tra le tante storie di santi

Alte terre circondano la città di Avila, tra grandi blocchi di granito che affiorano come mani consunte che si protendono al cielo, in orizzonti chiari di estati torride e di inverni senza pietà. Suolo della vecchia Castiglia, culla di “canzoni e di santi.” Santa Teresa di Gesù e San Giovanni della Croce sono i prototipi. Questa è una terra di forti cristiani. Le famiglie, numerose, di agricoltori ed allevatori, sono all'origine, da un lato, di tanti credenti, austeri ed anonimi, e dall'altro di figure che gli avvenimenti e la stessa vita, hanno fatto germogliare come dono e regalo di Dio alla sua Chiesa trasformandoli in Vangelo, realtà vivente quotidiana.

Il nostro protagonista, il P. Juan, nacque a San Esteban de los Patos (Avila), il 25 settembre 1891. Era il primo di quindici fratelli e, al battesimo, ricevette il nome di Mariano. Gli diedero lo stesso nome di suo padre che, insieme a sua moglie Emerita, si sforzò di dargli un'educazione cristiana solida e sicura, attraverso una fede viva e una pratica profonda della vita cristiana.

La sua famiglia si prendeva cura della chiesa e suo padre, alla sera, ritornando dai campi, dirigeva novene e rosari perché non c'era il prete in quella piccola comunità. Per questo, ci dice uno dei suoi fratelli, molto presto la chiamata del Signore trovò un terreno fertile in colui che tutti chiamavano Marianito. Fu a dieci anni che ricevette la chiamata: rispose con tutta la sua generosità alla vocazione che sentiva profonda verso il sacerdozio.

La prima istruzione gli venne impartita dal parroco. Poi fu alunno esterno del Seminario di Avila. Più tardi vi entra per studiare Filosofia e Teologia.

La sua vita nel Seminario, ricordano i suoi compagni e superiori, fu esemplare, poiché era “ modello in tutto; si distingueva per la sua profonda umiltà, è da notare che era anche un giovane di talento straordinario”.

Una delle caratteristiche che l'accompagnarono durante tutta la sua vita fu che, nonostante una vita austera, sacrificata, di preghiera e di lavoro, “era molto gioviale, si divertiva con tutti senza rompere mai l'armonia tra i compagni. Era un santo.”

Ma aveva una preoccupazione: non è che non avesse chiara la decisione di servire il Signore, ma cercava una vita di maggiore interiorità e dialogo col Signore… Sembrava che il ministero nella parrocchia l'allontanasse dal suo ideale. La prima esperienza fu quella di andare a bussare alla porta dei PP. Domenicani di San Tommaso di Avila “dove non poté stare molto tempo a causa della sua poca salute”. Era l'anno scolastico 1913-14. Egli continuò a cercare.

Un buon parroco in mezzo a gente difficile
Il 18 marzo 1916 fu ordinato sacerdote ad Avila. Nella liturgia di quel giorno si diceva “imitate le cose che trattate” e così egli, seguendo le orme di Gesù di Nazaret, dedicò vari annidellasua vita al ministero parrocchiale in piccoli paesi della provincia nei quali, nonostante il tanto tempo passato, rimangono ancora i ricordi di quel sacerdote, “poquita cosa” fisicamente ma un uomo di Dio in mezzo a quelle genti castigliane, provate dalla povertà, dalla dura situazione politica e dalla mancanza di futuro.

Le parrocchie di Hernansancho, Villanueva de Gómez, San Juan de la Encinilla, Santo Tomé de Zabarcos, Sotillo de las Palomas furono quella piccola parte del Popolo di Dio che la Chiesa di Avila gli affidò. Erano paesi poveri, poco popolati, ma ricchi di tradizioni e di fede cristiana. 

Intanto, negli anni '20 si stava preparando una tempesta che avrebbe distrutto le genti e le terre della Spagna, tanto violenta che la Chiesa ne sarebbe rimasta mutilata e disorientata, perdendo, come testimoni della sua fede, innumerevoli figli e figlie: uno stuolo immenso di cristiani laici, insieme a circa 6.832 tra vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose. Riconoscersi come cristiano battezzato, in quegli anni, costava molto caro, quasi sempre la vita. 

Il 23 maggio 1916 Don Mariano si incammina verso Hernansancho, dopo appena due mesi dalla sua ordinazione da parte del vescovo Mons. Joaquín Beltrán y Asensio. In quel paese si dedica ad un intenso lavoro pastorale. Il suo metodo si basa su di una presenza umile, semplice; intensa preghiera ed adorazione prolungata al Santissimo nelle notti gelate; la mortificazione corporale e le veglie per alimentare la fede e la pratica cristiana nei suoi parrocchiani, soprattutto la confessione, la devozione eucaristica e quella mariana, l'allontanamento dalla bestemmia, e tutto coronato da una carità e da un servizio squisiti. 

L'abbiamo già detto. Erano paesi molto poveri, situati in regioni aride e desolate. E il parroco del paese vive di quello che i suoi fedeli gli danno per vivere. 

I suoi ex parrocchiani, oggi molto anziani, ricordano che Don Mariano non chiedeva mai niente, neanche faceva passare il cestino delle offerte. I suoi parrocchiani trovavano quel comportamento strano. Egli rispondeva loro: 

“sarebbe come trasformare la chiesa in una succursale di una banca.” 

La sua porta era sempre era aperta, di giorno e di notte, per i bisognosi, i malati, chi lo avesse richiesto... 

Nel paese di Hernansancho raccontano che, una volta, ci fu una rissa feroce che finì con spargimento di sangue. L'assassino uccise diverse persone. Il parroco, Don Mariano, accorse per assistere i feriti mentre fischiavano le pallottole. L'aggressore commentò poi, parlando con un suo amico a Peñalba, in un paese vicino, durante un banchetto di nozze: “Al tuo paese ho lasciato per terra alcuni capretti. Il parroco però non ho potuto ammazzarlo perché è un Santo.”

