Cari confratelli:
Abbiamo la gioia di consegnarvi una riflessione che quest'anno sostituirà gli abituali messaggi del 14 marzo e della Solennità del Sacro Cuore di Gesù. È una riflessione in rapporto all'ANNO DEHONIANO e alla preparazione dei Capitoli provinciali e generale. La inviamo da un luogo speciale, molto caro al nostro Fondatore: il “Santuario dell'Annunciazione e dell'Incarnazione del Signore” di Loreto (Italia), chiamato la “Santa Casa”, perché qui, secondo un'antica tradizione, fu ricostruita parzialmente la casa dove la Madonna visse e ricevette, a Nazaret, l'annuncio dell'Angelo.
È un luogo che il p. Dehon visitò con relativa frequenza e che evocò sempre con emozione. Qui stette, coi suoi genitori, il 31.10.1868, prima della sua ordinazione sacerdotale; ritornò col suo Vescovo il 14.02.1877, al momento di discernere definitivamente la sua vocazione religiosa; e di nuovo fece un pellegrinaggio in questo luogo il 03.04.1894, per raccomandare alla Madre di Dio la sua Congregazione.
Giustamente in quella occasione, da Loreto, scrisse una breve lettera al p. Stanislao Falleur nella quale rivelò un segreto, profondamente legato alla sua esperienza di Dio, dichiarando che lì ebbe origine la Congregazione nel 1877, e che quindi sperava che da lì potesse rinnovarsi completamente.
Questa duplice affermazione - la memoria di Loreto all'origine del progetto di fondazione della Congregazione, e l'attesa di trovare lì nuova vita - ha portato oggi le Comunità di Roma I-II ed altri confratelli dell'Italia (IS ed IM) e degli US, al Santuario della Santa Casa, per celebrare l'Eucaristia sullo stesso altare dove p. Dehon, 125 anni fa, il 14 febbraio 1877, durante la Messa e la preghiera in questo luogo, percepì ed accolse una grazia speciale in relazione a quello che sarebbe stato il suo progetto definitivo di vita di consacrazione all'amore e alla riparazione al Sacro Cuore di Gesù, per il servizio del Regno e per la santità della Chiesa. Progetto che cominciò ad essere realtà il 28.06.1878, quando il p. Dehon emise i suoi primi voti.
I. ANNO DEHONIANO
Il 125° anniversario di vita religiosa del p. Dehon, e di inizio della nostra Congregazione, costituisce per noi un dono prezioso di cui dobbiamo ringraziare il Signore, ed un tempo favorevole, un “kairós”, da valorizzare. Per questo motivo consideriamo importante viverlo e celebrarlo come un anno particolare che dichiariamo ufficialmente “Anno Dehoniano” , a partire da questo giorno 14 febbraio 2002 fino al 28 giugno 2003.
Sarà lungo un anno di 16 mesi e mezzo. Come data iniziale prendiamo quella che lo stesso p. Dehon indicò come origine spirituale del “Progetto Congregazionale” (14.02.1877). Giorno decisivo della sua vita, nel quale maturò il suo discernimento personale sulla modalità della sua chiamata alla vita religiosa, e giorno nel quale trovò l'ispirazione per la fondazione della nostra Congregazione.
Concluderemo l'“Anno Dehoniano” il 28 giugno di 2003: 125° anniversario del giorno in cui p. Dehon emise i suoi primi voti. Data che lo stesso p. Dehon riconosce esplicitamente come giorno della fondazione della nostra Congregazione (cfr. NHV XIII, 100).
La coincidenza provvidenziale per cui questo anno finirà con la solennità del Cuore di Gesù e la memoria liturgica del Cuore Immacolato di Maria, mette in evidenza l'unità tra queste due vite, queste due persone, questi due cuori, intorno all'unico progetto salvifico di Dio. Ambedue, Gesù e Maria, rispondono con un “Eccomi” che facilita l'Incarnazione del Figlio di Dio e la realizzazione del disegno di amore di Dio verso l'umanità. Vengono così sottolineate le componenti cristocentrica e mariana della nostra spiritualità specifica.
Apriamo questo “Anno Dehoniano” con le stesse parole del p. Dehon a p. Falleur:
Possa essa ritrovare qui oggi una nuova vita” (cfr. A.D, B. 20/3).
Entrambe le frasi dovrebbero segnare l'itinerario personale di fede, di servizio e di speranza di ogni SCJ, durante quest'anno; in modo che possiamo fare una memoria aggiornata di un avvenimento che si iscrive nella storia della salvezza di molte persone concrete.
La memoria sola non basta; deve trasformarsi in profezia di vita nuova affinché la Congregazione sia oggi utile e significativa per noi, per la Chiesa e per il mondo.
II. LA SANTA CASA DI LORETO:
“È qui che nacque la Congregazione nel 1877”
Questa affermazione di p. Dehon ci sorprende. Sappiamo che la Congregazione nacque in realtà a S. Quintino. D'altra parte p. Dehon stava pensando alla possibilità di fondare un nuovo Istituto fin dal dicembre 1876 (cfr. NQT XVI/1900, 34). La decisione la manifestò esplicitamente solo nella primavera del 1877 (cfr. NHV XII, 164). Lo fece parlando innanzitutto col suo Vescovo mons. Thibaudier (08.06.1877) da cui ricevette prima l'assenso orale (25.06.1877) e poi l'assenso scritto (13.07.1877).
Sul tempo in cui il p. Dehon maturò la sua decisione, e sui motivi che lo spinsero a fondare la Congregazione, hanno scritto molto i suoi biografi e lo stesso p. Bourgeois nel n. 9 di Studia Dehoniana (cfr. STD 9, 1978: “Le p. Dehon à Saint-Quentin 1871-1877. Vocation et Mission”).
Il pellegrinaggio a Loreto, in questo contesto, passa quasi inosservato, se non fosse per la breve allusione che abbiamo menzionato sopra. In ogni caso, rimane sempre come una tappa intermedia, non tanto cronologica, quanto di ordine spirituale, che deve iscriversi tra quelle “grazie personali ed illuminazioni ricevute per la preparazione e la fondazione...”, esperienze profonde del Signore, diremmo oggi, che p. Dehon conservò sempre con molta attenzione e delle quali fa allusione nel suo diario (cfr. NQT XLIV/1924, 138).
Per il p. Bourgeois, “la grazia di Loreto si può collocare all'inizio di questo passo, non tanto per una fondazione propriamente detta, ma per un'entrata nella vita religiosa sotto il segno dell'Ecce Venio e dell'Ecce Ancilla”... “non si tratterebbe di un'idea, ed ancora meno di una decisione di fondare, bensì di un'abilitazione o un orientamento più chiaro verso un certo spirito, l'inizio vero, sebbene incosciente e misterioso, di quel lavoro progressivo che doveva svilupparsi nella sua anima, a S. Quintino, nella primavera del 1877” (cfr. STD 9, 1978, 174). Si tratta perciò di riconoscere una grazia, ordinaria ma preziosa, nella genesi e nella concezione della Congregazione stessa che l'ha portato a prepararsi e a volere fondare “una Congregazione ideale di amore e di riparazione al Sacro Cuore di Gesù” (cfr. NHV XII, 163).
Loreto, come “luogo” in cui nacque la Congregazione, è da vedere nella prospettiva di una certa esperienza spirituale che ispira il progetto di fondazione del p. Dehon, non tanto nella sua origine storica quanto piuttosto relativa al suo contenuto ed al mistero di fede e di vita evangelica che la Santa Casa evoca. Qualcosa che può essere collegato ad altre esperienze vocazionali di p. Dehon: quella del Natale 1856 quando sentì la sua chiamata al sacerdozio, e quella del pellegrinaggio in Terra Santa che confermò la sua decisione ad essere sacerdote. Loreto è più collegato al patrimonio spirituale della Congregazione, e di tutta la Famiglia Dehoniana che alla nascita dell'Opera come tale.
In effetti, a questo proposito, p. Dehon colloca nel recinto della Santa Casa sia l'avvenimento dell'Annunciazione ed Incarnazione del Signore sia il mistero della vita nascosta di Gesù a Nazaret. Entrambi i fatti ispirano la spiritualità dehoniana, trasformandosi in elementi essenziali del suo itinerario di vita religiosa-apostolica SCJ. Dobbiamo considerarli come pietre miliari del nostro Istituto e di tutto il “Progetto di vita evangelica” di p. Dehon che oggi ispirano anche le altre vocazioni consacrate e laicali che formano con noi la Famiglia Dehoniana.
Cercheremo di sottolineare tutto questo, ricorrendo alle riflessioni dello stesso p. Dehon nel Direttorio Spirituale. È una lettura non pedissequa; ma rapida e libera, cogliendo il suo contenuto essenziale. In questo modo apriamo un capitolo che non vogliamo né esaurire né chiudere. Toccherà a ciascuno di noi entrare per questa porta aperta ed iniziare un percorso che sarà ricco, ampio e profondo secondo la nostra intuizione e capacità di avanzare in esso, e secondo quanto lo Spirito ce lo farà comprendere.