San Juan de la Encinilla, era il maggiore dei piccoli paesi che furono affidati alle sue cure pastorali, e dove molto presto i suoi parrocchiani e, specialmente sua sorella che lo assisteva, ebbero modo di accorgersi dello “stile” particolare di quel parroco che era toccato loro in sorte: Uomo di preghiera, di notti di adorazione davanti al Santissimo, di mortificazione corporale, di predicazione, di catechesi e di incontri personali, di quella semplice umiltà che ha caratterizzato tanti curati di paese che silenziosamente hanno servito, educato, accompagnato i propri fedeli.

Le vie dello Spirito
Le nere nuvole della violenza, del sangue, dell'ingiustizia e della morte cominciavano ad apparire all'orizzonte. Ed in mezzo a queste prove, alla povertà, alla fame, la chiamata di Dio continuava ad essere presente nella vita di Mariano. 

Un sacerdote, suo amico con chi si vedeva spesso, ci dice: “Era un sacerdote esemplare..., ma varie volte mi ripeteva: ‘Sono contento, ma ti confesso che sto vivendo fuori del mio ambiente; mi pesa molto la vita parrocchiale. E d'altra parte soffro tanto per il mio stato di salute che, se non fosse per l'obbedienza, avrei già preso un'altra strada: la mia inclinazione irresistibile è per la vita religiosa'”.

In questa ricerca passò alla diocesi di Vittoria (1921-1922), dove, per quasi un anno, svolse l'incarico di cappellano dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Nanclares de Oca. Stando lì, chiese al suo Vescovo di potere entrare nell'Ordine dei Carmelitani Scalzi. Ottenutolo, comincia il suo Noviziato a Larrea (Biscaglia).

Ancora una volta la sua salute lo tradisce. Non resiste alle esigenze di una vita che, a quei tempi, era molto ascetica, molto dura. Eppure egli desiderava abbracciarla; aspirava ad una vita intima di contemplativo.

Ritornò ad Avila. Per due anni (1923-1924) si prese cura delle parrocchie di San Tomé de Zabarcos e Sotillo de las Palomas. Il periodo fu breve, ma i frutti che lasciò furono molto fecondi.

Don Mariano viveva un profondo amore e una grande devozione al sacramento dell'Eucaristia. Per questa ragione approfittava di qualunque momento per entrare nelle chiese dei paesi o città per dove passava. 

A Madrid si recava frequentemente nella chiesa delle Religiose Riparatrici. Nell'anno 1925, un giorno, vi incontrò il P. Giglielmo Zicke. Questo religioso era il fondatore della Provincia dei Sacerdoti del Cuore di Gesù (PP. Reparadores) in Spagna. Strinsero amicizia e Mariano gli svelò il suo desiderio, l'inquietudine del suo cuore per non riuscire a trovare il posto a cui Dio lo chiamava. Il P. Zicke gli parlò della sua congregazione, quella del P. León Dehon, del progetto che l'ispirava, dello stile della sua vita... Il caso volle che Mariano entrasse nella piccola famiglia di cui il P. Guglielmo era “padre.” Facendosi religioso riparatore diventò il nostro P. Juan María de la Cruz. Congiungeva così, nel suo nuovo nome di religioso, due dei suoi grandi amori: la Madonna e San Giovanni della Croce, nativo di Avila come lui.

Il 31 ottobre 1926, solennità di Cristo Re, il P. Juan fece la sua professione religiosa in “spirito di amore, di oblazione, di riparazione.” Questo progetto, che coglieva gli atteggiamenti, le parole e la vita di Gesù, l'incoraggerà ed illuminerà negli ultimi dieci anni della sua esistenza, nel suo lavoro e ministero apostolico.

Il P. Dehon, fondando la Congregazione, gli aveva dato come primo nome quello di “Oblati (Vittime) del Sacro Cuore.” Il P. Juan María de la Cruz accoglierà in pieno questa vocazione di Oblato-vittima, nel sacrificio supremo del 23 agosto 1936, mentre già tutta la sua vita, come religioso riparatore, era stata un via crucis nel nascondimento e nell'abbandono.

Il P. Guglielmo ci ha lasciato questa testimonianza su P. Juan: “Mentre io ero Superiore a Puente la Reina, l'ammisi come postulante nella nostra Congregazione. Già professo, manifestò il desiderio di perfezionarsi sempre di più nella vita contemplativa, sollecitando la propria entrata - con il permesso dei superiori - nell'Ordine dei Trappisti. E come prova, stette nel monastero di Cóbreces, dal quale, poco tempo dopo, ritornò alla Congregazione per motivi di salute”.

Stette un anno a Novelda (Alicante) dopo avere fatto il Noviziato sotto la direzione del P. Maestro e con l'appoggio della Comunità. Lì, nella nostra scuola, l'unica scuola che rimaneva dai tempi del P. Dehon, svolse l'incarico di professore di religione e contemporaneamente rispondeva alle richieste pastorali della chiesa con il suo ministero sacerdotale.

Era un uomo di profonda vita interiore ed innamorato dei santi, in modo particolare dei martiri. Nel 1927 ebbe occasione di visitare la città di Roma. La sua attenzione fu attirata soprattutto dalle catacombe di S. Callisto ed da altri luoghi storici che conservano la memoria dei martiri. Era difficile strapparlo da lì, come testimonia dopo anni uno dei suoi accompagnatori, già anziano, che ricordava con precisione quel santo padre spagnolo…

In quel viaggio ebbe la fortuna di passare per Lourdes e perfino la gioia di potere avvicinarsi alla Grotta. Maria era l'altro grande polo di attrazione. Per lei era capace di affrontare lunghi viaggi e passare per difficili sentieri alla ricerca di santuari ed eremi della Vergine, dispersi per l'intera Spagna. Queste erano alcune delle cose che raccontava ai seminaristi di Puente la Reina, quando ritornava a casa dopo i suoi viaggi, alla ricerca di benefattori e di vocazioni.

In cerca di pane con tanto amore...

“Le mie vie non sono le vostre vie” .È la prova del P. Juan, davanti alla quale deve mettere in atto quell'oblazione ed immolazione che aveva manifestato l'anno prima nella sua professione religiosa. A Puente la Reina, la sua nuova comunità, si andrà compiendo quell'opera lenta, intima e profonda con la quale lo Spirito continuerà a modellare la sua vita..., e la sua morte, avvenuta in quell'agosto di sangue e di lotta fratricida del 1936”. 

Il suo compito consisteva nell'uscire per la questua, passando fuori lunghi periodi, rinunciando alle comodità del luogo “sicuro”, rappresentato da una vita regolare e fraterna nella casa religiosa.

Il Seminario di Puente viveva momenti di crescita perché aveva molti seminaristi, ma c'era un'estrema povertà per mancanza di mezzi. P. Guglielmo conosceva molto bene il P. Juan e pensò che era la persona più adatta, come uomo di Dio, impegnato nel suo apostolato, per uscire per le strade della Navarra e dei Paesi Baschi in ricerca di vocazioni e di aiuti economici. Lo scopo di P. Guglielmo era di creare una rete di amici del Seminario per servire meglio la Chiesa ed in futuro le missioni, come quella del Camerun, dalla quale egli proveniva e che aveva dovuto abbandonare, essendo stati espulsi i tedeschi, durante la Prima Guerra Mondiale.

Di nuovo è il suo Superiore, il P. Guglielmo, che commenta: “Ciò che potrebbe sembrare una cosa contraddittoria, in lui diventava una cosa naturale per il solo fatto che il P. Juan era un uomo di tanta obbedienza, mettendo in pratica lo spirito di abnegazione e sacrificio che è proprio della Congregazione dei Sacerdoti del Cuore di Gesù, immolandosi, giorno per giorno, per puro amore a Nostro Signore e per le anime che gli sono più care.”

E per farci capire la stoffa di questo “fraticello”, come dicevano in Puente la Reina, prosegue:

“Perché una vita tanto movimentata e piena di distrazioni non nuocesse alla sua unione con Dio, cercava innanzitutto di proporsi un piano di vita, o un regolamento particolare, e perché tutto fosse soggetto alla sacra obbedienza, e in tal modo fosse opera meritoria per il cielo, prima di uscire, lo presentava al suo Superiore, per ottenerne la piena approvazione".

Un cammino che porta a Dio

Molti sono stati i religiosi che sono andati alla questua, cercando aiuti in denaro, porta a porta, per sostenere ed educare tanti ragazzi nei seminari. Molte volte, agli occhi degli uomini, erano qualificati come ignoranti o strani. Ma vivevano di Dio e portavano Dio alla gente. Erano umili Fratelli laici ,dei quali molti sono stati canonizzati o beatificati per la carità e l'amore del Signore che hanno saputo condividere con ricchi e poveri, saggi ed ignoranti. Uomini di Dio, conosciuti, stimati ed attesi in certe epoche mentre passavano per i paesi. Mendicanti per amore di Dio, fratelli che condividevano la Parola ed la preghiera con tutti. 

Anche il nostro P. Juan diffuse il “buon odore di Cristo” tra tutti quelli che ebbero occasione di conoscerlo: sacerdoti, che egli aiutava nel suo ministero sacerdotale (era un ottimo predicatore e amava celebrare il ministero della riconciliazione), religiosi (alloggiava nelle loro case quando poteva e lì era ammirata la sua umiltà, il suo spirito di preghiera e di mortificazione) e tanti cristiani laici coi quali condivideva la carità e la tenerezza del Cuore di Cristo nei loro problemi e necessità “come fiamma viva di Amore.” Per tutti egli “era un santo".

Durante i suoi viaggi, si preoccupava molto e stava sempre in guardia per ciò che riteneva essere offesa a Dio e ai buoni costumi. Varie volte capitò, in alberghi e locande, che egli chiese che fossero ritirati quadri o immagini “un po' ardite.” Le comprava, senza preoccuparsi del valore, per poi farle sparire. 

Uno dei suoi amici più intimi ci racconta che “in questi viaggi non perdeva mai il fervore, ma al contrario approfittava delle occasioni per fare apostolato, diffondendo la devozione all'Adorazione al SS. Sacramento, come pure la devozione all'Amore Misericordioso".

Ed un altro aggiunge anche la sua preoccupazione per l'animazione vocazionale: “Favorì le vocazioni per il nostro Istituto, al punto tale che diversi padri della nostra Congregazione devono la loro vocazione al Servo di Dio.”

Anche in mezzo ad una vita tanto intensa, di incontri con numerose persone e genti diverse: “conservò sempre il primitivo fervore del noviziato. E per questo motivo faceva tutto il possibile per partecipare ai ritiri della sua comunità il primo venerdì del mese, rendendo conto ai suoi superiori del frutto della sua questua. Si può dire che il Servo di Dio sia stato una provvidenza per la Congregazione. I tempi liberi dalla sua questua, li impiegava a raccogliersi davanti al Signore e a fare le sue pratiche di pietà”.

Queste sono le testimonianze di quelli che lo conobbero, specialmente i religiosi e religiose di vari Istituti.

Per valli oscure mi conduci
Il 14 aprile di 1931 in Spagna viene proclamata la Repubblica. Le nuvole nere, che si vedevano all'orizzonte, si stavano trasformando in una tempesta. Alla fine si diffusero nelle grandi città e nei centri industriali. Si voleva un cambiamento della società e della politica. Ma la situazione sfuggì ad ogni controllo e lasciò il passo ai radicalismi più estremi delle ideologie di sinistra e di destra. 

La Chiesa spagnola venne vista come il nemico fondamentale da combattere. Il bersaglio era facile perché non offriva resistenza. Anarchici, socialisti, comunisti, intellettuali e dirigenti anticlericali l'incolparono, insieme agli imprenditori e all’esercito, di tutti i mali della situazione sociale degli operai e dei contadini, dell'evidente ritardo rispetto ad una Europa aperta, pluralista e sviluppata.

Non era facile vivere in una società nella quale le leggi e la propaganda tentavano di relegare i sacerdoti nelle sacrestie. Era abituale lo scherno verso la Chiesa. La situazione in cui essa si trovava era molto dura anche nell’ambiente in cui si muoveva il P. Juan, Navarra e Paesi Baschi (considerati come il Vaticano spagnolo), a causa dei radicalismi, e delle leggi che obbligavano tutti.

Non è strano neppure che, nell'ambiente cristiano e religioso, si diffondessero le idee di “crociata”, “martirio.” Così, in realtà era vissuta la situazione da molti sacerdoti e religiosi, compreso P. Juan che si esprimeva in questi termini quando parlava in comunità o agli alunni, commentando quello che stava succedendo in quei giorni. 