1. L'Ecce Venio, l'Ecce Ancilla ed il nostro patrimonio congregazionale
Loreto è un luogo simbolico che ci conduce a Nazaret, dove si manifesta il mistero del Signore e dove possiamo fare un'esperienza radicale. Lì la fede della Chiesa ci porta a conformarci con l'atteggiamento fondamentale del Verbo che si incarna, e con l'atteggiamento di Maria, figlia primogenita ed immagine della Chiesa, che si associa pienamente all'opera di suo Figlio. Il “sì” di Maria permette l'Incarnazione del Verbo, evento di salvezza che trasforma radicalmente la storia ed il destino dell'umanità.
P. Dehon raccoglie tutto questo mistero nell'Ecce Venio di Gesù e nell'Ecce Ancilla di Maria. Per lui, l'Ecce Venio “fu la regola di vita” di Gesù (cfr. DSP II, CAP. I, 1), e l'Ecce Ancilla l'atteggiamento che riassume tutta la vita di Maria (cfr. DSP II, CAP. II, 1).
La lettera agli Ebrei, mettendo sulle labbra di Gesù il Salmo 40,7-9: “Non hai gradito né sacrifici, né offerte, né olocausti per il peccato… allora io ho detto: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,6-7), pone sulle spalle di Gesù tutto il dramma umano ed il progetto di amore di Dio Padre.
L'Ecce Venio è una sintesi della vita e dell'opera di Gesù, fatta offerta gradita al Padre, sacrificio perfetto, vittima senza macchia, realizzato nella pienezza dello Spirito, per purificare le nostre coscienze delle opere che portano alla morte, affinché serviamo al Dio vivente (cfr. Eb 9,14).
Il sacrificio di Gesù è la sua adesione alla volontà salvifica del Padre. Non si limitò solo a buone intenzioni o bei principi, ma implicò il dramma di tutta la sua esistenza: incarnazione e vita filiale nell'obbedienza fino alla passione, morte e risurrezione. È una offerta libera, un'oblazione, per amore al Padre e agli uomini che realizza nel suo proprio corpo, cioè nella sua condizione umana, passando personalmente per la prova e la sofferenza, “per perfezionare quelli che avrebbe condotti alla salvezza” (cfr. Eb 2,10; 2,18; 5,9). In questo modo l'umanità, entrando nel movimento di obbedienza di Cristo, raggiunge la sua perfezione ed è trasformata e penetrata dalla santità divina.
P. Dehon dedica molto spazio a presentare l'Ecce Venio. Non è un atteggiamento passivo di Cristo: è la forza che lo muove a realizzare l'opera di redenzione, di riconciliazione dell'umanità con Dio, di annuncio del Regno, di solidarietà ed evangelizzazione dei poveri e dei piccoli; di povertà verso i pubblicani, peccatori e prostitute; di insegnamento del popolo e formazione dei suoi discepoli; di compassione per i malati e quelli che soffrono; di consegna alla sua Chiesa nell'Eucaristia... (cfr. DSP II, CAP. I, 1.2.5).
L'“Ecce Ancilla” di Maria è il segno della sua apertura totale al disegno divino della salvezza, dichiarandosi disponibile a collaborare con lui. Maria, nell'obbedienza della fede, seguendo la tradizione biblica di Abramo, dei profeti e di tutti i credenti, si abbandona a Dio, si lascia condurre da Lui. Accoglie la sua Parola, credendo che per Lui nulla è impossibile. In tal modo dona spazio a Dio nella sua mente, nel suo cuore, nel suo corpo, nella sua esperienza di donna, nei suoi progetti e nella sua storia. Consegna al Signore tutto il suo futuro senza condizioni. Non pretende di andare oltre i dati della fede, disposta a meditare nel suo cuore la Parola di vita che prende carne nel suo stesso essere.
Per p. Dehon l'Ecce Ancilla di Maria equivale alla stessa disponibilità di Gesù nell'Ecce Venio. È una disponibilità in piena relazione col mistero dell'oblazione di Gesù; perciò si trasforma in principale collaboratrice della missione di suo Figlio. Accettando la Parola che si fa carne in lei, Maria rimarrà sempre la sua consociata in qualità di “Serva del Signore.” Servizio verso suo Figlio che raggiunge il suo culmine ai piedi della croce, per proseguire nel servizio della Chiesa di colui di cui è contemporaneamente figlia maggiore e madre. In tal modo ella fa propria la vita, la causa ed il destino sia di suo Figlio che della Chiesa con la quale si fa pellegrina durante tutta la storia (cfr. DSP II, CAP. II, 1).
Il n. 6 delle nostre Costituzioni, riassume in questo modo lo spirito che il p. Dehon vuole trasmettere ai suoi figli: “Fondando la Congregazione degli Oblati, Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, p. Dehon ha voluto che i suoi membri unissero in maniera esplicita la loro vita religiosa ed apostolica all'oblazione riparatrice di Cristo al Padre per gli uomini. Era questo il suo intento specifico ed originario e il carattere proprio dell'Istituto (cfr. LG e PC), il servizio che esso è chiamato a rendere alla Chiesa.
Secondo le parole stesse di p. Dehon: "In queste parole: Ecce Venio..., Ecce Ancilla..., si rinchiude tutta la nostra vocazione, il nostro fine, il nostro dovere, le nostre promesse (Dir. I, 3)".
A questo il p. Dehon, nel Direttorio Spirituale, aggiunge: “In tutte le circostanze, in tutti gli avvenimenti, per il futuro come per il presente, l'EcceVenio basta, purché non sia solo sulle labbra, ma anche nella mente e nel cuore. Ecce Venio: “Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7). Eccomi pronto a fare, ad intraprendere, a soffrire quello che tu vorrai, quello che tu mi domanderai” (DSP I, 3).
“L'Ecce Venio (Eb 10,7) definisce l'atteggiamento fondamentale della nostra vita... e configura la nostra esistenza a quella di Cristo, per la redenzione del mondo a gloria del Padre” (Cst 58). “Con il suo Ecce Ancilla (Maria), ci incita alla disponibilità nella fede, è l'immagine perfetta della nostra vita religiosa” (Cst. 85).
2. La vita nascosta di Nazaret
Per il p. Dehon, la Santa Casa, oltre ad essere testimone dell'Incarnazione del Verbo, raccoglie il messaggio profondo della vita umile e nascosta di Gesù, e di tutta la Sacra Famiglia, a Nazaret.
Nazaret è un santuario silenzioso ed umile, dove Gesù, Maria e Giuseppe, in unità di cuori, interamente sottomessi alla volontà di Dio, attraverso una vita di povertà, di preghiera, di silenzio, di lavoro e di sacrificio “concorrono all'opera della redenzione, ciascuno secondo la sua speciale missione ” (cfr. DSP II, CAP. I, 3). “Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù; cioè la scuola del Vangelo” (Paolo VI, Allocuzione del 05.01.1964). Per il p. Dehon Nazaret è il luogo ed il tempo dove continua a prendere corpo ed espressione concreta l'“Ecce Venio” di Gesù, l'“Ecce Ancilla” di Maria, la disponibilità silenziosa di Giuseppe.
Nazaret ci fa penetrare nella realtà dell'Incarnazione del Verbo, annullando l'infinita distanza esistente tra Dio e l'uomo. In effetti, “il Figlio di Dio, con la sua incarnazione si è unito in un certo modo con ogni uomo. Lavorò con mani di uomo, pensò con intelligenza di uomo, operò con volontà di uomo, amò con cuore di uomo” (GS 22). Ponendo la sua “dimora” tra noi valorizza tutta la nostra esistenza: si fa nostro prossimo, nostro vicino; si fa solidale con le nostre lotte, dolori, gioie e speranze; condivide la nostra storia; ci conduce a scoprire il valore di tutte le cose, della vita umana, delle relazioni con gli altri, delle situazioni ed degli avvenimenti che plasmano la quotidianità. Ma assume anche i condizionamenti del suo tempo, della sua zona geografica e della sua cultura. Sottomesso ad una povertà reale, Gesù, come umile artigiano, appartiene al mondo del lavoro, con tutto quello che ciò significa (cfr. Laborem Exercens , 26), vivendo del suo lavoro. È da notare che la visita a Loreto di p. Dehon, nell'anno 1894, coincide col tempo più problematico, ma anche più attivo della sua vita, nel quale diede ali a tutti i suoi sogni missionari e cominciò un'intensa predicazione sociale.
Nazaret è la proposta di un progetto di vita caratterizzato dalla ricerca e dall'adesione alla volontà del Padre: salvare il mondo, liberarlo dalla cecità del peccato, guarire le sue ferite, riparare i suoi mali, restituire dignità alla persona umana e a tutte le classi sociali, realizzare l'opera del Regno e la gloria di Dio. È un progetto che ha una modalità propria ed una pedagogia coerente. Per Gesù implica il fatto di dover prendere la condizione di servo, stupirsi, occuparsi delle cose del Padre, sottomettersi all'autorità di Maria e di Giuseppe, sapere aspettare l'“ora” di Dio. Per Maria e Giuseppe implica percorrere una strada sconosciuta ed imprevedibile, conservando nella memoria e meditando nel cuore gli avvenimenti e la parola di Gesù, tentando di scoprire in essi l'armonia del piano divino.
Nazaret ha un linguaggio proprio che, secondo p. Dehon, il mondo non sempre comprende. Mette in evidenza i criteri sconcertanti del Vangelo, la follia della croce, la saggezza di Dio, non con discorsi teorici, bensì attraverso la pratica di Gesù.
Finalmente, Nazaret è per p. Dehon un punto dove conformare e confrontare la nostra vita SCJ personale e congregazionale. Per questo motivo, attraverso la “recordatio mysteriorum”, ogni mattina il nostro Fondatore ci invita a peregrinare a Nazaret, per entrare in contatto col mistero dell'Incarnazione che si realizza e si manifesta nella storia quotidiana di ogni persona, del mondo e della Chiesa (cfr. THE 7). Individualmente ci invita a sottometterci ed a conformarci alla volontà divina, attenti al disegno concreto di Dio, non ostinandoci in modalità, strade e mezzi che Dio non vuole.
Alla Congregazione egli ricorda che “nell'oscurità, nell'assenza di ogni vistosità, nella povertà, nell'umiltà e nell'abbassamento, ella troverà protezione” (cfr. DSP II, CAP. I, 3). Nazaret ci richiama all'intimità con Dio, “ad una vita nascosta con Cristo in Dio” affinché quando Cristo che è la nostra vita, si manifesterà siamo associati alla sua gloria (cfr. Col 3,3-4).
III. “POSSA (LA CONGREGAZIONE)
RITROVARE QUI OGGI NUOVA VITA”
La seconda frase della lettera di p. Dehon al p. Falleur, sul significato della Santa Casa di Loreto, non è meno sorprendente della prima. Ci sono in essa quattro termini che meritano la nostra attenzione: “ri-trovare” - “qui” - “oggi” - “nuova vita”.
Il nostro Fondatore affermò frequentemente la sua convinzione che la Congregazione era e sarebbe rimasta un'opera di Dio che richiedeva generosità e fedeltà costante e rinnovata. Pertanto ritornare all'origine della sua ispirazione è riappropriarsi della “grazia di fondazione". Non è un ritornare indietro nel tempo, bensì scendere alle radici e alle fondamenta stesse dell'Istituto alla ricerca della sua realtà essenziale e carismatica, tentando nuove risposte di vita.
1. “Ri-trovare”
Il ritrovare presuppone qualcosa che si è perso, o che una determinata relazione è stata interrotta o distorta. In ogni caso è sempre l'espressione di ritornare a qualcosa che nella sua origine era distinto. È l'affermazione che c'è qualcosa che si può o si deve migliorare. Ma è anche un invito ad approfondire il dono ricevuto che supera ogni risvolto storico. È una chiamata a partire di nuovo, come Abramo, con fiducia, senza avere la chiarezza totale; sperando contro ogni speranza; disposto a sacrificare lo stesso figlio della promessa.
Ci domandiamo perché p. Dehon usa questa espressione. Troviamo una risposta quando rileggendo la sua storia sappiamo che, in quel tempo (1889-1896), p. Dehon vive forse la maggiore prova della sua vita che gli fa dire: “Questa è una prova più dolorosa di quella del Consummatum est. Che fare? Mi sento sfinito” (NQT IV/1889, 86). Sono gli anni in cui deve affrontare calunnie e diffamazioni, difficoltà nelle relazioni coi Vescovi di Soissons, la rinuncia alla Scuola San Giovanni e le opposizioni interne di alcuni membri dell'Istituto con un tentativo di scissione (cfr. Positio, vol. I, pag. 168-247; G. Manzoni, Leone Dehon ed il suo messaggio , pag. 301-327).
Sono prove che p. Dehon affronta con coraggio, ne parla con molta discrezione; le considera come una chiamata alla conversione personale e dell'opera che tanto ama. Si rifugia nel Cuore di Gesù, fidandosi della sua bontà e misericordia. Approfondisce la meditazione sulle relazioni della Sacra Famiglia di Nazaret. Cerca l'intimità, l'amicizia e la contemplazione del Signore (cfr. NQT IV/1889, 86-87). P. Dehon lamenta un calo nello spirito, nella devozione e nell'entusiasmo degli inizi della Congregazione; un calo di quel clima di impegno, di identificazione carismatica e di fraternità che noi possiamo intravedere nelle relazioni di p. Dehon coi suoi primi religiosi e con gli alunni del S. Giovanni (cfr. A.D. lettere del p. Grison al p. DEHON, B 21/3, 1885-1886).
Certamente la situazione attuale della Congregazione è più serena che in quei turbolenti anni di prova; tuttavia la parola “ri-trovare” può avere oggi per noi una forza speciale. Siamo alla vigilia dei Capitoli Provinciali e del Capitolo Generale. Se vogliamo realmente ritornare alle radici, dobbiamo anche fare una sincera e profonda revisione di vita personale ed istituzionale.
Siamo abituati a fare, in ogni Capitolo, una relazione dello Status Provinciae / Regionis / Congregationis. In questo anno giubilare dobbiamo compiere questo compito con particolare attenzione, nella linea di una verifica della nostra fedeltà dinamica al dono carismatico che ci è stato dato, ed in ordine alla sua proiezione futura. Il Santo Padre, in occasione del Gran Giubileo, ci ha insegnato, col suo esempio, a “purificare la memoria” per lanciarci, liberi dai legami, verso l'alto mare: “Duc in altum” (Lc 5,4). Noi non possiamo non pensare al futuro della Congregazione, essendo essa un'“opera di Dio.” Per questo dobbiamo ritornare alle sue origini, scendere fino alle sue fondamenta e scoprire le sue possibilità ancora inedite, sognando la Congregazione come quella che sognò p. Dehon.
È importante in primo luogo affrontare la verità della Congregazione nelle sue origini; nei suoi risultati e fallimenti; nei suoi valori e peccati; nella sua conformità al Vangelo ed in quello che non è evangelico; nelle sue possibilità reali e nelle sue limitazioni. Ogni Provincia, Regione e Distretto ha cose da rivedere e confrontare. La stessa cosa si deve fare nel Governo Generale. Nella realtà totale della Congregazione e nelle sue distinte parti ci sono meravigliosi segni del Regno che dobbiamo scoprire, esaminare e stimare. Esistono anche aspetti che bisogna migliorare, tentazioni che bisogna superare, ferite che devono guarire, strade ed esperienze che bisogna correggere, nuovi orizzonti da esplorare. “La verità che ci farà liberi”(cfr. Gv 8,32) e la configurazione al Signore sono la garanzia di ogni rinnovamento che vuole essere fedele all'ispirazione originale (cfr. VC 37).
Tutto questo dobbiamo farlo senza ansietà, nostalgie o complessi. Deve stimolarci lo sguardo rivolto alla vita, alla certezza del Regno, all'importanza di dare una buona testimonianza a servizio del Vangelo, nella speranza che non delude, nella fiducia nel Cuore di Gesù. È l'invito di Gesù e della Chiesa di “navigare in alto mare” e gettare le reti (cfr. NMI) tutto questo deve spingerci verso il re-incontro con la grazia delle origini.
2. “Qui”
Nell'altare della Santa Casa è scritto: “Qui il Verbo si fece carne.” E p. Dehon ci dice: “Qui è nata la Congregazione nel 1877. Possa ritrovare qui oggi nuova vita.”
In ordine alla nostra riflessione, questo “qui” usato da p. Dehon non è da intendere come una semplice preposizione che si riferisce al luogo. Va oltre la Santa Casa di Loreto. Si riferisce al mistero stesso dell'Annunciazione e dell'Incarnazione del Signore che il Santuario celebra e proclama per tutte le generazioni. Mistero tradotto negli atteggiamenti dell'Ecce Venio, dell'Ecce Ancilla e di quanto racchiude la vita della Sacra Famiglia di Nazaret. Questo “tesoro” ed insieme di atteggiamenti, posti alle fondamenta della nostra Congregazione, costituiscono parte del patrimonio specifico. È la parte ispirante ed essenziale del nostro carisma delle origini. È la sorgente della nostra spiritualità.
Il p. Fondatore ci invita, pertanto, a bere a questa fonte per trovare nuova vita e per essere significativi nella Chiesa e nel mondo. Tutte le spiritualità devono riferirsi essenzialmente al mistero di Cristo e devono concretizzarsi in un cammino secondo il Vangelo, sotto l'azione dello Spirito. P. Dehon ed i nostri fratelli maggiori che vissero con intensità ed esemplarità il nostro carisma, ci hanno insegnato a cercare l'inesauribile ricchezza di Cristo nel mistero del suo Cuore divino ed umano (cfr. Cst. 16). Il Figlio di Dio fatto uomo ci ama con cuore umano (cfr. GS 22) e ci rivela l'amore trinitario di Dio, la sua solidarietà con l'umanità tutta e la sua obbedienza filiale, come espressione di abbandono al Padre e come cammino di incontro dell'umanità con Dio.