Uno dei suoi alunni ci racconta un fatto che illustra la sua convinzione ed il suo entusiasmo verso il martirio: “Un figlio di mia nonna, religioso cappuccino, missionario in Cina, era stato fatto prigioniero dai comunisti. Informato dello sconforto di mia nonna, il Servo di Dio andò a casa sua per incoraggiarla e consolarla, e ricordo che le sue parole furono più o meno queste: Suo figlio è un martire. Oh!, potessi avere io la stessa fortuna di essere perseguitato e di morire per Cristo!”.

Gli anni che precedettero il 18 Luglio 1936, data di inizio della Guerra Civile, furono “duri” per un uomo come P. Juan che continuava, imperturbabile, il suo ministero sacerdotale e religioso e l’umile opera di educatore nel Seminario.

Il P. Zicke ci dice che, “essendo di carattere speculativo e dotato di doni spirituali, aveva dato prova di una preparazione dottrinale non comune. Nelle riunioni dei padri della casa per risolvere i casi di morale, lasciava tutti ammirati per le citazioni dei Santi Padri che faceva a memoria. È vero che non aveva molto senso pratico per essere professore dei ragazzi, specialmente per mantenere la disciplina ed interessare i suoi piccoli alunni. Nonostante ciò essi erano contenti con lui perché durante le ricreazioni e nelle passeggiate raccontava fatti interessanti, in modo vivace ed insegnava loro canzoni spiritose”.

Nella sua permanenza in Seminario lasciò tra gli alunni il ricordo di un uomo di pietà e di fervore ammirabili. Si poteva trovare P. Juan o in stanza o in cappella. La celebrazione della sua Messa finiva spesso con lo stancare i suoi piccoli ed inquieti chierichetti, per cui, in diverse occasioni, come San Filippo Neri, li invitava a lasciarlo solo con il suo Signore, in un dialogo silenzioso di adorazione e di amore, proprio di coloro che vivono profondamente il mistero di Amore racchiuso nell'Eucaristia.

Una Betania poco ospitale
E venne infine il terribile 1936. In uno dei suoi viaggi ebbe occasione di visitare sua madre, e uno dei suoi fratelli con la cognata. Questa ricorda che:“Una volta, nella mia casa, parlando con me, con sua madre e mio marito, pronosticò la rivoluzione prossima e manifestò il desiderio di morire martire. Diceva a mio marito: Victor, è felice chi ha la fortuna di versare il sangue per Nostro Signore!”.

“E le circostanze, che possiamo pensare guidate dalla Provvidenza, portarono il Servo di Dio, proprio in quell'anno cruciale della sovversione in Spagna, dal luogo tranquillo e riparato della Navarra, dove si trovava, nella regione di Cuenca, dove il pericolo si fece ben presto incombente ”, come ci testimonia, la Positio, la migliore fonte documentata di questa piccola storia, dalla quale abbiamo continuato a raccogliere testi e citazioni.

Cuenca ha un nome indimenticabile: il Santuario di Garaballa. Abbandonato dai PP. Trinitari, fu assegnato dal Vescovo di quella città ai Sacerdoti del S. Cuore, come sede del futuro Noviziato e luogo di riposo.

È qui che, agli inizi di luglio, arriva il P. Juan per ristabilire la sua fragile salute e riposarsi dai suoi impegni e dalle sue scorrerie, per godere della tranquillità e della calma di quei luoghi quasi dimenticati del ‘mondano rumore ' che direbbe Frate Luis di Leone. “Ma la gente del paese, benché abbastanza rude ed ignorante per le cose di religione, in principio accolse discretamente i nuovi arrivati, ma, poi, con il mutare della situazione durante l’anno , si mostrò sempre di più indifferente e fredda, fino a che, dopo le seconde elezioni di maggio (1936), manifestò la sua aperta ostilità, salvo rare eccezioni”.

Questo fu il clima di “riposo e tranquillità” nel quale si trovò il P. Juan... ma, anche in questo breve periodo, non gli mancarono occasioni di manifestare il suo zelo e coraggio per le cose di Dio, senza farsi problema quando doveva rimproverare un contadino per le sue bestemmie, o aprire la chiesa in giorno festivo, o suonare le campane e celebrare l'Eucaristia, perché il curato era fuggito o si era nascosto. Riecheggiava apertamente il salmo che dice: “Lo zelo della tua casa mi divora”...

Saliamo a Gerusalemme
Saranno anche le circostanze ad obbligare P. Juan a prendere la rotta verso Valencia. Il 18 luglio ebbe luogo il cosiddetto “Alzamiento Militar”, guidato dal gen. Franco, che scatenò la Guerra Civile e con questa “una persecuzione religiosa che arrivò fino allo sterminio”.

Vedendo come andavano le cose, il superiore di Garaballa, messo in guardia da amici che stavano arrivando in zona truppe e miliziani, quello stesso giorno riunì i suoi religiosi e disse loro che dovevano partire immediatamente in diverse direzioni per salvare la propria vita.

Al P. Juan toccò quella verso Valencia. Lasciò l’abito e si mise una vecchia e ampia giacca. Per questa ragione sarà conosciuto e chiamato dai suoi compagni di carcere con l'appellativo affettuoso di “P. Giacchettone.” 

Perché proprio Valencia? Lì non era conosciuto da nessuno per questo si pensò che potesse passare più inosservato nella prevedibile “caccia ai preti”. E vi fu una simile “caccia” spietata e crudele. In agosto, in tutta la Spagna, vi furono 2077 ecclesiastici uccisi, e tra essi dieci vescovi.

Uno dei capi di questa barbarie ingiustificabile fu José Díaz, uno dei dirigenti della sezione spagnola della Terza Internazionale. Così si vantava a Valencia: “Nelle province che dominiamo, la Chiesa non esiste più. La Spagna ha sorpassato di molto i Soviets, perché la Chiesa, in Spagna, oggigiorno è annientata”.