Il Cuore di Gesù è il Verbo incarnato, volto visibile dell'interiorità stessa di Dio e dei suoi sentimenti di amore gratuito verso l'umanità. Nella sua oblazione suprema, trafitto ed aperto sulla croce, genera l'uomo dal cuore nuovo ed una nuova comunità di fratelli.
P. Dehon ha letto il Vangelo nella chiave dell'amore di Dio manifestato nelle parole, gesti, opzioni, pratica, vita, morte e risurrezione di Gesù. Attirato da quell'amore non corrisposto, intuì che la sua risposta doveva passare attraverso l'unione intima al Cuore di Cristo, associandosi alla sua oblazione riparatrice al Padre per gli uomini, nella la sua vita religioso-apostolica. Ideale che trasmise a tutta la sua famiglia spirituale.
Di qui la sua insistenza sull'offerta della vita quotidiana, sull'Adorazione Eucaristica e su un intenso impegno apostolico (spirituale, sociale, missionario, culturale, educativo, ecc.) sostenuto dall'unione a Cristo. Era convinto che “una vocazione tanto bella (come la nostra) richiede un grande fervore ed una grande generosità”... “esige (a sua volta) un'abituale vita interiore e l'unione con Gesù” (Testamento Spirituale). In realtà, come Congregazione, ci definiamo, in primo luogo, per l'impegno spirituale e non per una attività (cfr. Cst. 26.30).
Il nostro patrimonio è la nostra spiritualità e questa modalità comune di avvicinarci al mistero di Cristo associandoci alla sua oblazione riparatrice. Questo è il nostro “Qui” , costituito da questa “esperienza dello Spirito” trasmessa dal p. Fondatore per essere vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia col corpo di Cristo in perenne crescita” (cfr. MR 11). È l'indole propria del nostro Istituto che implica uno stile particolare di santificazione e di apostolato, e si esprime con segni e tradizioni caratteristiche (cfr. CIC 578).
Valgono oggi per noi le parole di Paolo al suo discepolo Timoteo: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che hai ricevuto... Custodisci il buon deposito, con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (2Tim 1, 6.14).
3. “Oggi”
L'azione dello Spirito, nella custodia del deposito ricevuto, non ci riporta semplicemente al passato. Lo Spirito Santo è “memoria e profezia di Gesù.” Come “memoria” ci apre a comprendere la Parola del Signore. Egli insegna e sviscera quello che Gesù ha detto e fatto. Come “profezia” indica la presenza viva e trasformante del Signore Risorto nella storia; dà luce e forza affinché siamo testimoni attuali del Vangelo; ci invia e sostiene nella missione, fino a prendere la parola per noi.
L'“Oggi” di cui parliamo non è pertanto solo un tempo cronologico, è un “kairós”, un tempo di grazia sotto l'azione dello Spirito. Suppone una coscienza del Regno che fermenta la storia; crede in un mondo pieno dei germi del Vangelo e ricco di possibilità future; affronta con speranza teologale le sfide del tempo presente.
L'“Oggi” è anche una realtà umana fragile, condizionata dai nostri peccati, debolezze, tradimenti di fronte al necessario cambiamento. È soggetto a tutte le tentazioni dell'epoca post-moderna, come: la comodità generata dal materialismo e consumismo, la superficialità, l'egoismo e l'individualismo, la privatizzazione dell'impegno religioso, la perdita del senso della trascendenza e della memoria cristiana, il relativismo livellatore di tutti i valori ed espressioni della libertà...
L'“Oggi” è una chiamata alla conversione della nostra vita; all'aggiornamento dei nostri contenuti teologici, del nostro linguaggio, dei nostri segni e gesti, della nostra forma di esporre i problemi e dare risposta. È una chiamata alla capacità di lasciare le opere morte o sterili, e alla creatività di un nuovo stile e di nuovi spazi nella nostra preghiera, nelle nostre espressioni personali e comunitarie di vita religiosa, nelle nostre relazioni e dialogo con gli altri, nella nostra forma di testimoniare il Vangelo e di lavorare apostolicamente. È anche una chiamata ad integrare armonicamente le differenti dimensioni del nostro carisma e della nostra spiritualità.
L'“Oggi” suppone il nostro impegno di fronte alle grandi sfide del tempo presente attraverso la solidarietà col mondo ferito e prostrato nel dolore. Suppone la difesa e la promozione della dignità umana, specialmente dei poveri, degli oppressi, delle vittime delle ingiustizie sociali, della globalizzazione e dei meccanismi emarginatori del sistema neoliberale oggi imperante. Suppone un atteggiamento chiaro per la pace, la riconciliazione, il perdono, la salvaguardia del creato. Suppone passione per la verità e la giustizia.
Questo è l'“Oggi di Dio” che dobbiamo accogliere con disponibilità di cuore, ancorati all'indefettibile fedeltà di Dio Padre, radicati nell'amore di Cristo. Così ci parlano le nostre Costituzioni (cfr. nn. 34.144) spingendoci a ripensare ed a riformulare la nostra missione in nuove forme di testimonianza, di presenza e di servizi. In effetti, interpellati dalla realtà mutevole e dalle sfide della nostra epoca, dobbiamo costantemente “ricercare le modalità specifiche del nostro inserimento nella missione ecclesiale che ci permettono di sviluppare le ricchezze dalla nostra vocazione” (Cst. 34).
Riappropriarsi del'“Oggi” implica per noi avere gli stessi ideali del p. Fondatore ed avere, come lui, uno sguardo critico e positivo della realtà attuale. Egli amò il suo tempo e non rimpianse il passato. Fino alla fine della sua vita p. Dehon sognava nuovi orizzonti per la Congregazione. Basta dire, tra altre cose, che morì programmando un invio di missionari clandestini in Afganistan (cfr. A.D. lettera al P. Josephus Schulte, sup. prov. NE, 26.03.1923, B 76/6; lettere del P. Ottavio Gasparri al P. Dehon, B 98/2, marzo e aprile 1923).
P. Dehon fu un uomo che amò la vita. Fu irriducibilmente ottimista senza smettere di essere realistico, e di avere una forte coscienza critica della situazione sociale e politica della sua epoca. Si impegnò a fondo sia coi grandi problemi del suo tempo, come con le cose quotidiane della Congregazione e le necessità individuali di molte persone. Non esulò dalle sue responsabilità ed ebbe sempre tempo per studiare, per coltivare il suo spirito con le bellezze dell'arte, della natura e della storia, e per viaggiare, osservare, conoscere sempre più. Ma il p. Dehon era anche un mistico, un contemplativo, un uomo di preghiera. Seppe coltivare un'autentica spiritualità ed intimità col Signore. Di lì la sua forza, la sua serenità e la sua capacità di perseverare durante il tragitto intrapreso senza scoraggiamenti. P. Dehon ci stimola ad un aggiornamento costante che non è solo individuale ma ci coinvolge come istituzione.
Dal punto di vista dei contenuti propri della nostra spiritualità e della nostra storia SCJ, dobbiamo ringraziare e stimare molto il lavoro del Centro Studi, sia per interpretare e pubblicare le nostre fonti, come per fare una lettura attuale del nostro patrimonio spirituale. È molto quello che il Centro Studi ha messo a disposizione di tutta la Congregazione da quando fu motivato e fortemente spinto dal p. Bourgeois e dal p. Panteghini.
È un gran incentivo e motivo di gioia il servizio delle Commissioni di Spiritualità, di Apostolato, di Giustizia e Pace, nelle distinti aree geo-culturali SCJ. La stessa cosa si deve dire delle persone che approfondiscono temi dehoniani specifici; particolarmente quando sono i giovani a farlo, coi loro studi e le loro tesi accademiche.
Stanno facendo un grande lavoro di rinnovamento e di aggiornamento anche le persone e Province / Regioni / Distretti che, con audacia, sanno affrontare apostolicamente le nuove sfide dell'evangelizzazione, della inculturazione e della povertà. In questo modo l'impegno di molti confratelli, nell'ambito missionario e sociale, mobilita le forze della Congregazione e rende attuale l'Ecce Venio e l'Ecce Ancilla ai nostri tempi. Alcune parti della Congregazione si stanno rinnovando per ridefinire le loro opzioni apostoliche, e per ritornare alla spiritualità e strategie del p. Fondatore di “andare al popolo”, di “uscire dalle sacrestie”, di preferire i posti più abbandonati, dove non c'è molta gratificazione, dove altri non vogliono andare e dove si rischia la stessa vita.
L'“Oggi” di Dio ci chiede di aprirci con forza spirituale e fantasia alle avventure e alle sorprese dello Spirito.
4. “Nuova Vita”
Il Santo Padre lancia a tutta la Chiesa un'enorme sfida: che i credenti di oggi non solo “parlino” di Cristo ma lo facciano “vedere” alle generazioni del nostro tempo (cfr. NMI 16). Questo vale per tutti, specialmente per i consacrati, chiamati a contemplare e a testimoniare il volto trasfigurato di Cristo attraverso un'esistenza trasfigurata (cfr. VC 35).
In questa prospettiva, insieme a p. Dehon, cerchiamo oggi a Loreto un rinnovamento vitale della nostra Congregazione. Per questo è indispensabile ritornare alla fonte ispiratrice, avvicinarsi sempre più all'intenzione di fondo del p. Dehon, appropriarsi dei suoi contenuti e del suo spirito, aggiornare le sue espressioni. Da questo nucleo, sotto l'impulso dello Spirito, germoglierà la novità, la creatività e la fecondità della nostra vita religiosa dehoniana.
Si tenta di rivitalizzare tutti gli aspetti costitutivi della nostra vita religiosa SCJ, quali: l'esperienza di fede, la fraternità, la pratica dei consigli evangelici, la missione apostolica, lo stile SCJ specifico. Sono punti caratteristici della nostra forma di essere e di procedere che fanno della nostra vita religiosa una risposta personale alla chiamata gratuita di Dio, una consacrazione totale a Lui e un servizio generoso agli altri per il Regno.
a. Rivitalizzare la nostra vita di fede
È la prima cosa che dobbiamo curare. La vita religiosa, in effetti, è un itinerario di fede segnato da una profonda esperienza di Dio. Il modo di sentire la vicinanza di Dio, il posto che gli diamo nella nostra esistenza - come Assoluto, Amico e Signore -, rappresenta l'asse costitutivo della vita religiosa. È la sua ragione di essere e la sua fonte prima di rinnovamento.
Vivere come religiosi è radicalizzare il cammino della fede, che abbraccia la totalità della vita personale e sociale. Si traduce nel modo di essere, di pensare, di sentire, di operare, di relazionarsi agli altri, di volere e di progettare il nostro futuro, di comprometterci con la storia, col mondo e con le cose. Nel centro della propria esistenza sta il Signore a cui si ordina, subordina e relativizza tutto il resto.
Alla radice e nel cuore di ogni vita consacrata c'è una forte esperienza mistica di relazione con Cristo, col suo mistero e con la sua causa. Tale esperienza è frutto del dinamismo della fede. Implica la percezione della presenza intima del Signore che penetra l'anima ed occupa il centro vitale della nostra esistenza; provoca la trasformazione e l'unificazione della nostra persona; suscita un affidamento incondizionato al Signore; compromette con la causa del Vangelo e la causa dei più poveri e bisognosi; infonde passione per la verità, la giustizia, la solidarietà umana; porta infine gioia, luce e senso di vita in mezzo alle prove, alle lotte e alle grandi sfide. È un'esperienza simile a quella di Geremia, dei profeti e degli apostoli: “Mi hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre. Mi hai forzato e hai prevalso... C'era nel mio cuore un fuoco bruciante rinchiuso nelle mie ossa” (Ger 20,7-9).
È un'esperienza che si vive con una profonda coscienza della propria indigenza e vulnerabilità; ma anche con fiducia, disponibilità e abbandono alla seduzione e all'attrattiva di Cristo e alla missione che ci affida (cfr. Lc 5,8-11). È un'esperienza della gratuità dell'amore di Dio che richiede, a sua volta, la nostra gratuità nella fede. È l'esperienza di Paolo e di p. Dehon, da cui ebbe origine il nostro Istituto (cfr. Gal 2,19-20; Cst. 2).
Anche nel caso delle vocazioni più impegnate nella storia, non esiste mai la chiamata sola per fare qualcosa. In ogni vocazione si riflette l'esperienza primordiale degli Apostoli di essere stati chiamati per stare con Gesù per essere inviati a predicare, a liberare da ogni oppressione e a guarire (cfr. Mc 3,13-15). Se si accentua quello che si deve fare per il Regno, senza uno stretto legame con la persona di Cristo che antepone la confessione della fede e dell'amore al servizio pastorale (“Chi sono io per Voi?” - Mt 16,15; “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?” - Gv 21,15) e il “seguimi”, si corre il rischio di svuotare il contenuto stesso della missione.
L'esperienza di Dio e la vita di fede hanno segnato l'esistenza di p. Dehon che ha voluto trasmetterle anche alla Congregazione. Noi, condividendo il suo carisma e il suo progetto di vita evangelica, dobbiamo modellarci sul modello ideale ed assoluto che è il Cuore di Gesù e sullo stesso p. Dehon che è il nostro modello storico. Al centro sta il mistero del Cuore di Gesù, segno dell'amore trinitario e incarnato di Dio che ci apre gli orizzonti della disponibilità filiale verso il Padre e della solidarietà umana, configurandoci con Cristo ed associandoci alla sua opera di redenzione nella duplice dimensione, mistica e apostolica.
Per quanto riguarda la dimensione mistica comprendiamo il grande spazio che p. Dehon voleva che i suoi figli dessero alla contemplazione, alla preghiera, alla meditazione e alla lettura spirituale della Parola, all'adorazione eucaristica, assicurando il clima, i mezzi necessari e la disciplina personale per vivere per il Signore, con Lui ed in Lui.
La dimensione apostolica abbraccia tutte le forme di lavoro nell'ambito pastorale-missionario-sociale-culturale che tradizionalmente hanno caratterizzato la Congregazione nella costruzione del Regno.
Entrambe le dimensioni devono essere visibili e stimolanti. Non sempre lo sono. A volte non riusciamo e non manifestiamo un'integrazione reale tra la dimensione mistica e quella apostolica. In questo modo la nostra testimonianza è meno convincente, il nostro servizio del Regno meno efficace, e la nostra vita personale e comunitaria meno significativa. A volte siamo troppo assorbiti dall'attività e ci mancano gli spazi di intimità col Signore. Altre volte esistono espressioni di spiritualità disincarnate, abitudinarie e di mestiere; manca la chiarezza nella professione della fede.
La contemplazione deve arrivare ad essere atteggiamento di vita, in modo che preghiera e impegno apostolico (pastorale, missionario, sociale, culturale) si arricchiscano mutuamente, come si è positivamente percepito nelle esperienze sociali, presentate durante la Conferenza Generale di Recife. Vi sono alcuni che distinguono nella Congregazione coloro che sono più spirituali e quelli che sono più sociali. È una distinzione inadeguata. Dovremmo piuttosto mirare tutti a realizzare quell'unità interna che ebbe p. Dehon. La sua profondità nella fede lo portò ad essere mistico e, contemporaneamente, uomo pienamente impegnato nelle attività sociali.
b. Rivitalizzare la nostra vita fraterna
La vita comunitaria è il primo valore che risuscita con il Signore lo stesso giorno della Pasqua. Il Risorto torna a riunire coloro che lo scandalo della passione aveva disperso (cfr. Mc 14,27-28.50; Mc 16,7; Lc 24,33-35).
È uno dei grandi segni della vita religiosa. È una prova che “la fraternità di cui gli uomini hanno sete è possibile in Gesù Cristo” (cfr. Cst. 65).
L'unità ed il “buon spirito” all'interno dell'Istituto hanno rappresentato la costante preoccupazione di p. Dehon che volle che fosse sotto il segno del “Sint Unum.” Esprimendo a Loreto, nel 1894, il suo desiderio che la Congregazione ritrovasse qui nuova vita, certamente aveva presenti i dissidi interni che colpivano la sua unità e il buono spirito.
Oggi l'unità dell'Istituto, vista globalmente, è più forte. A partire dal rinnovamento conciliare è cresciuta per la comunicazione delle notizie, la comunione delle persone, la collaborazione nei progetti e la condivisione di beni. Le relazioni sono più semplici e fraterne. C'è maggiore accettazione delle differenze personali e culturali. Si assume positivamente il pluralismo e si ha maggior stima degli aspetti propri e degli aspetti originali di ciascuna parte della Congregazione.
L'unità dell'Istituto, nella sua globalità ed in termini di vita comunitaria, trova il suo sostegno nella fede: è il Signore che ci ha chiamati a seguirlo comunitariamente, ed è Lui che ci fa scoprire la vita fraterna in comunità come un dono. Detta unità si basa inoltre sul patrimonio comune, costituito dalla vocazione, dalla missione e da una serie di tradizioni che abbiamo in comune.
Le nostre comunità religiose si ispirano al modello della comunità post-pasquale dei discepoli del Signore (cfr. At 2,42-45; Cst. 59) che ci stimola a costituire comunità fraterne, eucaristiche, missionarie a servizio del mondo. La rivitalizzazione delle comunità si dovrà realizzare, pertanto, nella fedeltà a questi aspetti.
In questi anni, il servizio di governo ci ha fatto percepire che nella Congregazione ci sono distinti livelli di vita fraterna. La qualità della vita fraterna non è uniforme. Gli aspetti che più necessitano di essere rivitalizzati sono i seguenti: il senso della fraternità in alcune province; la collaborazione dei confratelli di una stessa comunità nella missione comune; l'integrazione dei talenti personali nel progetto comunitario; la profondità di comunicazione e la condivisione della fede all'interno della comunità; il servizio di animazione del superiore locale; il senso di appartenenza alla Congregazione e alla propria Provincia / Regione o Distretto.