A Valencia, su 1200 sacerdoti diocesani, 327 vennero uccisi. Senza aver previsto questa cosa P. Juan si trovò nel posto più rischioso. Ci racconta uno dei suoi compagni:“L’ho conosciuto nel 1936 e ho compreso i sentimenti del Servo di Dio, preparato ad accettare qualunque cosa Dio gli avesse chiesto per la salvezza della Patria. Aveva una fede cieca nel trionfo della causa di Dio, anche se si doveva subire un grande castigo per i peccati sociali. A quanti avvicinava sapeva comunicare la sua fede e il suo entusiasmo, incoraggiandoli davanti ai grandi pericoli che incombevano”.

Tentò di contattare una collaboratrice di P. Lorenzo Cantò che viveva vicino alla chiesa dei “Santos Juanes”, come punto di riferimento nella sua fuga.

Questa chiesa, situata vicino alla Lonja (un esempio di stupendo stile gotico civile) ed al Mercato Centrale (opera moderna in ferro, vetro e ceramica degli anni venti pure notevole), era uno dei monumenti artistici tipici della città, fin dagli albori della Riconquista. I suoi muri e le sue navate presentavano i segni dei secoli e dell’arte. L’architettura era barocca, ed i suoi affreschi erano stati dipinti da Palomino; oggi sono praticamente scomparsi a causa dell’incendio.

“Il Servo di Dio si trovò a passare davanti della chiesa, mentre si stava dando alle fiamme, dentro l'edificio, a molti oggetti sacri, ammucchiati al centro della stessa. Come ricordano molti testimoni nel processo, lo zelo del Servo di Dio era noto a tutti e questo, unito al suo temperamento forte ed impulsivo, non gli permetteva di rimanere a braccia conserte davanti alle offese a Dio e alla profanazione delle chiese”.

“Tra rovi e spine”

Un passante sconosciuto e malvestito. Non un cittadino, ma uno dei tanti fuggiti che cercavano in città un impiego in quei giorni, gli ultimi di luglio del 1936, si avvicina e si mette tra la gente a vedere, apparentemente uno di tanti. Lo si sentì dire a voce alta che quello che stava succedendo era troppo, inammissibile. Un avvocato, compagno di carcere, racconta così l’avvenimento:Quando il Servo di Dio fu portato in carcere erano gli ultimi giorni di luglio del 1936 o i primi del mese seguente; era rinchiuso in una cella della quarta galleria, se non ricordo male. 

Lo conobbi per questo motivo: mi dissero che da poco avevano messo in carcere un sacerdote, perché aveva protestato pubblicamente per l'incendio della chiesa dei ‘Santos Juanes’. 

Questo suscitò la mia curiosità e volli informarmi direttamente da lui stesso del come fosse avvenuto l’arresto, perché mi riusciva difficile credere che qualcuno avesse avuto tanto coraggio o fosse stato tanto ingenuo da non pensare a così drammatiche conseguenze.

Effettivamente glielo domandai, ed egli stesso mi disse che, vedendo l'incendio della chiesa dei ‘Santos Juanes’, commentando tra sé, ma a voce alta, aveva detto queste o simili parole: 

-Che orrore! Che crimine! Che sacrilegio! 

-Sentendo queste parole uno di quelli che partecipavano all'incendio o erano contenti per questo, gli disse: 

- Tu sei un “carca” – Espressione equivalente a: - Tu sei un uomo di destra o tradizionalista. Al che il Servo di Dio rispose: 

- Io sono un sacerdote.

Ragione per la quale procedettero al suo arresto.”

Egli stesso scriverà, dal carcere, nella festa di S. Lorenzo, al Superiore Generale SCJ, P. Lorenzo Philippe, facendogli gli auguri per il suo onomastico e comunicandogli la sua detenzione: “Reverendo Padre, sono qui detenuto da quasi tre settimane, per aver proferito alcune frasi di protesta per l'orrendo spettacolo delle chiese bruciate e profanate. Dio sia benedetto! Che Egli compia la sua divina volontà! Mi rallegro molto di potere soffrire qualcosa per Lui che tanto soffrì per me, povero peccatore”. 

Il giorno prima aveva scritto al sindaco di Garaballa:“Dallo stesso giorno in cui arrivai a Valencia, mi trovo detenuto nel Carcere Modello di questa città, con molti altri sacerdoti, religiosi e laici. Ma, grazie a Dio, sono tranquillo e rassegnato a quello che la Divina Provvidenza disporrà di me. Occupo la cella 476, quarta galleria”.

Inizia la sua Passione

Cella 476, quarta galleria... quasi il titolo di un film. Un film in bianco e nero in cui prevalgono i toni scuri, il ritmo rapido, nel caldo opprimente dell’estate di Valencia, nell’avvicendarsi di fatti e persone mentre l'odio della guerra e dell'astio fratricida riempie le prigioni. Ad ogni imbrunire, un falso avviso di libertà crea sistematicamente nuovi vuoti, ma tutti sanno che i prigionieri liberati sono ormai entrati nell’eternità.

P. Juan, o P. Chaquetón, non doveva passare inosservato. Le attestazioni dirette “ci danno un'idea precisa della fedeltà del Servo di Dio, durante la sua detenzione, al suo sacerdozio e alle stesse pratiche della vita religiosa che egli volle mantenere nei giorni dolorosi della sua prigionia”.

Abbiamo un'attestazione silenziosa, ma di un significato straordinario, una preziosa eredità: la piccola agenda che si trovò in una tasca dei pantaloni il giorno dell'esumazione dei suoi resti. 

Perforata dalle pallottole e macchiata del sangue del P. Juan, conserva annotato l'orario che egli aveva scritto, come programma quotidiano di vita: quell’orario che egli seguiva nel carcere ed in cui appaiono tutti gli atti prescritti dalla nostra Regola (cominciava alle cinque della mattina e finiva alle nove di sera). Leggendolo si rimane sorpresi nel vedere la fedeltà di P. Juan. Egli non si lasciava condizionare dall’amara realtà del carcere e dalla previsione di una morte vicina. La morte appariva chiaramente nel macabro rituale dei prigionieri, fatti uscire dalle celle, che non ritornavano più.

Gli capitò di tracciare una “Via crucis” sui muri della cella. Questo atto rischiò di costargli la cella di punizione. Questo fatto ci dice, da un lato, la sua fedeltà ai piccoli dettagli ed abitudini della sua congregazione religiosa, e dall’altro ci testimonia della continua meditazione sulla croce nell'oblazione riparatrice al Padre, nelle lunghe ore di solitudine e di incertezza, passate davanti al Cristo crocifisso che dona la Vita e vince la Morte.

Sappiamo che non fece assolutamente niente per occultare la sua identità di sacerdote. Aveva chiara coscienza che non stava nel carcere per le sue idee politiche, bensì per essere sacerdote e sapeva che se stava per essere fucilato era per questa causa. Così, nel breve tempo della sua prigione continuò a manifestare, con semplicità e coraggio, in mezzo ai suoi compagni di carcere, il suo essere Religioso e Sacerdote. 

E così possiamo vederlo nel cortile del carcere che dirige a voce alta il Rosario, “...e dato che eravamo sorvegliati dalle sentinelle coi fucili, che ci insultavano e minacciavano di morte, si adattò a non fare la preghiera per evitare di provocarli. Qualche sacerdote però – talvolta fu lui stesso -,ci disse che la cosa migliore era morire pregando, e così continuammo nelle nostre preghiere.

Ricordo di averlo visto tutti i giorni nel cortile del carcere pregare col suo libro di preghiere, per un'ora o un'ora e mezza. Lo si vedeva così spesso pregare che qualcuno disse: Un giorno o l’altro, il P. Chaquetón, l'ammazzeranno come un uccellino '”.

Si poteva pensare che questo atteggiamento fosse una specie di sfida, di insolenza, ma, come dice un altro compagno sacerdote, anche lui carcerato: “Non possiedo alcun indizio per dire che abbia fatto alcuna pratica per recuperare la sua libertà e sono convinto che non avrebbe mai fatto niente incompatibile col suo stato sacerdotale. Nella sua permanenza in prigione non ebbe alcun atteggiamento insolente o provocatorio che potesse giustificare la sua condanna a morte”.

Ed un altro testimone di quei giorni testimonia: “Esercitava il suo ministero, incoraggiava la gente, ma questo lo faceva con quella moderazione che era connaturale al suo carattere sacerdotale. In assoluto si può dire che non abbia avuto alcun gesto di insolenza, piuttosto tutto il contrario”.

Era imprigionato perfino l’idraulico del carcere. Fu lui cheimpedì al P. Juan di andare in cella di punizione. Questa è l'immagine che egli aveva del Servo di Dio: “Si comportava sempre da degnissimo sacerdote. Se si trovava nel cortile e sentiva suonare le ore, recitava delle preghiere con chiunque fosse lì. Una cosa che vidi fare in molte occasioni. Altre volte io stesso lo vidi pregare in cella. Con nessuno si mostrò mai sgarbato”.

Testimoni nel caldo della notte
Esiste una lettera del religioso redentorista P. Tomás Vega, anche lui suo compagno di prigionia, che il P. Guglielmo Zicke ha raccolto da una biografia che fece di un suo confratello di congregazione che, tra le altre cose, evoca quei giorni di prigione e la figura del Servo di Dio, “glorioso martire di Gesù Cristo, Venerabile P. Juan García, mio compagno di carcere”.

“...Ebbi la fortuna di conoscerlo e restare con lui, durante il primo mese dalla sua entrata nel carcere, il 22 luglio 1936. Ci edificò tutti dal primo giorno per la sua pietà e devozione. Recitavamo insieme il breviario durante il primo mese di carcere, quando avevamo tre ore di ricreazione al mattino e al pomeriggio, nel cortile, dove venivano a prendere aria i carcerati della 4ª galleria. C’erano lui, il Rev.do. P. Recaredo de los Rios (compagno nella cerimonia di beatificazione ma il suo nome completo èRicardo de los Rios Fabregat) ed un altro ecclesiastico; quest’ultimo era un salesiano, martire anche lui. Potemmo osservare il gran fervore religioso con cui pregava. Era molto frequente in lui mettersi in ginocchio in mezzo al cortile, nonostante non mancasse chi, per ragione di opportunità, gli consigliasse di omettere quei segni esterni di devozione; ma egli rispondeva che non bisognava avere alcun rispetto umano; che qui conveniva più che mai confessare Cristo, e che bisognava imitare i martiri dei primi secoli che, pregando in ginocchio, si preparavano per il martirio.

Verso le undici di mattina ci riunivamo un buon gruppo di carcerati, per recitare insieme le Litanie dei Santi, ed i giorni festivi, per pregare e recitare in pubblico le preghiere della Santa Messa (allora non avevamo ancora la fortuna di celebrare in carcere); il P. Juanito, così lo chiamavamo, non mancava mai.

Di pomeriggio, ogni sacerdote normalmente si riuniva con un gruppo di carcerati per recitare il Sacro Rosario; il P. Juanito aveva un gruppo scelto, e non diceva solo il Rosario bensì altre preghiere e faceva con loro la lettura spirituale. Normalmente andava di gruppo in gruppo, quando finivano le preghiere in comuni ad incoraggiare tutti nella virtù e nell’amore di Dio. Era davvero fervoroso.

Un giorno, scendendo in cortile, mi disse che aveva avuto una gran gioia: quella mattina aveva ricevuto Gesù Sacramentato. Un professore del Seminario era entrato in quei giorni nel carcere, ed aveva portato con sé il Santo Sacramento; il P. Juanito insistette tanto fino ad ottenere la Santa Comunione. Anzi, di più: ottenne che quel professore gli lasciasse un giorno il Santo Sacramento, e fu per lui un giorno celestiale.

Dopo un mese nel carcere, ci reclusero nelle celle, ed uscivamo solo per sezioni, un'ora al mattino e un’altra ora al pomeriggio, in cortile. Siccome io ero recluso in un piano distinto dal suo, non potei accompagnarlo più, ma a tutti lasciò un ricordo profondo della sua santità e virtù.

Pochi giorni dopo venimmo a sapere che era uscito dal carcere: non sapevamo però che era uscito per il martirio. Fu uno dei primi del Carcere Modello di Valencia che diedero la vita per il Signore e per la Spagna. Felice lui che raggiunse la palma del martirio. Felice la sua Congregazione oggi glorificata per un così eccelso martire! ”.

Era contento di soffrire per Gesù

Al momento della fondazione della Congregazione, P. Dehon l'aveva chiamata Congregazione degli “Oblati del Sacro Cuore.” P. Juan María de la Cruz realizzò la sua vocazione di Oblato nel dono di sé il 23 Agosto 1936. La sua vita, come religioso riparatore, fu molto simile a quella via crucis che Gesù aveva percorso duemila anni prima.