Ci preoccupa seriamente l'ipercritica, la durezza di giudizi e di condotta, e la poca cordialità che esiste in qualche parte dell'Istituto. Padre Dehon fu molto sensibile a tutto questo, al punto di sottolinearlo frequentemente. Spesso non si tratta di cattivo spirito, bensì di un eccessivo perfezionismo che scoraggia ed annulla alcune persone, e che rende sterili i progetti comuni. Dobbiamo abituarci a pensare che molte cose si possono fare bene in modi diversi, e che la collaborazione col superiore, e con quello che si è deciso in Provincia, è più fruttuosa della critica demolitrice o eccessiva. Il calore umano, la cordialità, la gioia di stare insieme, la capacità di passare sopra i piccoli malintesi comunitari, dovrebbero essere una nota chiara della nostra dehonianità.
Il senso di appartenenza è un altro degli aspetti che deve essere rinforzato. È un problema non solo di formazione, ma anche culturale. Viviamo in un tempo di relazioni brevi ed instabili. I legami di fedeltà rispetto alle persone, alle istituzioni e a Dio stesso, sono umanamente deboli. Inoltre non si accetta di buon grado la sottomissione ad una ascesi, ad una disciplina o una prova che si prolunga nel tempo. La fragilità nel senso di appartenenza, all'interno del nostro Istituto, si constata nel momento in cui si studiano le motivazioni di chi, per problemi quotidiani o congiunturali, decide di lasciare la Congregazione. Ci sorprende la mancanza di motivazioni appropriate ed obiettivamente sufficienti per prendere tale decisione.
Bisogna trovare la pedagogia adeguata e l'impegno di fede necessari affinché l'appartenenza all'Istituto venga vista nei termini dell'Alleanza divina. Abbiamo fatto i voti di seguire Cristo in comunità e nella Congregazione. La nostra Alleanza comprende tre elementi: l'appartenenza al Signore, la mutua appartenenza tra i confratelli della comunità, l'appartenenza di tutti insieme all'Istituto.
Qui non si tratta semplicemente di una relazione di gruppo che si risolve in un cameratismo. È un'opzione di vita nella fede ed è una risposta ad una chiamata del Signore. Si deve pertanto collocare l'appartenenza nello stesso vincolo della professione religiosa. Si deve chiarire meglio e consolidare di più la propria identità che oggi invece è spesso considerata solo un concetto ed un fatto culturale in crisi. L'identità deve essere carismatica. Si realizza con la configurazione della propria vita a Cristo, sotto l'impronta del carisma congregazionale.
L'identificazione del religioso con l'istituzione è progressiva. Suppone la conoscenza dell'opera e la stima delle sue persone, dei suoi pionieri e del suo Fondatore. Richiede l'assimilazione dell'intenzione e dello spirito del Fondatore. Devono diventare propri i progetti dell'opera, se ne devono interiorizzare i valori, rispettando il patrimonio storico e le sue norme, aggiornando le espressioni e la comprensione del suo messaggio. Il frutto maturo, corresponsabile e creativo sarà il senso di appartenenza nei tre aspetti sopraindicati. È un'opzione profonda di consacrazione al Signore, di comunione con i confratelli e di disponibilità al modo di essere e di vivere della famiglia religiosa.
Il problema della fragilità del senso di appartenenza richiede oggi, nella Congregazione, un'adeguata politica generale di formazione delle persone e dell'opera di governo. È un fatto sul quale si gioca parte del nostro futuro e che merita di essere studiato nei prossimi Capitoli provinciali e generale. Un passo importante si è fatto attraverso la coscienza del “Noi Congregazione” che cresce quasi in tutto l'Istituto. Ma questo è insufficiente. Con la professione religiosa apparteniamo ad una famiglia che ci fa partecipi di tutti i suoi beni (materiali, spirituali, carismatici), alla quale ci dobbiamo dedicare di cuore affinché possa realizzare la missione che ha nella Chiesa. Un forte senso di appartenenza accresce la corresponsabilità e la disponibilità delle persone, e garantisce la nostra perseveranza nell'Istituto, anche in mezzo a prove, a lotte e a possibili incomprensioni.
c. Rivitalizzare la pratica dehoniana dei Consigli Evangelici
Molti confratelli si meravigliano quando parliamo di uno stile dehoniano di capire e di praticare i voti religiosi. Tuttavia, ogni Congregazione ha il suo modo proprio di esprimere l'obbedienza, la castità e la povertà che viene dal suo carisma, dalla sua spiritualità e da tutto quello che costituisce il suo patrimonio congregazionale. Cosicché possiamo dire che la nostra obbedienza non è gesuitica, che la nostra povertà non è francescana e che la nostra castità non è eremitica o di un ordine di clausura. Noi SCJ abbiamo un modo originale e comune di esprimere e di accentuare i valori della consacrazione religiosa. Dobbiamo conoscerlo e promuoverlo.
Scoprire il “proprium” nel vissuto dei voti caratterizza il nostro discepolato, mettendo in luce la nostra relazione personale ed irripetibile col Signore, con gli altri e col mondo. Il nostro stile dobbiamo trovarlo nel fine e nella missione del nostro Istituto, nell'insegnamento e nella pratica del nostro Fondatore e dei nostri predecessori, nelle nostre tradizioni e nella nostra Regola di Vita.
Il primo elemento determinante e qualitativo è la nostra unione all'oblazione riparatrice di Cristo nella sua duplice dimensione, mistica ed apostolica.
L'Obbedienza è tipicamente il voto dehoniano. Porta l'impronta dell'Ecce Venio di Gesù e dell'Ecce Ancilla di Maria (cfr. Cst. 58.85) che determinano l'atteggiamento fondamentale della nostra vita. Ci associa a Cristo del quale assumiamo l'impegno, il suo servizio riparatore, la sua disponibilità filiale ed assoluta al Padre, la sua solidarietà con gli uomini ed il suo destino pasquale. Implica un'adesione radicale alla volontà del Padre, creando spazio per Dio e passando per “le mani degli uomini” (cfr. Lc 9,45). Assume la modalità del Servo di Yavhé, della Serva del Signore e della lavanda dei piedi dei discepoli. Guidati e sostenuti dallo Spirito, ci invia al popolo e ci pone di fronte alle grandi sfide del nostro tempo. Ci fa preferire i luoghi dove c'è maggior bisogno e dove altri non desiderano andare. Ci infonde la passione per la verità e la giustizia e ci fa liberi per gli altri. Ci fa corresponsabili del futuro della Congregazione, della Chiesa e del mondo. L'obbedienza della fede è per noi la forma suprema dell'amore; il nostro modo di “dare la vita” (cfr. Gv 15,13-14).
La povertà dehoniana è sotto il segno della comunità, della solidarietà e della giustizia. Il segno del Sint Unum! Più che assenza di beni, è una rinuncia all'amministrazione e all'uso individuale dei beni. Ci richiama alla comunione di beni e di progetti, alla corresponsabilità nell'amministrazione, a curare quello che è a nostra disposizione, a mettere tutto in comune con trasparenza, a dipendere dal discernimento comunitario o dell'autorità competente per il loro uso. Richiede che ci liberiamo dell'ansia di possedere, ponendo la nostra fiducia per il futuro nel Signore. La nostra sicurezza non sta nei beni che abbiamo o amministriamo bensì nella nostra capacità di condividere. Incoraggia la condivisione internazionale di beni tra le parti della Congregazione. La povertà dehoniana suppone anche solidarietà coi poveri e bisognosi. I nostri beni hanno un fine ecclesiale e sociale che va rispettato. Il nostro stile deve essere sobrio e di lavoro. Dobbiamo essere aperti al grido dei poveri; dobbiamo preferire la presenza in ceti poveri e l'evangelizzazione di essi, dando loro una ragione per vivere e sperare. Dobbiamo essere giusti, formare alla giustizia e al risveglio delle coscienze sui valori sociali del Vangelo. Siamo chiamati ad essere solidali nelle lotte che promuovono e danno senso alla condizione umana. Dobbiamo studiare e formarci sulla Dottrina Sociale della Chiesa. La Povertà dehoniana ci porta ad esercitare un'economia sana, solidale e giusta, attenta alle norme e alla prassi della Congregazione e alle leggi civili.
La castità dehoniana si realizza e si esprime attraverso ciò che p. Dehon chiama “l'amore puro”, libero da altri interessi o convenienze. Amore che riafferma la “gratuità” di Dio e la gratuità della nostra consacrazione. Ci diamo senza pretendere riconoscimenti o qualche ricompensa umana per tale dono. Implica la disponibilità totale per il Regno di Dio, annunciandolo e testimoniandolo come una realtà presente nella storia, e una realtà escatologica per la sua piena realizzazione. A livello personale implica maturità affettiva, cordialità e capacità di accogliere gli altri nella purezza della carità. Esige un impegno serio con gli altri in cui viene sottolineato il primato della carità. Ci fa ricorrere opportunamente alla solitudine, al silenzio e alla disciplina personale. È coscienza critica circa tutto quello che aliena o sottomette la persona umana. Fa della comunità religiosa una famiglia fondata sulla forza della fede. Ci impegna nella costruzione di un ordine nuovo e di una nuova umanità attraverso atteggiamenti e azioni quotidiane concrete. Ci spinge ad incarnarci nella realtà ed a sapere proporre anche i valori contro-corrente del Vangelo. Ci fa sentire con la Chiesa e ci spinge a compiere la missione che abbiamo in lei, accettando a volte posti e servizi aridi e poco gratificanti. Ci fa creativi nella missione senza diminuire i suoi contenuti fondamentali. È un voto che viviamo alla luce dell'Adveniat Regnum Tuum. Regno che è vicino che è fondamentalmente “amore”, “gratuità” e “grazia.”
d. Rivitalizzare la missione specifica della Congregazione nella Chiesa
Condividiamo la missione della Chiesa facendo nostre le sue inquietudini, risultati, prove e cammini. Siamo un Istituto apostolico che si definisce a partire dalla sua spiritualità, ereditata dal Fondatore e riconosciuta dalla Chiesa.