Consideriamo ora quella notte del 23 agosto 1936. Il Padre celeste stava per accogliere l'oblazione totale di P. Juan nella campagna di Silla, in un podere chiamato El Sario, situato in un luogo conosciuto come La Coma. Era simile a quell'orto del Getsemaní, con gli olivi, in cui venne catturato Gesù. Testimoni di quello che stava per succedere furono le stelle di una notte d’estate, gli altri nove compagni assassinati, i fari dei camion che illuminavano il canale ed il muro lungo il quale (rituale ripetuto centinaia di volte e ormai classico) furono collocate in fila le vittime. E poi si passò alla fucilazione. Ma prima vi furono maltrattamenti. Questi sono confermati dalle attestazioni mediche sui suoi resti, riconosciuti, riesumati e traslocati nel 1940 a Puente la Reina, affinché egli potesse restare per sempre tra quei seminaristi ai quali aveva dedicato gran parte della sua vita, di servizio e di ministero apostolico.

Lasciamo che sia il P. Lorenzo Cantò, suo superiore a Garaballa, - anche lui imprigionato a Valencia (prima aveva sofferto già in Messico la stessa situazione, durante la persecuzione di Calles dalla quale riuscì a fuggire per arrivare in Spagna), poco tempo dopo, ma lasciato in libertà, e con la possibilità di esercitare il suo ministero in quella Chiesa delle catacombe,- a raccontarci la ricognizione dei resti del P. Juan Mª de la Cruz: “Mi presentai al giudice municipale, domandando se, il giorno 23 agosto 1936, erano stati giustiziati dieci carcerati, nella campagna di Silla. La risposta fu affermativa, e aggiunse che gli era stato chiesto di farsi carico di dieci cadaveri nel territorio di Silla, che erano stati trasportati dagli stessi boia fino al cimitero municipale. Mi disse di più. Era sua intenzione di fare delle fotografie dei cadaveri, ma si era astenuto per paura.

Volli allora accertarmi chiaramente e gli descrissi come era di persona il P. Juan e come andava vestito poveramente. Il Signor Giudice mi disse che certamente era stato fucilato nella data indicata. Aggiunse che quando il becchino seppellì il cadavere del P. Juan, tutti quei boia erano d'accordo nell’affermare che quello era il cadavere di un prete e che gli avevano detto che per loro tutti quei giustiziati erano preti”.

Ed un altro testimone, il P. Belda, ci racconta:“Desidero aggiungere che io fui tra i pochi testimone dell'esumazione e che, come segno di veridicità, posso dire che tra i suoi resti sono stati trovati: la Croce della Professione e lo scapolare della Congregazione, perforato da due colpi. Ed inoltre, un'agenda, anch’essa attraversata da vari colpi, in cui vi era scritto l'orario che seguiva nel carcere e nella quale appaiono tutti gli atti prescritti dalla nostra Regola”.

Un santo di oggi?
Tutti i tempi e tutti i luoghi hanno “i loro santi.” Ci sono sempre figure di santità particolarmente eloquenti quando ci accorgiamo della loro lieve brezza accanto a noi, nonostante gli innumerabili rumori della postmodernità in cui viviamo immersi.

Spesso sono voci che gridano nel deserto e che vivono la fede con audacia tra i conflitti di questi tempi; ed arrivano ad essere temerari, pagando con la propria vita l'attestazione di una verità che non lascia in pace sia il credente di ieri come quello di oggi.

C'è un testo di Elie Wiesel, vittima dei campi di concentramento nazisti, per il solo fatto di essere di razza ebrea, che parla del profeta. Nel nostro caso possiamo applicarlo perfettamente a tante migliaia e migliaia di testimoni, di tutte le latitudini e confessioni cristiane, di cui Giovanni Paolo II ha chiesto che non si perda la memoria:“(il profeta) È lo specchio del suo tempo, ma certamente vive oltre il tempo; è sempre attento, sempre vigilante; non è mai indifferente, davanti ad ogni ingiustizia umana, in qualunque momento o qualunque posto in cui possa annidarsi. A volte è messaggero di Dio per l’uomo, o fa da messaggero dell'uomo davanti a Dio.

Persona inquieta ed inquietante, aspetta sempre un segno, una chiamata. Il profeta è spesso perseguitato, si sente solo, anche quando si dirige alle masse, o quando parla con Dio o con sé stesso, quando descrive il futuro o evoca il passato. Pensiamo ai diversi martiri del nazismo e del fascismo, dei regimi dittatoriali dell'America latina, o dei paesi soggetti al comunismo stalinista. Sono quelli che hanno l'audacia di seguire strade nuove e sconosciute che percorrono senza alcun orgoglio, coscienti della loro fragilità e dei rischi che corrono, forti della loro fede nella Verità che ci fa liberi”.

Il P. Juan ha camminato per i sentieri della sua esperienza spirituale, religiosa e sacerdotale, apparentemente serena, fino al momento del suo martirio, come molti altri religiosi e sacerdoti della sua epoca. Tutti erano coscienti di ciò che stava accadendo nella Chiesa e in Spagna. 

Abbiamo messo di rilievo il suo stile e il suo modo di vivere che facevano sì che, attorno alla sua umile figura si andasse disegnando l'aureola, la fama di “santo.”

Il suo obiettivo era servire Dio, secondo il disegno che gli era stato svelato durante la sua vita fin dalla chiamata alla vita religiosa, in una Congregazione che, per progetto e carisma, corrispondeva al suo vivo ed ardente desiderio di “amore, immolazione e riparazione”.

P. Zicke descrive molto bene lo stile della sua vita spirituale: “Posso dire, per la mia conoscenza personale, che la sua pietà brillava per l'amore straordinario al Santissimo Sacramento e alla Santa Vergine. [...] Il tema favorito delle sue predicazioni ed istruzioni era l'amore misericordioso del Sacro Cuore. Visitava i santuari della Vergine a costo di grandi sacrifici. Il Breviario lo recitava con estrema scrupolosità. [... ] Nella celebrazione della Santa Messa poneva più tempo dell'ordinario, particolarmente nel momento della Consacrazione. [...] In molte occasioni manifestò il suo zelo per la gloria di Dio”.