Benché non siamo stati fondati in vista di un'opera determinata, abbiamo una specificità apostolica che caratterizza la nostra missione nella Chiesa. P. Dehon ha indicato alcuni orientamenti apostolici che le nostre Costituzioni riconoscono come appartenenti a quella missione. Essi sono: l'adorazione eucaristica come servizio apostolico alla Chiesa; il ministero dei piccoli, degli umili, degli operai e dei poveri; l'attività missionaria; e la formazione dei sacerdoti e dei religiosi (cfr. Cst. 30-31).
Potremmo dire che la nostra specificità si estende su quattro grandi ambiti pastorali: l'ambito spirituale, sociale, missionario e culturale. È una coscienza che la Congregazione ha con chiarezza dalla pratica stessa di presenza e di servizio in quelle aree. Sono in realtà le aree che rendono visibile ed identificano meglio la Congregazione nel mondo. I Superiori Generali, dal p. Philippe in avanti, molte volte hanno richiamato l'attenzione su questa specificità. Per esempio, p. Philippe afferma circa le missioni che queste non costituiscono un'opera “aggiunta” alla Congregazione, e che “nessun membro della Congregazione può disinteressarsi di queste opere, se vuole vivere la vita dell'Istituto” (cfr. LCC vol. II, pag. 132, 12).
Il p. Govaart, da parte sua, nel 1952 dice: “Questo duplice apostolato (le opere sociali e le missioni tra i pagani) era davvero nello spirito e nel cuore di p. Dehon” (cfr. LCC vol. III, pag. 756, 55).
I grandi momenti storici di crescita e di spinta congregazionale hanno visto uno sviluppo simultaneo dei quattro ambiti apostolici indicati. Anche oggi il nostro compito di rivitalizzazione deve focalizzarsi attorno alla nostra specificità e allo stile proprio di vivere e di lavorare nella pastorale. La Congregazione ha molte parrocchie in molte Province / Regioni e Distretti. È un lavoro immenso e necessario dove le Chiese particolari hanno maggiori necessità. D'altra parte, tutto questo ci è utile come Congregazione per essere ancorati alla realtà, vicini al popolo. Lo stesso p. Dehon assunse parrocchie in distinti paesi (p. es. Olanda, Brasile, eccetera...). Dobbiamo curare, tuttavia, che siano condotte secondo la modalità della vita religiosa. Non esiste solo il modello pastorale diocesano. È possibile un modello di gestione pastorale delle parrocchie tipicamente religioso e dehoniano. Per questo bisogna assumere parrocchie grandi dove possa lavorare una comunità religiosa; parrocchie povere e di periferia con le grandi sfide del nostro tempo; parrocchie con popolazione giovane per promuovere le vocazioni della Chiesa; parrocchie dove si trasmetta la nostra spiritualità con le sue accentuazioni proprie e dove si prestino servizi complementari che non possono offrire i parroci diocesani; parrocchie missionarie che esigono mobilità, creatività e la formazione di molte comunità di base.
e. Rivitalizzare il nostro stile dehoniano
Possiamo e dobbiamo parlare anche di un stile dehoniano di essere, di sentire e di procedere che è nostro, caratteristico. Uno stile che configura una “cultura dehoniana”, la “cultura del cuore”, la “cultura della cordialità.”
È un nostro modo di educare la nostra mente e la nostra interiorità; soprattutto di educare gli atteggiamenti del cuore. È un modo particolare di pensare la storia, di giudicare gli avvenimenti, di sentire ed affrontare le sfide emergenti, di situarsi di fronte al mondo, di trattare le persone e di conoscere Dio. È il nostro modo di vedere il mondo, i fatti e le persone con compassione, e di amare con cuore umano.
P. Dehon, con la sua spiccata personalità, è l'artefice di questa cultura. La sua ampiezza di orizzonti, la sua sensibilità umana, la sua apertura sociale, il suo impegno coraggioso di fronte a qualunque sfida, la sua capacità di dialogo e di comprensione dei giovani, la sua unità interna, la sua ansia apostolica, la sua profonda spiritualità ed intimità con Dio... configurano una strada, una pedagogia ed una forma di essere che sono stati trasmessi alla Congregazione. Forse l'espressione comune di chiamarlo “très bon Père”, può riassumere il nucleo essenziale di questo stile che chiamiamo dehoniano. L'avevano percepito molto bene i suoi alunni della Scuola San Giovanni che l'amavano ed ammiravano. Il p. Dehon ha espresso tutto questo ampiamente nelle sue conferenze sociali e nei discorsi che ha tenuto agli ex-alunni del Collegio.
Oggi, questa cultura viene percepita da molte persone che lavorano con noi quando dicono di scoprire in noi qualcosa che non sanno definire; ma che ci fa diversi. Parlano a volte della nostra accoglienza, dell'impegno nel lavoro, della disponibilità, nel coinvolgimento sociale. Dobbiamo amare questa eredità, riscoprirla, recuperarla come modo di avere un cuore di carne e non di pietra; un cuore di buon pastore, di buon samaritano, di servo dei fratelli. È una forma sapienziale di vivere e di affrontare la realtà, gli avvenimenti, il ministero pastorale, il lavoro, il riposo, il tempo, la vita comunitaria, le relazioni umane ed il mistero di Dio. Ci permette di vivere più incarnati nella realtà senza perdere la dimensione trascendentale. Ci avvicina al popolo a cui p. Dehon ci manda; annulla le distanze. Ci aiuta a mantenere l'unità interna e l'ottimismo che è speranza teologale.
IV. PROPOSTA DEL GOVERNO GENERALE AD OGNI SCJ
La vita cristiana ha al suo culmine, come fondamento e come fine, l'Incarnazione del Verbo. Centrata su questo mistero essa è una continua attualizzazione del “sì” che attrasse Dio nel mondo. Come Governo Generale desidereremmo che questo “Anno Dehoniano” fosse l'occasione di un profondo rinnovamento personale di ogni SCJ, sotto il segno dell'Ecce Venio e dell'Ecce Ancilla, seguendo il nostro Fondatore. Vorremmo che questo “Anno” portasse tutti a rinnovare con fervore il “sì” iniziale della nostra vocazione dehoniana e della nostra professione religiosa. Il “sì” di Maria ha permesso l'Incarnazione del Verbo; il “sì” di Gesù ha dato attuazione al progetto di amore di Dio ed ha infuso una nuova vita nel mondo.
Molte cose del progetto di Dio e molto bene dell'umanità dipendono dal nostro “sì.” Vorremmo che questo “Anno” ci mettesse in condizione di riprendere, con coraggio ed audacia, la creatività e la santità del nostro Fondatore (cfr. VC 37). Per questo è necessario centrare decisamente la nostra vita nel Cuore di Cristo. Solo così la nostra vita personale e il nostro Istituto guadagneranno in significato, in credibilità e in fecondità.
Non miriamo, pertanto, ad una celebrazione esterna e clamorosa, bensì agli aspetti e valori interiori, della conversione di ognuno a Cristo, secondo il programma evangelico dell'Ecce Venio e dell'Ecce Ancilla. Con questo non vogliamo proibire delle celebrazioni comunitarie, e tanto meno quella possibilità di un risvolto apostolico, ecclesiale e sociale che deve avere la nostra vita. Siamo certi che quel frutto lo raccoglieremo in abbondanza se accetteremo in concreto la sfida di ritornare al fervore iniziale, di lasciarci interpellare dal nostro carisma, di lasciarci permeare dalla saggezza del Vangelo e di lasciarci guidare dallo Spirito.
Vorremmo proporre un itinerario spirituale analogo a quello che percorse p. Dehon tra il 14 febbraio 1877 ed il giorno della sua prima professione, il 28 giugno 1878. Fu in primo luogo un tempo di ascolto e di discernimento della sua vocazione, continuando poi, da metà luglio, il suo anno di noviziato; iniziato con un ritiro spirituale prolungato dal 16 al 31 luglio 1877.
Riprendiamo anche noi il cammino spirituale del nostro postulato, noviziato e prima professione! Arricchiamo molto quell'esperienza con quanto abbiamo appreso e approfondito in seguito in ordine alla vita religiosa-apostolica e il nostro carisma!