Lo riconoscevano allo spezzare del pane
Due caratteristiche distinguono la sua fede ed il suo amore: la devozione all'Eucaristia e alla Santa Vergine. Inoltre la sua vocazione alla vita religiosa dei “PP. Riparatori” trovava il suo contesto adeguato nel suo amore all'adorazione eucaristica e alla riparazione. Sappiamo che durante i suoi viaggi di “mendicante”, 

“…se si celebrava qualche funzione religiosa e non c'era il predicatore, specialmente nelle feste della S.ma. Vergine, a richiesta della Comunità (nella quale normalmente alloggiava), era solito proporre se stesso. E succedeva che, anche senza preparazione alcuna, commuovesse gli uditori con gran ammirazione di tutti. A chi gli faceva notare la sua facilità nel predicare, rispondeva normalmente che quando si ama molto la Vergine Maria, non si ha bisogno di una gran preparazione. A Roma lo ricordano ancora per il suo amore alla Vergine Maria, perché, pur non conoscendo l'italiano parlava e predicava su Lei”.

Un Padre Sacramentino, che lo conobbe perché durante i suoi viaggi alloggiava nella sua comunità, dopo avere ricordato tanti e tanti esempi edificanti dice: “Ora, dopo appreso la notizia del suo martirio, mi rendo conto che P. Juan era un sacerdote di cui si potrebbe dire –secondo la nota frase paolina – che non era lui a vivere, ma era Cristo che viveva in lui”.

Un ricordo che è una fotografia. Un’altra attestazione dell’ultima ora ce la offre il suo Superiore e compagno del Santuario di Garaballa di quel mese di luglio del ‘36, nella serenità di quelle solitudini: 

“Era ammirabile l'entusiasmo con cui parlava del martirio, prevedendo chiaramente quanto gli sarebbe successo, infervorandoci tutti a tal punto che già da allora non si parlava di altre cose che del martirio”.

Era Cristo che viveva in lui e che l'andava preparando a dare testimonianza della verità ed ad uscire portando la sua croce, verso un qualunque muro di cinta nei paraggi di Silla, per essere crocifisso come il Maestro, fuori della città. Non alla luce del giorno, bensì a quella di alcuni fari che, tra gli olivi, proiettavano la sua ombra allungata sul muro.

Fare memoria di questi testimoni della fede è prospettare, nella nostra società, tutta protesa ad un materialismo disincantato ed un agnosticismo crescente, alcune piste che ci mostrano che è possibile vivere i valori del Vangelo e continuare a costruire il Regno di Dio, “il Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nelle società”, come diceva il P. Dehon, fondatore dei “PP. Riparatori” (Sacerdoti del Cuore di Gesù). 

Le grandi e crudeli persecuzioni religiose e politiche del secolo XX, - non bisogna avere vergogna a chiamare le cose con il loro nome – ci hanno lasciato il triste ricordo di tanti fratelli, cristiani o meno, vilipesi, schiacciati ed assassinati. A noi tocca gridare: “Mai più!” e ricordarli, imitare la loro fede, condividere la loro forza, vivere il loro amore, credere e sperare, perché il Signore sarà con noi fino al fine dei tempi.

E nel fare insieme la strada
La Liturgia romana, sempre precisa ed chiara, nel prefazio dei Santi, prima di ricordare l’istituzione dell’Eucaristia, proclama:“Nella testimonianza di fede dei tuoi Santi tu rendi sempre feconda tua Chiesa … e doni a noi tuoi figli un segno sicuro del tuo amore. Il loro grande esempio e la loro fraterna intercessione ci sprona e ci sostiene nel cammino della vita perché si compia in noi il tuo mistero di salvezza”.

Solo il Signore e coloro che li hanno esperimentati conoscono i frutti dell'intercessione del P. Juan Mª. della Croce. Il periodico “Cuore ardente” da molti anni, continua ad annotare con fedeltà le grazie ricevute, ma sappiamo che, anche durante la sua vita, in modo particolare quando percorreva instancabile le vie dei Paesi Baschi o della Navarra, entrando nelle case e nelle cascine, continuava a lasciare un grato ricordo ai suoi benefattori.

Concludendo questa breve biografia, ricordo quanto uno dei testimoni del Processo, l'unico ancora vivo probabilmente e con una memoria felice, il P. Belda, mi raccontava:il P. Juan era andato, in una certa occasione, come era sua abitudine, a sollecitare l’aiuto di una famiglia di Pamplona, molto conosciuta, i Signori Ferrer. Venne alla porta la moglie, molto tesa, dicendo che in quel momento non potevano aiutarlo: “Mio marito si sta preparando per andare alla clinica S. Miguel, dove abbiamo la figlia molto grave; tra alcune ore gli faranno una tracheotomia. Sento che sta molto male”.

Il P. Juan uscì correndo verso la clinica che si trovava alla periferia della città, ripetendo: 

“Signore, quella che tu ami è malata!”... 

E davanti allo stupore di infermiere e medici, senza fare caso alcuno alla situazione di isolamento ed osservazione in cui trovava la ragazza, la scosse dicendo: 

“Parla!.” 

E da quel momento, con grande meraviglia dei medici e gioia dei suoi genitori, la bambina tornò a parlare.

Viva rappresentazione del mistero di Cristo nella Chiesa, esempi e testimoni di una fede viva, essi sono gli amici del Signore e, davanti a Lui, continuano ad intercedere per noi: questi sono i santi, e tale è il nostro P. Juan Mª de la Cruz.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

BERNARDO MARTIN DEL REY,Los mártires mueren en Cruz, ed. "El Reino del Corazón de Jésus", Madrid 1962.

P. PAOLO TANZELLA, Padre García Méndez, ed. Dehoniane, Andria 1977.

P. ANTONIO AGUILERA ALAMO, Testigo hasta la muerte, Madrid, 1984.

P. ANTONIO AGUILERA ALAMO, Transparentia de unaFe, Madrid 1986, in occasione del 50° anniversario della morte del Servo di Dio.

Diversi articoli apparsi sul Bollettino "Corazón Ardiente" esoprattutto la Positio super Martyrio.