Proponiamo, pertanto, che ogni religioso rifletta ed approfondisca i contenuti della nostra eredità carismatica, alla luce del n. 16 delle nostre Costituzioni: ... “un modo comune di accostarci al mistero di Cristo, sotto la guida dello Spirito, ed un'attenzione speciale a quanto… corrisponde all'esperienza del Padre Dehon e dei nostri primi religiosi”. Tutto ciò implica:
Abbiamo preferito l'itinerario individuale per non sovraccaricare l'attenzione comunitaria che dovrà già occuparsi dei temi propri dei Capitoli provinciali e generale. Crediamo, tuttavia, che il percorso spirituale proposto si inserisca pienamente nell'obiettivo del prossimo Capitolo Generale di riaffermare la nostra specificità carismatica apostolica di fronte alle sfide del nostro tempo e della rifondazione della vita religiosa. D'altra parte, non si deve dimenticare che è compito di ogni Provincia / Regione / Distretto mantenere viva la propria storia, recuperando la memoria dei fatti, le date e le persone che la costruirono.
Pensiamo che alcune domande possano aiutarci in questo itinerario di rinnovamento:
In tutta la parte precedente ci siamo riferiti direttamente alla Congregazione per dovere di circostanza: è essa che celebra i 125 anni di fondazione, e lo fa nel contesto privilegiato del Capitolo Provinciale e Generale. Tuttavia, questo avvenimento non è estraneo al resto della Famiglia Dehoniana. In realtà, fondando gli “Oblati-sacerdoti del Cuore di Gesù”, p. Dehon voleva che il suo carisma fosse condiviso anche da altri sacerdoti, consacrati e laici.
Per tale motivo invitiamo tutta la Famiglia Dehoniana, specialmente i Laici Dehoniani, a vivere questo “Anno Dehoniano” trovando luce di ispirazione e stimolo, per il loro impegno specifico, nel messaggio e nella grazia che germogliano dalla Santa Casa di Loreto.
Per il Laico si tratta di rivivere il mistero dell'Incarnazione nelle realtà temporanee: nella vita di famiglia, nel lavoro, nel proprio ambiente, nel mondo in generale, eccetera... L'atteggiamento dell'Ecce Venio e dell'Ecce Ancilla ed il modello della Sacra Famiglia di Nazaret gli offrono molta luce in ordine alla sua missione di costruire una comunità umana secondo il Cuore di Dio. Associandosi, come dehoniano, all'opera del Verbo incarnato nella storia, il laico cristiano vede aprirsi grandi orizzonti per tradurre in un'azione riparatrice tutto ciò che vive, soffre, sente e fa. La spiritualità oblativa e riparatrice dehoniana devono aiutarlo affinché assuma e viva esplicitamente tutti quei valori evangelici che lo fanno missionario del suo ambiente. Il suo contesto vitale è anche il suo spazio naturale per la sua attività spirituale, sociale, missionaria e culturale che gli suggerisce la sua partecipazione al carisma e alla spiritualità di p. Dehon.
Gli altri membri consacrati della Famiglia Dehoniana, nelle loro molteplici e svariate espressioni, fedeli alle modalità suggerite dai propri Statuti o Costituzioni, possono vivere anch'essi un tempo speciale di grazia e di rinnovamento, ispirandosi al mistero dell'Annunciazione ed Incarnazione del Signore. Il riferimento comune al Cuore di Gesù e agli atteggiamenti fondamentali dell'Ecce Venio e dell'Ecce Ancilla, li rende partecipi del progetto dehoniano di vita secondo il Vangelo. Anch'essi contribuiscono a mettere in luce aspetti nuovi di questo carisma e di questa spiritualità che lo Spirito ha dato a tutta la Chiesa, e che non si esauriscono nella sola realizzazione storica della Congregazione.
Tutti formiamo una sola Famiglia perché abbiamo un padre e una guida spirituale comune, p. Dehon. Abbiamo un modo comune di accostare il mistero di Cristo dalla prospettiva del suo Cuore ferito ed aperto sulla croce, disponibile e solidale, filiale e profondamente umano. Viviamo uniti alla sua oblazione riparatrice; condividiamo la missione di costruire il suo Regno di amore “nelle anime e nelle società.” Tuttavia, gli ambiti e le modalità della missione sono distinti, perché devono rispettare la vocazione specifica di ogni istituzione o persona.
Possiamo e dobbiamo trovare spazi comuni di condivisione della preghiera e della nostra vita di fede; di riflessione e formazione intorno al patrimonio comune; di collaborazione in alcuni servizi ecclesiali, sociali o missionari. Questo darà a tutti occasione di crescere e di apprezzare il dono comune. Ci farà anche più significativi e fecondi nel servizio dell'evangelizzazione e nella costruzione del mondo secondo la volontà di Dio.
Lo scorso mese di dicembre è stata pubblicata la “Lettera di Comunione” della Famiglia Dehoniana che descrive il senso, l'identità ed i criteri di appartenenza alla stessa. Crediamo importante che tutti gli Istituti (religiosi e secolari) ed i gruppi, che si sentono vincolati al progetto carismatico di p. Dehon, discernano e dichiarino esplicitamente se si ritrovano in quegli orientamenti e se vogliono realmente condividere come membri questa Famiglia. La decisione dovrebbe essere manifestata prima del prossimo 30 novembre.
VI. UN INVITO FINALE
Quest'anno sarà un tempo in cui dobbiamo mettere al centro la figura di p. Dehon. Nella misura che ci sforzeremo di conoscere la sua personalità, la sua spiritualità, la sua vita, i suoi ideali e le sue opere, crescerà in tutti l'ammirazione e la stima per questa figura. Crescerà anche la convinzione della sua santità; una santità “imitabile”, come ha detto uno dei consulenti della Santa Sede votando a favore della eroicità delle sue virtù (cfr. Voto I, pag. 28).
Noi ci impegniamo a percorrere quella stessa strada, e lo facciamo con la certezza che si tratta di una santità autentica. La Chiesa ce ne ha dato la garanzia, riconoscendo il carisma dehoniano come un dono dello Spirito, accettando le Costituzioni della Congregazione e degli altri Istituti riconosciuti a livello pontificio, e decretando l'eroicità del nostro Padre e Fondatore.
Quest'anno sarà dunque un tempo propizio per chiedere con insistenza e fiducia al Signore la beatificazione di p. Dehon , affinché tutti ci sentiamo maggiormente impegnati in questo cammino di santità. Nel Capitolo Generale del 1991 il Santo Padre ci sollecitò a chiedere di cuore al Signore questa grazia. La Chiesa ha espresso già, umanamente, la sua convinzione che il p. Dehon è un uomo che visse con eroismo la vita cristiana. Per proporlo come esempio ufficiale ed universale, la Chiesa richiede i segni del Signore che sono i “miracoli.” Dipende da noi riconoscere nel p. Dehon un efficace intercessore nelle nostre necessità e ricorrere alla sua mediazione chiedendo i segni che la Chiesa aspetta. È nostro compito fare in modo che p. Dehon sia conosciuto dal Popolo di Dio e che sia invocato come intercessore. Se è volontà di Dio che sia beatificato e canonizzato, il Signore ci darà i segni al momento opportuno. Ma questi verranno solo se li chiediamo con fiducia ed insistenza, sempre per la maggiore gloria di Dio, e per la maggiore santità della Chiesa. Una Congregazione, come la nostra, sparsa in 37 paesi del mondo, con tante opere apostoliche, con un'enorme produzione letteraria di libri, riviste ed opuscoli, e con programmi alla radio, alla televisione e su internet... non potrebbe promuovere un po' di più, durante quest'anno, la conoscenza e la fama di santità di P. Dehon?
CONCLUSIONE
Questa lettera comprende l'abituale messaggio vocazionale del giorno 14 marzo, “Giornata delle Vocazioni Dehoniane”. Quel giorno tutti saremo uniti nella preghiera per chiedere al Signore che continui a suscitare nella Chiesa uomini e donne capaci di vivere fino all'eroicità il carisma che ci è stato dato attraverso p. Dehon.
Preghiamo specialmente per le vocazioni della Congregazione SCJ e degli altri Istituti di Vita Consacrata che si ispirano al carisma e alla spiritualità di p. Dehon. Guardiamo a La Capelle, luogo dove egli nacque che si sta trasformando in un luogo internazionale di spiritualità, di riflessione e di servizio dehoniano. Contribuiamo economicamente al mantenimento di questa culla della dehonianità.
Che lo Spirito ci guidi e che il nostro cuore sia totalmente ripieno del Vangelo, affinché palpiti filialmente per Dio in solidarietà con tutti i nostri fratelli!
P. VIRGINIO D. BRESSANELLI, SCJ
Superiore generale e Consiglio
Sigle utilizzate:
Cst = Constituzioni
DSP = Direttorio Spirituale
LCC = Lettere Circolari
NQT = Notes Quotidiennes (voll. I-IV)
NHV = Notes sur l’Histoire de ma vie (voll. I-VIII)
THE = Thesaurus Precum
CIC = Codex Iuris Canonici
GS = Gaudium et Spes
LE = Laborem Exercens
MR = Mutuae Relationes
NMI = Novo Millennio Ineunte
VC = Vita Consecrata